La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari

La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari


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impegnata d’ambe le parti con grande ardore.

      Gli olandesi, quantunque costretti ad arrestarsi, non avevano cessato il fuoco. Una ventina d’uomini di fanteria marina appoggiava i pezzi a colpi di carabina, prendendosela col praho di Padar che non era difficile mettere fuori di combattimento, quantunque l’abile mastro, approfittando d’una fresca brezza di ponente, si fosse assai allontanato, mettendosi sotto la protezione dello yacht.

      I colpi spesseggiavano da una parte e dall’altra, scotendo fortemente le tre piccole navi.

      Turbini di fumo biancastro, attraversati da lunghe lingue di fuoco, li avvolgevano, rendendoli in certi momenti quasi invisibili.

      Yanez, vedendo che l’affare diventava serio, aveva assunto il comando del pezzo di poppa e ogni mezzo minuto scagliava, alla linea di galleggiamento dell’olandese, dei grossi proiettili.

      Ormai si trattava di vita o di morte ed i malesi ed i dayachi non davano indietro dinanzi al fuoco della cannoniera, quantunque parecchi cadessero sul ponte uccisi o storpiati.

      Le loro carabine appoggiavano vigorosamente i due pezzi dello yacht e le due spingarde del praho, decimando rapidamente gli artiglieri ed i fucilieri olandesi, troppo inferiori di numero per sostenere una battaglia contro i figli delle vecchie tigri di Mompracem.

      La fine si avvicinava.

      Yanez aveva assunta la direzione dei due pezzi e sfondava con grossi proiettili conici di buon ferro i madieri dell’avversaria, aprendole delle vie d’acqua.

      Gli olandesi, quantunque crudelmente decimati, resistevano disperatamente, sapendo che non avrebbero trovato quartiere da uomini che avevano inalberato il vessillo di Mompracem.

      Il loro fuoco per altro diventava di momento in momento meno intenso.

      Uno dei loro pezzi era stato imbroccato con matematica precisione e non serviva più a nulla, mentre l’altro, troppo scaldato dalla frequenza delle scariche, tirava male.

      Tuttavia non ammainavano la bandiera del loro paese, che pareva avessero inchiodata sul picco per impedire di scorrere, perché già sapevano che non avrebbero trovata mercè.

      Yanez, sempre calmo, sempre impassibile, aiutato da Mati, raddoppiava i tiri, lanciando sul povero legno una tempesta di ferro.

      Specie sui suoi fianchi batteva poderosamente per aprirvi delle vie d’acqua.

      I madieri infatti, sotto l’urto dei proiettili, si spaccavano, aprendo delle falle quasi a fior d’acqua.

      Ad ogni scarica la povera cannoniera sussultava e si agitava, come se fosse presa dal male della tarantola.

      Ad un tratto si udì una sorda detonazione.

      – Che cosa è successo? – chiese Mati a Yanez.

      – L’acqua ha invaso le macchine e le ha fatte esplodere.

      – E quella gente?

      – Ci hanno assaliti senza che noi avessimo loro fatto alcun male. S’affoghino tutti.

      – E dopo?

      – Al dopo ci penserò io, Mati, – rispose il portoghese con un sorriso, gettandosi bruscamente da parte, mentre un pezzo di murata veniva sfondato.

      Alzò la voce:

      – Padar! Raddoppia il fuoco! Spazza via tutto! —

      La cannoniera offriva uno spettacolo spaventevole. Il suo albero delle segnalazioni era caduto insieme con le griselle e le sartie, e dai boccaporti spalancati irrompevano grandi nuvole di fumo biancastro, prodotte ormai non più dai pezzi, bensì dalle macchine.

      Per quattro o cinque minuti ancora i due legni tempestarono il legno avversario, spazzandolo da poppa a prora, poi la cannoniera subì un altro scoppio che le disarticolò i corbetti ed il fasciame.

      Cominciava a bere a garganella.

      Attraverso i fori aperti dalle palle, l’acqua si precipitava in grande quantità, invadendo la stiva.

      Lo yacht ed il praho avevano sospeso il fuoco.

      Gli olandesi invece, prima di sommergersi consumavano le loro ultime cartucce.

      Per un po’ fu un sibilar di palle sopra lo yacht ed il veliero di Padar, poi la moschetteria bruscamente cessò.

      La cannoniera, sventrata dalla doppia esplosione delle sue macchine, affondava, girando lentamente su se stessa.

      In altre circostanze certamente Yanez non avrebbe assistito impassibile alla fine di quei valorosi, che piuttosto di calare la bandiera, preferivano farsi ingoiare dal mare.

      La testimonianza di quegli uomini era troppo pericolosa. Meglio sopprimerli pur con dispiacere, per la salvezza generale.

      La cannoniera continuava a girare su se stessa, barcollando come se avesse troppo bevuto.

      Ad un tratto si rovesciò violentemente su un fianco e si capovolse di colpo, scomparendo entro un gran gorgo spumeggiante.

      – Se avessi avuto i mezzi di poterli salvare, tutto avrei forse tentato – disse Yanez il quale appariva assai commosso e turbato. – Infine si tratta dell’esistenza di tutti ed il grandioso piano ideato da Sandokan di prendere il Sultano fra due fuochi sarebbe terminato prima del principio.

      D’altronde, io non li ho cercati, non sono stato il primo ad assalire. —

      Fece colle mani portavoce e gridò con quanta voce aveva in gola:

      – Padar! Accosta! —

      Il piccolo praho, che era sfuggito miracolosamente al fuoco della cannoniera, spiccò una bordata ed andò ad ormeggiarsi sotto la scala.

      – Monta! – gridò Yanez.

      Il mastro salì lestamente a bordo, mentre il portoghese scendeva nel quadro, dove l’ambasciatore inglese continuava ad urlare come un forsennato.

      – Pirati! Mascalzoni! Chi mandate a fondo? Aprite o la grande Inghilterra saprà trarre una vendetta esemplare. —

      Yanez impugnò una pistola ed aprì la porta della cabina, dicendo: – Signor ambasciatore, preparatevi a fare un viaggio.

      – Per dove, miserabile? – urlò l’inglese, mettendosi in guardia di boxe.

      – Per la baja di Gaya, per ora.

      – Io non ho affari in quei paesi, mio caro pirataccio.

      – Non m’interessa affatto.

      – E se mi rifiutassi?

      – Vi farei imbarcare colla forza, signor ambasciatore.

      – Siete un americano, voi?

      – Perché?

      – Perché quella brava gente d’oltre Atlantico non ha mai avuto scrupoli.

      – Non sono affatto uno yankee, signor mio.

      – Agite bensì come quelle brave persone.

      – Certo, quando si tratta di salvare sessanta uomini che sono stati affidati a me.

      – E che cosa avete fatto ora, canaglia?

      – Ben poca cosa – rispose Yanez. – Una cannoniera mi dava fastidio, ed io l’ho affondata. Ero nel mio diritto.

      – Il diritto dei pirati!

      – Lasciate andare le parole, Sir.

      – Che cosa volete che vada a fare dunque al Borneo?

      – La vostra patria è sempre stata una grande divoratrice di terre. Lassù vi sono delle terre vergini da conquistare.

      Inalberate la bandiera rossa e vedrete gl’indigeni accorrere a frotte a baciarla.

      – Voi vi burlate di me.

      – Io? No, Sir: non sono mai stato serio come ora.

      – E che cosa pretendereste?

      – D’imbarcarvi, vi ho detto: siete sordo?

      – Sento magnificamente, mia cara canaglia!

      – Ah,


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