Il Corsaro Nero. Emilio Salgari
da Maracaybo. Siamo ai servizi del signor Governatore e dobbiamo rispondere delle persone che passeggiano per le vie ad un’ora cosí tarda.
– Se volete saperlo, venite a chiedermi il mio nome, – disse il Corsaro mettendosi rapidamente in guardia. – A te i due di destra, Carmaux.
Il filibustiere aveva sguainata la sciabola d’arrembaggio e muoveva risolutamente contro i due avversari che impedivano il passo sul marciapiede opposto.
I cinque baschi non si erano mossi, aspettando l’assalto dei due filibustieri. Fermi sulle gambe che tenevano un po’ aperte per essere piú pronti a tutte le evoluzioni, colla mano sinistra stretta contro la cintura e la destra attorno al manico della navaja, ma col pollice appoggiato sulla parte piú larga della lama, aspettavano il momento opportuno per scagliare i colpi mortali.
Dovevano essere cinque diestros, ossia valenti, ai quali non dovevano essere sconosciuti i colpi piú famosi, né il javeque, ferita ignominiosa che sfregia il viso, né il terribile desjarretazo che si avventa per di dietro, sotto l’ultima costola e che recide la colonna vertebrale.
Vedendo che non si decidevano, il Corsaro, impaziente di aprirsi il passo, piombò sui tre avversari che gli stavano di fronte, vibrando botte a destra ed a manca con velocità fulminea, mentre Carmaux caricava gli altri due sciabolando come un pazzo.
I cinque diestros non si erano per questo sgomentati. Dotati di una agilità prodigiosa, balzavano indietro parando i colpi ora colle larghe lame dei loro coltellacci ed ora coi serapé, che tenevano avvolti intorno al braccio sinistro.
I due filibustieri erano diventati prudenti, essendosi accorti di avere da fare con degli avversari pericolosi.
Quando però videro il negro allontanarsi col cadavere e perdersi fra l’oscurità della via tornarono furiosamente alla carica, frettolosi di sbrigarsela prima che qualche guardia, attirata da quel cozzare di ferri, potesse giungere in aiuto dei baschi.
Il Corsaro, la cui spada era ben piú lunga delle navaje e la cui abilità nella scherma era straordinaria, poteva avere buon gioco, mentre Carmaux era costretto a tenersi molto in guardia essendo la sua sciabola assai corta.
I sette uomini lottavano con furore, ma in silenzio, essendo tutti assorti nel parare e vibrare colpi. S’avanzavano, indietreggiavano, balzavano ora a destra ed ora a manca, percuotendo forte i ferri.
Ad un tratto il Corsaro, vedendo uno dei tre avversari perdere l’equilibrio e fare un passo falso, scoprendo per un istante il petto, si allungò con una mossa fulminea.
La lama toccò e l’uomo cadde senza mandare un gemito.
– E uno, – disse il Corsaro, rivolgendosi agli altri. – Fra poco avrò la vostra pelle!
I due baschi, per nulla intimoriti, stettero fermi dinanzi a lui, senza fare un passo indietro; d’improvviso però il piú agile gli si precipitò addosso curvandosi verso terra e spingendo dinanzi il serapé che gli riparava il braccio, come se volesse portare il colpo della parte baja, che se riesce squarcia il ventre, ma poi si rialzò e scartandosi bruscamente tentò di vibrare la botta mortale, il desjarretazo.
Il Corsaro fu lesto a gettarsi da un lato e partí a fondo, però la sua lama s’imbarazzò nel serapé del valiente.
Tentò di rimettersi in guardia per parare i colpi che gli vibrava l’altro basco e quasi subito mandò un grido di rabbia.
La lama era stata spezzata a metà dal braccio dell’uomo che stava per vibrargli il desjarretazo.
Balzò indietro agitando il pezzo di spada, e urlando:
– A me, Carmaux!…
Il filibustiere che non era ancora riuscito a sbrigarsi dei suoi due avversari, quantunque li avesse costretti a indietreggiare fino all’angolo della via, in tre salti gli fu presso.
– Per mille pescicani!… – tuonò, – eccoci in un bell’impiccio!…Saremo bravi se riusciremo a levarci d’attorno questa muta di cani arrabbiati.
– Teniamo la vita di due di quei bricconi, – rispose il Corsaro, armando precipitosamente la pistola che teneva alla cintola.
Stava per far fuoco sul piú vicino, quando vide precipitarsi addosso ai quattro baschi, che si erano radunati, credendosi ormai certi della vittoria, un’ombra gigantesca. Quell’uomo, giunto in cosí buon punto, teneva in mano un grosso randello.
– Moko!… – esclamarono il Corsaro e Carmaux.
Il negro invece di rispondere alzò il bastone e si mise a tempestare gli avversari con tale furia, che quei disgraziati in un baleno furono tutti a terra, chi colla testa rotta e chi colle costole sfondate.
– Grazie compare!… – gridò Carmaux. – Mille fulmini!… che grandinata!…
– Fuggiamo, – disse il Corsaro. – Qui piú nulla abbiamo da fare.
Alcuni abitanti, svegliati dalle grida dei feriti, cominciavano ad aprire le finestre per vedere di che cosa si trattava.
I due filibustieri ed il negro, sbarazzatisi dei cinque assalitori, svoltarono precipitosamente l’angolo della via.
– Dove hai lasciato il cadavere? – chiese il Corsaro all’africano.
– È già fuori della città – rispose il negro.
– Grazie del tuo soccorso.
– Avevo pensato che il mio intervento poteva esservi utile e mi sono affrettato a ritornare.
– Vi è nessuno all’estremità del borgo?
– Non ho veduto alcuno.
– Allora affrettiamoci a battere in ritirata, prima che giungano altri avversari, – disse il Corsaro.
Stavano per mettersi in marcia, quando Carmaux, che s’era spinto innanzi per perlustrare una via laterale, tornò rapidamente indietro, dicendo:
– Capitano, sta per giungere una pattuglia!…
– Da dove?
– Da quella viuzza.
– Ne prenderemo un’altra. Le armi in mano, miei prodi, e avanti!…
Va’ a disarmare il biscaglino che ho ucciso; in mancanza di altro è buona anche una navaja.
– Col vostro permesso v’offro la mia sciabola, capitano; io so adoperare quei lunghi coltelli.
Il bravo marinaio porse al Corsaro la propria sciabola, poi tornò indietro e andò a raccogliere la navaja di uno dei biscaglini, arma formidabile anche in mano sua.
Il drappello s’avvicinava a grandi passi. Forse aveva udito le grida dei combattenti ed il cozzare delle armi e s’affrettava ad accorrere.
I filibustieri, preceduti da Moko, si misero a correre tenendosi presso i muri delle case; percorsi circa centocinquanta passi, udirono il passo cadenzato di un altra pattuglia.
– Tuoni! – esclamò Carmaux. – Stiamo per essere presi in mezzo.
Il Corsaro Nero s’era arrestato, impugnando la corta sciabola del filibustiere.
– Che siamo stati traditi?… – mormorò.
– Capitano, – disse l’africano. – Vedo otto uomini armati di alabarde e di moschettoni avanzarsi verso di noi.
– Amici, – disse il Corsaro, – qui si tratta di vendere cara la vita.
– Comandate che cosa si deve fare e noi siamo pronti – risposero il filibustiere ed il negro, con voce decisa.
– Moko!
– Padrone!
– Affido a te l’incarico di portare a bordo il cadavere di mio fratello. Sei capace di farlo? Troverai la nostra scialuppa sulla spiaggia e ti porrai in salvo con Wan Stiller.
– Sí, padrone.
– Noi faremo il possibile per sbarazzarci dei nostri avversari, ma se dovessimo venire sopraffatti, Morgan sa cosa dovrà fare. Va’, porta il cadavere