Scambi. Marco Fogliani
va invece il cinema? Ho da poco dato un esame, e questo fine settimana volevo distrarmi un po’. È per questo che sono venuto allo stadio, anche se a dire il vero non mi sono tanto rilassato.”
Risero tutti e due.
“Va bene. Scegli pure tu il film ed il cinema, meglio se un po’ lontano da qui. È un’ottima idea, così staremo al buio e non daremo nell’occhio.”
Salirono sul taxi, che nel frattempo era arrivato, e Riccardo diede indicazione al conducente.
Uscirono dal cinema che era buio. Il film era stato bello.
“Hai detto che hai appena passato un esame?”, chiese Raul.
Riccardo assentì.
“È curioso. Proprio l’altra notte ho sognato che davo un esame. È stato quasi un incubo per me che ho fatto solo qualche anno di elementari. Quando mi sono svegliato avevo la testa che mi scoppiava.”
Riccardo ripensò al suo strano sogno di qualche giorno prima, quando si era svegliato con le gambe doloranti.
“Ma è stato un incubo peggiore”, proseguì Raul, “ritrovarmi in curva tra tifosi che lanciavano accidenti e maledizioni di ogni genere contro di te; anzi, contro di me. È stato proprio avvilente. Spero che quelli non fossero tuoi amici, e che tu non sia come loro.”
“Alcuni li conosco un po’. Ma stai tranquillo: io non sono come loro. Anzi, sono un tuo grande ammiratore. Chissà, forse è per questo che è successo quello che è successo. A proposito: ho un’idea. Vieni un attimo a casa mia: ti faccio vedere alcune cose interessanti.”
L’abitazione di Riccardo era lì vicino. Suo padre era in casa e quando li vide chiese sbigottito: “Chi di voi due è mio figlio?”
“Sono io, papà”, rispose Riccardo. “Oggi allo stadio c'era un concorso per il miglior sosia di Raul Francisco. È per questo che i miei amici mi ci hanno portato. Io e lui siamo risultati vincitori a pari merito, con un premio di duecento euro ciascuno”, aggiunse Riccardo quasi meravigliandosi di come gli riusciva bene inventare frottole, pur non avendolo mai fatto.
“Bene, bene. Fanno sempre comodo. Con quello che costano i tuoi libri!”. Quindi, rivolgendosi a Raul: “Sei dei nostri per la cena?”
“Volentieri”, gli rispose col suo miglior accento portoghese.
Riccardo fece entrare Raul in camera sua. Tirò fuori da un cassetto alcuni fogli piegati, e cominciò ad aprirli adagiandoli sul suo letto.
“Questo sei tu”, gli disse mano a mano che dispiegava i suoi poster, “e anche questo, e pure quest’altro. Ti riconosci?”
“E come hai fatto a procurarteli? Neanche mia mamma a casa sua possiede così tante foto di me.”
“Me li hanno dati per lo più i miei amici - alcuni li hai visti oggi allo stadio - per farmi vedere quanto ci somigliamo. E poi ho tutti questi articoli di giornali e riviste che parlano di te. Ma per lo più dicono sciocchezze, secondo me; cose poco importanti e forse neanche vere.”
Raul incuriosito ne lesse qualcuno in silenzio, ogni tanto emettendo qualche breve ed espressivo commento. Ma a un tratto smise di leggere e poggiò tutto.
“Alla tua collezione penso che dovresti aggiungere un altro pezzo importante.” Aprì il suo borsone e ne tirò fuori la maglietta da gioco gialloverde, ancora puzzolente di sudore. “L'hai portata un po' anche tu, quindi te la meriti in pieno. E potrai dire che è originale, non una copia come tante.”
Riccardo fu d'accordo. Cominciò a frugare tra i suoi cassetti. “Devo avere un pennarello indelebile da qualche parte. Così mi ci puoi fare l'autografo e magari anche una dedica, se non ti dispiace.”
“Va bene”, rispose Raul. Prese una penna dal caos della scrivania e iniziò a firmare i poster. “Però, se vuoi il mio parere, questa maglietta devi lavarla e cominciare a usarla un po' più spesso. Per giocarci a pallone, naturalmente: ho visto che hai davvero molto da imparare. E se il mio autografo si scolorisce me lo fai sapere: la prossima volta che passo di qua te lo rifaccio.”
“Mi piacerebbe che fossi tu a insegnarmi a giocare”, rispose Riccardo.
“Temo che non sia possibile. I miei impegni sono molto lontani da qui. Già domani pomeriggio devo essere con la squadra per la visita medica e gli allenamenti.”
Terminato con gli autografi, Raul cominciò affascinato a curiosare nella stanza tra i tanti e disordinati libri di Riccardo.
“Sono tutti tuoi questi libri?”
“Sì, naturalmente.”
“E li hai letti tutti?”
“Tutti. Qualcuno più che letto l'ho studiato. Qualcuno a dire il vero lo devo ancora studiare.”
“Deve essere bello come passatempo. A casa mia di libri non ce n'erano. Solo quelli per imparare a leggere e scrivere, che ci siamo passati l'uno all'altro.” Mentre parlava, evidentemente a suo agio, riaffiorava leggermente il suo simpatico accento portoghese. “Ora i più piccoli possono studiare di più, anche grazie alla mia fortuna. Ma la mia fortuna è dovuta anche a questo: a casa non c'era quasi posto neanche per noi, ed erano tutti contenti che noi andassimo a giocare fuori. E io giocavo a pallone tutto il giorno, dovunque: tornavo a casa solo per dormire e mangiare. Mi divertivo, ed ero anche bravo, come puoi immaginare.”
“Hai detto che hai fatto solo le elementari?”
“Neanche tutte. Forse due o tre anni. Mi piacerebbe mandare un po' di soldi anche alla mia vecchia scuola. Adesso sto studiando l'italiano, e mi riesce abbastanza bene. Ma le altre materie no, non sono portato. Mi ero iscritto a una di quelle scuole per gli adulti, e ho mollato subito.”
“Io ho sempre avuto bisogno di leggere. Di storie nuove, di fantasia, più che altro. Forse perché da piccolo mi leggevano sempre le favole prima di dormire.”
“Anche a me mi raccontavano le favole. Mia mamma, o anche le mie sorelle. Ma le sapevano tutte a memoria, o forse le inventavano. D'altronde mia mamma tuttora non sa leggere. Ma qui in Italia vado spesso al cinema. È bello, mi piace.”
“Come hai detto che ti chiami?”
“Tutti gli amici mi chiamano Raul. Potete chiamarmi così anche voi, se volete”, rispose l'ospite ai genitori di Riccardo.
La cena era andata via tranquilla, con Raul di poche parole, ma cortese ed educato. Quando gli fu chiesto da dove venisse, si ricordò di una serata di beneficenza in un quartiere periferico e popolare di Palermo e disse di venire da lì. Sembrava quasi che parlasse della povertà del suo Brasile.
“E stasera dove dormi? Vuoi dormire da noi? C'è posto, se vuoi.”
“No grazie. Ho dei conoscenti qui a Roma.” Poi, terminato l'ultimo boccone del dessert: “Complimenti, signora: è tutto davvero molto buono.”
“Oh, non esagerare. Proprio niente di particolare. Se avessi saputo prima che ti fermavi a mangiare ti avrei fatto trovare qualcosa di meglio.”
“Riccardo, vuoi venire anche tu con me in discoteca questa sera? Conosco un locale davvero carino.” Riccardo esitò alla proposta del suo amico. Le discoteche in genere non erano davvero la sua passione; però gli dispiaceva che quella giornata così straordinaria finisse in maniera banale, ed era tentato di seguire il suo idolo per quanto possibile.
“Visto l'esito dell'esame te la meriti davvero una serata di svago”, commentò suo padre.
“Va bene, mi avete convinto: stasera vado a ballare. Datemi solo il tempo di vestirmi in maniera un po' più adatta.”
“A casa tua sono stato tuo ospite, qui sei tu ospite mio”, insistette Raul che per tutta la serata non gli lasciò mettere mano al portafoglio. Lo portò in un posticino davvero molto bello. Musica, tanta gente danzante e consumazioni a volontà. Ma dopo neanche mezz'ora Riccardo si era già stufato di ballare. Si mise seduto,