Alla conquista di un impero. Emilio Salgari
che io avere trovato la pietra di Salagraman della pagoda di Karia. Mylord avere uccisi tutti i ladri bricconi, perché io mylord non avere mai paura neanche delle vostre bâg admikanevalla.
Tu intanto mettere saccoccia questa mohr. Noi inglesi pagare sempre disturbo. —
Udendo quelle parole e vedendo soprattutto quella grossa moneta d’oro, che Yanez gli porgeva, come se fosse una semplice rupia, gli indiani della guardia si erano rimirati l’un l’altro con profondo stupore.
– Mylord – disse il capo, confuso – è proprio vero quanto hai affermato? —
Yanez fece segno ad uno dei sei malesi, che reggeva sulle braccia una specie di cassetta avvolta in un pezzo di seta rossa, d’avanzarsi, poi disse:
– Qui dentro essere la pietra di Salagraman che fu rubata da birbanti thugs. Va’ dire questo a Sua Altezza.
Ricevere subito me, mylord. —
L’indiano rimase un momento esitante, guardando l’involto, poi, come se fosse stato preso da una subitanea pazzia si slanciò sotto l’ampio porticato battendo furiosamente i gongs sospesi al di sopra delle porte.
– Finalmente, – mormorò Yanez traendo flemmaticamente una sigaretta dal suo portasigari ed accendendola. – Avremo da aspettare ma ciò non monta. —
I suoi uomini, appoggiati alle loro carabine, mantenevano una immobilità assoluta, spiando attentamente la guardia indiana che teneva sempre le lance in resta.
Era appena trascorso un minuto quando un vecchio indiano, vestito sfarzosamente, che doveva essere qualche ministro o qualche cortigiano, seguìto da parecchi ufficiali che portavano sul capo degli immensi turbanti, scese l’immenso scalone di marmo candidissimo precipitandosi verso Yanez.
– Mylord! – esclamò con voce affannata. – È vero che tu hai trovato la pietra di Salagraman? —
Yanez gettò via la sigaretta, lanciò quasi sul naso dell’indiano l’ultima boccata di fumo, poi rispose:
– Yes.
– Vuoi dire?
– Sì: avvertire subito Sua Altezza.
– La vera pietra?
– Yes.
– E come l’hai trovata?
– Io parlare solo a rajah: mylord non essere uomo da poco.
– Dov’è la pietra?
– Io averla e bastare: Sua Altezza non ricevere me ed io andare a vendere pietra.
– No! no! mylord!
– Allora rajah ricevere me e subito. Io soffrire spleen.
– Vieni avanti, ti aspetta.
– Aho! Essere io molto contento. —
Fece un segno ai malesi e seguì il ministro o favorito che fosse, salendo lo splendido scalone, su cui, ad ogni gradino, trovavasi una guardia armata di carabina e di pistole.
– Si capisce che questo sovrano non si ritiene troppo sicuro – mormorò Yanez. – Che abbia fiutato il vento infido? In guardia, amico e trombona bene. —
Sul pianerottolo s’aprivano quattro grandiose gallerie, tutte di marmo, con colonne contorte e adorne di teste d’elefanti che intrecciavano artisticamente le loro proboscidi. Ampie tende di seta azzurra e leggerissima, con trama d’oro, d’uno splendido effetto, scendevano fra i colonnati onde ripararle dai riflessi del sole e mantenere una certa frescura.
Lungo le pareti dei vasi enormi per lo più d’origine cinese reggevano dei colossali mazzi di fiori e delle foglie di banani. Anche in quelle gallerie v’erano numerose guardie che passeggiavano, armate di picche e di scimitarre.
Il ministro fece attraversare a Yanez ed alla sua scorta una di quelle gallerie, poi aprì una porta tutta di bronzo dorato e sculturata e li introdusse in una immensa sala tappezzata in seta bianca con ricami d’oro e che aveva all’intorno parecchie dozzine di divanetti di velluto bianco.
All’estremità, su una piattaforma di marmo, coperta in parte da un ricchissimo tappeto, si ergeva una specie di letto, su cui stava sdraiato, appoggiandosi ad un cuscino di velluto rosso, un uomo che indossava una lunga zimarra bianca.
Intorno a quella specie di trono, stavano quattro vecchi indiani che sembravano sacerdoti, e dietro di loro, schierati su quattro linee, quaranta soldati seikki, i guerrieri più valorosi che abbia l’India e che vengono assoldati in gran numero dai rajah per farsene una guardia fedele e sicura.
Il ministro con un gesto imperioso fece fermare i malesi presso la porta, poi prese per una mano Yanez, lo condusse verso il trono gridando ad alta voce:
– Salute a S. A. Sindhia, rajah dell’Assam! Ecco il mylord inglese. —
Il sovrano si era alzato, mentre Yanez si toglieva il cappello.
I due uomini si guardarono per qualche minuto senza parlare come se volessero studiarsi a vicenda.
Sindhia era un uomo ancora giovane, poiché non pareva che avesse più di trent’anni, però la vita dissoluta che doveva condurre, aveva già tracciata sulla fronte del tiranno delle rughe precoci.
Era nondimeno sempre un bellissimo tipo d’indiano, dai lineamenti finissimi, con occhi neri che parevano due carboni lucenti. Una rada barbetta nera gli dava un aspetto piuttosto truce.
– Sei tu il mylord che mi riporta la pietra di Salagraman? – chiese finalmente, dopo aver squadrato dall’alto in basso il portoghese. – Se è vero quanto hai detto al mio ministro, sii il benvenuto, quantunque io non ami gli stranieri.
– Sì, io essere mylord John Moreland, Altezza, ed io riportare a te conchiglia con capello di Visnù – rispose Yanez. – Tu avere promesso ricchezze, onori, è vero?
– E manterrò la promessa, mylord – rispose il principe.
– Ebbene io a te dare conchiglia. —
Si volse facendo cenno al malese che portava il cofano di avvicinarsi. Levò la seta che l’avvolgeva e andò a deporlo ai piedi del principe.
– Tu vedere prima Altezza, se quella essere vera pietra rubata.
– Vi è un segno sulla pietra che io ed i gurum della pagoda di Karia conosciamo benissimo – rispose il principe.
Aprì il cofano e prese la conchiglia facendola girare e rigirare fra le mani. Una vivissima gioia si era subito diffusa sul suo viso.
– È la pietra che fu rubata, – disse finalmente. – Mylord, tu sarai mio amico. —
Uno dei suoi cortigiani udendo quelle parole portò subito a Yanez una sedia dorata, facendolo sedere dinanzi alla piattaforma.
Quasi subito una diecina di servi, che indossavano dei costumi sfarzosi entrarono reggendo dei vassoi d’oro sui quali vi erano delle chicchere piene di caffè, bicchieri colmi di liquori, piattelli con gelati e pasticcini dolci.
Il principe e Yanez furono i primi serviti, poi i ministri, quindi i malesi della scorta.
– Ed ora mylord, – disse Sindhia dopo d’aver vuotato un paio di bicchieri di cognac, ingollati come se quella vecchia grappa fosse della semplice acqua, – mi dirai come sei riuscito a sorprendere i ladri e perché ti trovi sul mio territorio.
– Io essere qui venuto a cacciare le bâg – rispose Yanez – perché io essere molto grande cacciatore e non avere paura di tigri. Io averne uccise molte, tante nelle Sunderbunds del Bengala.
– Ed i ladri?
– Io essermi imboscato ieri notte per cacciare una bâg nera e grossa molto e…
– Una tigre nera! – aveva esclamato il principe sussultando.
– Sì.
– Quella che ha divorati i miei figli! – gridò Sindhia passandosi una mano sulla fronte che pareva si fosse coperta d’un gelido sudore.
– Come? Quella