Le avventure del Principe Amir – 3. Militaria. Roberto Borzellino

Le avventure del Principe Amir – 3. Militaria - Roberto Borzellino


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entusiasta, «ecco la soluzione a tutti i nostri problemi».

      I tre si arrampicarono con difficoltà, anche a causa dei numerosi cespugli taglienti che, con attenzione, cercarono di evitare per non ferirsi. Giunti sulla cima un desolante spettacolo lì sorprese. Il posto era completamente deserto. Nessun albero né alcun fiore era visibile. Di tanto in tanto si avvertiva la presenza di qualche strano animale che, dopo aver lanciato un sibilo acuto, correva a nascondersi dietro un masso. Igor, prontamente, tirò fuori il suo enorme coltello mentre Marco rimase fermo, come impietrito dalla paura. In fondo per proteggersi aveva solo la sua benda da pirata e null’altro. Il principe, come al solito, non si perse d’animo e si addentrò verso l’interno dell’isola mentre i suoi due impauriti amici restavano fermi sulle loro posizioni. Akhmed si girò verso di loro e, dopo averli inceneriti con il suo tipico sguardo corrucciato, li apostrofò malamente.

      «Voi due idioti… codardi… cosa siete venuti a fare se non avete nemmeno il coraggio di affrontare quattro lupi spelacchiati».

      «Ma Akhmed», lo riprese Marco, «a me non sembrano affatto quattro lupi… io non ho mai visto in vita mia animali simili».

      «Si… anch’io», si affrettò a sostenerlo Igor.

      «O siete con me al 100% oppure tornate a nascondervi sulla barca!! Posso fare tutto da solo… non ho bisogno di codardi».

      I due amici, colpiti nell’orgoglio, dopo un breve sguardo d’intesa, si affrettarono a raggiungere il principe. I tre proseguirono a piedi per quasi un chilometro senza essere ulteriormente disturbati da anima viva. Intanto, l’alba aveva preso il sopravvento sull’oscurità e di quegli strani animali si era persa ogni traccia.

      «Lì… lassù… su quella piccola altura… un giglio blu… lo vedete anche voi… vero?», gridò Igor con tutta la forza che aveva in gola.

      Akhmed, Appena raggiunto quell’unico fiore, si accorse che, poco distante, un’enorme voragine si apriva davanti ai suoi piedi.

      «Portatemi le corde!!» esclamò impaziente, particolarmente incuriosito su quello che avrebbe trovato lì sotto. Ma prima volle accertarsi della profondità di quel buco enorme. Quindi lanciò all’interno una piccola pietra finché non ne sentì il caratteristico rimbombo. Fu il primo a calarsi nell’oscurità aiutato dalla piccola lampada che aveva assicurato alla cintura. Raggiunto il fondo invitò i suoi due titubanti amici a fare altrettanto.

      «Allora… vi muovete… non abbiamo tutto il giorno. Presto a corte si accorgeranno della mia assenza e allora saranno guai. Non sopporterei un’altra ramanzina di mio zio Modaffer III».

      Dal fondo della grotta Akhmed, con l’aiuto della luce della lanterna, provò ad illuminare le pareti facendo un lento giro su sé stesso. Tre grosse aperture si diramavano in direzioni diverse.

      «Principe… ma quale strada dobbiamo seguire?», pronunciò sottovoce Marco per paura che qualcuno lo potesse ascoltare.

      «Penso che noi tre dovremo separarci», propose Akhmed, «in modo che ognuno di noi potrà ispezionare ogni singola cavità…».

      «Non credo proprio!!» lo interruppe Igor.

      «Invece dobbiamo restare uniti perché ancora non sappiamo cosa o chi dovremo affrontare nell’oscurità».

      «Fate un po’ come vi pare!!» replicò arrabbiato Akhmed, infuriato per essere stato ancora una volta contraddetto dai suoi irriverenti amici. «Sappiate che quando diventerò il sovrano dell’Isola di Cora riceverete dieci frustate per ogni volta che avrete contestato le opinioni del vostro principe».

      «Ma Akhmed… noi siamo i tuoi soli e fidati amici… non è questo il modo di ringraziarci…», provò ad imbonirlo Marco.

      Il principe non lo degnò nemmeno di uno sguardo e si avviò, in compagnia del suo bastone, verso l’entrata centrale della grotta, seguito da tergo dai suoi sempre più terrorizzati amici. Armati di lampade ad olio, che da un momento all’altro avrebbero potuto cessare di funzionare, i tre camminavano con passo lento e circostanziato attraverso il fondo di quel cunicolo, prestando molta attenzione alle pareti sporgenti e taglienti, ma tanto alte e larghe da poterci stare comodamente in tre.

      «Questa grotta è abitata da giganti», profetizzò Igor, sempre più impaurito e titubante mentre la strada davanti a loro iniziava a diventare sempre più ripida e scivolosa.

      Intanto dalla profondità si udiva un rumore dapprima impercettibile e poi, via via, sempre più forte, come se qualcuno o qualcosa stesse schiacciando con i piedi delle uova.

      «Akhmed torniamo indietro… ti supplico… finché siamo ancora in tempo… ho un brutto presentimento… ho paura di quello che troveremo una volta arrivati in fondo», lo implorò in ginocchio Marco, mentre tentava di bloccarlo stringendo tra le sue mani l’orlo della giacca.

      «Devo vedere cosa c’è lì sotto… ormai siamo arrivati fin qui… non farmi perdere altro tempo…» sentenziò il principe mentre, con un colpo secco inferto con il suo bastone lo colpì violentemente sulle mani, tanto da liberarsi immediatamente da quella morsa.

      «Akhmed… fermati!», gli intimò a voce alta Igor, con quell’ultima goccia di coraggio che gli era rimasta in corpo.

      «Zio Carlo ci ha raccontato che… fin dai tempi antichi… tutti quelli che si sono avventurati verso quest’isola… non hanno mai più fatto ritorno a Cora. Ci sarà un motivo… una ragione… se esperti navigatori…. coraggiosi avventurieri… non sono mai tornati a casa?

      Come te lo spieghi tutto questo?

      Come puoi pensare che tre semplici ragazzi come noi saranno in grado di trovare il tesoro e di tornare indietro sani e salvi? Come…».

      Igor non riuscì a concludere la frase che un’intensa e gelida folata di vento li aggredì alle spalle e li spinse violentemente a terra facendoli dapprima rotolare su sé stessi e poi sempre più velocemente verso il basso. I tre cercarono di resistere a quell’inaudita violenza cercando di opporsi, con le mani e con i piedi, tentando di aggrapparsi gli uni con gli altri, ma ogni loro tentativo fu vano. Uno alla volta caddero di schiena sul fondo della grotta, restando così svenuti per diverso tempo.

      Akhmed fu il primo a svegliarsi e, nella completa oscurità, cercò di alzarsi. Le gambe gli scivolarono all’indietro e ricadde sul fondo, provocando quel sinistro rumore di uova rotte che aveva precedentemente sentito. Nella caduta qualcosa lo aveva graffiato alla gamba destra tant’è che, istintivamente, provò a prenderlo in mano per analizzarlo al tatto. Immediatamente capì che quello strano oggetto non era affatto un guscio d’uova ma assomigliava, per forma e lunghezza, a ossa umane, come un braccio o una gamba. Si fece coraggio e riprovò ad alzarsi, questa volta facendo attenzione a non perdere l’equilibrio.

      Con la mano si tastò il fianco destro come in cerca di qualcosa d’importante.

      «Che fortuna!», esclamò il principe.

      La lanterna, che al tatto sembrava ancora intatta, era rimasta attaccata alla cintura dei suoi pantaloni, nonostante la caduta. A quel punto venne assalito da un atroce dubbio.

      «Come farò ad accenderla», pensò tra sé e sé.

      «Marco dove sei? Marco svegliati», pronunciò sottovoce, ma con la netta sensazione che qualcun altro lo stesse ascoltando ed osservando.

      «Eccomi!», esclamò Igor, tutto baldanzoso e felice per essere stato il primo ad aver acceso la sua lanterna.

      «Sono qui mio principe», gli fece da contraltare Marco, anche lui con la lanterna in mano accesa e tutto contento per aver sconfitto


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