Nuovi poemetti (1909). Giovanni Pascoli
sciami di Soli, anzi, con mesti
pianeti ognuno, dove il fuoco primo
par che si spenga e che l’amor si desti;
dove marcisce il puro fuoco in limo
di vita, impuro, su cui vola forse
l’uomo con l’ali, o sguazza il fauno simo.
Le costellazïoni indi trascorse,
dalla fulgida Lira alla Carena,
dalla fulgida Croce alle grandi Orse;
ecco la fitta polvere, la rena
ogni cui grano è Mondo che sfavilla
nella sua solitudine serena;
dove pare un pulviscolo, una stilla,
il nostro cielo dalla volta immensa…
se pur là c’è la notte, una pupilla
nell’ombra, uno che veglia, uno che pensa!
E la vecchietta, dietro il suo pensiero,
guardando il cielo, ora vedea sé stessa,
non così vecchia, su per un sentiero.
Andava col su’ omo, era ben messa,
incignava quel giorno anzi un guarnello:
andava a su per ascoltar la messa.
Lo conosceva quel vïotterello:
era pieno di fragole e di more.
Quasi quasi n’empiva il suo pannello.
Ma poi ben altro le diceva il cuore,
perché sentiva scampanare a festa:
era la festa delle Quarant’ore.
Ella saliva i poggi lesta lesta,
cantarellando, fresca come brina;
ma in fondo al cuore era tra lieta e mesta.
E si trovava povera bambina:
frignava, dicea Pappa, dicea Bombo:
un’altra voce ripetea: Cammina!
Tremava in aria più vicino il rombo
del doppio. Lesta, ché non è lontano!
Sì, ma le sue gambette erano un piombo.
Allor sua mamma la pigliò per mano.
Una sua nuora, lì con la sua rócca,
c’era a vegliarla. Ad or ad or lo sputo
dava alle dita e due prilli alla cocca.
Svagellava, la nonna. Ogni minuto
parea l’ultimo. All’ultimo ecco a stento
aperse gli occhi. Essa lo avea veduto!
Il Papa! Era per l’Alpe, era tra il vento
gelido, anch’esso, era piccino e stanco,
sfinito morto, ma parea contento.
Come accaldato! Aveva corso in branco
co’ suoi compagni: aveva il capo in fiamma.
Ora sudava freddo; e con un bianco
lino la fronte gli tergea sua mamma.
ZI MEO
Guardava ognuno, per un po’, la vigna
tua lì rimpetto, nell’uscir di chiesa.
Oh! c’era sempre qualche bella pigna!
«Non ha finito!» E in dir così, sospesa
con l’acquasanta ancora avea la mano:
l’altra reggeva una candela accesa.
«Tutti vizzati buoni: colombano
e capobugio». E discendean le soglie,
a due a due, salmodïando piano.
O tra la lieve nebbia che si scioglie,
sole d’ottobre! o come lunghe aurore
giornate pure! o rosseggiar di foglie
presso a cadere! o limpide ultime ore!
Un pesco, tra le viti sciolte, rosso
era così come quand’era in fiore:
si ricordava! In faccia a lui, sul fosso,
grandi castagni con i cardi a ciocche
in tutti i rami; e i cardi avean già mosso.
Erano a bocca aperta, e dalle bocche
già si vedea la bella buccia bionda.
Oh! il bel tempo del fuoco e delle rócche!
quando le genti siedono alla tonda
avanti al fuoco, e quelle donne, quale
fa le mondine e quale poi le monda:
quando l’annata sia pur ita male,
ma il fuoco scalda! ma rallegra il vino!
e il vino è poco? Meno è, più vale.
Andavano pensando a San Martino,
sotto i castagni, e c’eri, su la bara,
coi panni buoni, tu, mio buon vicino!
Dal Rio mandava la sua voce chiara
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