Scambi. Marco Fogliani

Scambi - Marco Fogliani


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sosta; quando si fermava, si metteva a chiacchierare con chi gli capitava. Nessuno sembrava riconoscerlo.

      “Dai, vieni a ballare anche tu!”, gli disse cercando di toglierlo da quella poltrona. “No, non posso, con questa caviglia”, rispose Riccardo. Ma non era per quello. Non ne aveva voglia, e forse era troppo impegnato a rimuginare su quanto accaduto quel giorno. Era stata la sua invidia a provocare quel curioso scambio di corpi o di anime? Magari c'era una predisposizione dovuta alla loro somiglianza; o era stata una stregoneria di qualche tifoso? Raul sembrava proprio un bravo ragazzo, più semplice di quanto lo dipingessero i giornali, ma davvero ricco. Però quasi analfabeta, e lontano dalla sua famiglia. Gli dispiaceva davvero, anche se involontariamente ed inspiegabilmente, avergli causato dei problemi.

      “È molto bello qui, non trovi?”, gli chiese Raul in un altro suo momento di pausa. Riccardo fece con la testa un cenno che poteva essere anche interpretato come un sì, ma sicuramente non lasciava trasparire nessun entusiasmo.

      “Sto pensando di comprare una parte del locale, e diventarne socio; e magari quando mi ritiro dal calcio vengo qui a fare il gestore. O anche solo il barman, mi piacerebbe. Tu che ne dici?”

      Riccardo non aveva certo questo tipo di aspirazioni. “Ma non hai intenzione di tornare in Brasile quando avrai finito come calciatore?”

      “Non lo so. Bisogna vedere. Se sposo una ragazza italiana è probabile che mi fermo. E poi dicono che non è facile riadattarsi a tornare indietro quando ci si è abituati ad un certo tenore di vita. Ma vedrai che finirò per fare come tanti calciatori: l'allenatore o il commentatore o giornalista sportivo.”

      “Per scrivere degli altri calciatori come adesso scrivono di te?”

      “Ti riferisci a quegli articoli che mi hai fatto leggere? No, quello è gossip, non giornalismo sportivo.”

      E Raul tornò a ballare lasciando Riccardo sulla sua poltrona, intorpidito e appesantito dal sonno. Più tardi Raul venne verso di lui in compagnia di due belle ragazze. Riccardo non capiva quello che si stessero dicendo: pensava che parlassero tra di loro in portoghese. Ma poi fu evidente che si stavano rivolgendo a lui, domandandogli qualcosa che lui non riusciva a capire.

      “Mi dispiace, non parlo portoghese”, si scusò Riccardo.

      “Dai su, Riccardo, svegliati. Diciamo a te. Vuoi starci a sentire?”

      Solo allora si destò e capì di essersi appisolato e di aver sognato, anche se non gli fu chiaro da quanto. “Noi stiamo per andare in un'altra discoteca che apre tra poco. Ti proporrei di venire, siamo in buona compagnia; ma vedo che sei molto stanco. Forse è meglio che ti riaccompagni a casa.”

      “Sì, sì, hai ragione”, fu d'accordo Riccardo, anche se proprio in quel momento si rese conto che le due ragazze da sogno vicino a lui erano vere.

      Il giorno dopo era quasi mezzogiorno quando la mamma lo venne a svegliare dicendogli che c'era una telefonata per lui. Era Raul.

      “Ho preso il primo volo questa mattina, direttamente dalla discoteca, e sono già arrivato. Sono venuto subito al campo a fare due palleggi. È tutto a posto. Voglio dire: io sono io, tu sei rimasto lì. Insomma il mondo è impazzito una volta sola, a quanto pare. Volevo ringraziarti per la compagnia, e sapere della tua caviglia.”

      “La mia caviglia? Ah, sì. Ora che mi ci fai pensare: se non la muovo non mi da fastidio, e neanche a camminarci.” La mosse un po', per sentire in che stato era. “Solo se la sforzo. Ma starò attento a non correrci e saltarci per un po'. Non è difficile, per me”.

      Così è terminata, o quasi, questa incredibile storia. Devo solo aggiungere che Raul fu davvero carino con Riccardo e, proprio come a ognuno dei suoi fratelli, alla fine del mese gli mandò una piccola somma di denaro. E questo regalo mensile divenne una bella consuetudine che, nonostante il trasferimento di Raul ad una grande squadra spagnola all'inizio della stagione successiva, andò avanti fino alla laurea di Riccardo.

      L'allontanamento di Raul dall'Italia, pur molto positivo per la carriera del giocatore brasiliano, rese davvero complicato realizzare il loro progetto di incontrarsi nuovamente. Nonostante tutto ci riuscirono, in occasione della laurea di Riccardo che ci teneva moltissimo a che Raul fosse presente alla sua festa. Lo avvisò con molto anticipo, concordarono la data e Raul non solo prese parte alla festa, ma gliela offrì mettendogli a disposizione quel locale di cui nel frattempo era diventato socio. Fu una festa bellissima, come nessun amico o collega di Riccardo poteva immaginare, a cui parteciparono anche personaggi famosi del mondo del calcio e dello spettacolo; una di quelle feste di cui si parla nelle cronache mondane. Riccardo ne fu felicissimo. E continuarono a vivere come cugini.

      IL PESO DI UN SEGRETO

      La mia vecchia, sdraiata supina nel suo letto, agitava il vecchio campanello sul comodino quasi per amplificare il beep intermittente di una sveglia per lei troppo moderna.

      “Ho sentito, ho sentito. Sto arrivando, mamma”.

      “È l'ora delle mie medicine. Me le hai preparate le medicine?”

      “Ma sì, mamma, sono lì pronte al solito posto dentro al piattino. E anche il tuo bicchiere. Basta che allunghi la mano.”

      “Sono le mie, le medicine, vero?”

      “Ma certo: e di chi vuoi che siano? C'è forse qualcun altro in questa casa oltre a noi due?”

      Quasi per caso i suoi occhi in quel momento erano aperti: ormai li teneva chiusi la maggior parte del suo tempo solo perché, diceva, le costava meno fatica. Ma anche a vederli aperti, così grigi e sempre più persi e sbiaditi, poco cambiava: il loro aspetto confermava chiaramente quanto il dottore ci aveva detto l'ultima volta, e cioè che la sua vista era ormai ridotta al lumicino.

      Povera mamma. Vederla in quelle condizioni mi faceva pensare che la vita si fosse presa gioco di lei.

      Fino a pochi anni prima, fintantoché il fisico glielo aveva permesso, era stata attrice di teatro, passione che mi aveva trasmesso assieme ai cromosomi. Lo scherzo del destino era che nell'opera di maggior successo da lei interpretata c'era una scena intera in cui lei era proprio in queste condizioni, inferma dentro ad un letto. Forse in quella scena, che io stessa mi ero rivista registrata per decine di volte, se la ricordavano quei pochi, pochissimi che si erano ricordati di lei in questi ultimi anni. Una scena che adesso, confrontata con la realtà, dava piena evidenza di tutti i suoi limiti di attrice.

      “Arianna. Aspetta ad andartene. Ti devo dire una cosa. Una cosa importante.” Fece una breve pausa, sollevandosi leggermente ma con grande fatica sui cuscini. “Ultimamente la mia salute sta peggiorando, me ne rendo conto.”

      “Ma no, mamma, non dire così. Diciamo che non migliori, questo sì”, le risposi cercando di tirarla su di morale. Ma lei proseguì senza dare il minimo peso alla mia pietosa bugia.

      “Per questo penso che sia arrivato il momento. Il momento giusto.”

      Temetti che volesse dirmi che stava per morire. In realtà non mi sbagliai di molto.

      “È arrivato il momento di confessarmi. Perciò vorrei che mi facessi venire qui un sacerdote.”

      “Confessarti? Un sacerdote? Ma stai scherzando! Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? Saranno forse trent'anni che non vedi un prete, voglio dire un prete vero. Forse è da quando mi sono sposata io, che chissà perché ne abbiamo voluto uno. In vita tua hai incontrato più attori vestiti da prete che preti veri; forse non sai neanche cosa sia una messa, se mai ci sei stata.”

      “Appunto. È proprio per questo che è arrivato il momento.”

      “Ma non hai pensato che forse sarebbe meglio confidarti con qualcun altro che conosci, piuttosto che con uno sconosciuto?”

      “Ti prego, Arianna, dammi retta e ubbidiscimi senza storie, almeno stavolta. Per tutta la vita ho sempre dovuto questionare con te. Sarebbe così bello sentire che non mi contraddici e che almeno una volta fai quello che ti chiedo senza polemiche.”

      In realtà


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