La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari

La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari


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sì, sì! – gridò il Sultano, battendo le mani come un fanciullo.

      Yanez mandò un fischio stridente, che fece balzare Mati colla velocità d’una gazzella.

      Gli sussurrò sottovoce alcuni ordini, poi gridò in macchina di arrestare lo yacht.

      – Voi me ne regalerete uno, se avrete la fortuna di catturarne – disse il Sultano.

      – Sono pessimi, Altezza.

      – Pei cinesi, e regalato dal loro buon Sultano, andrà benissimo e non ne rimarranno nemmeno le spine.

      È molto tempo che debbo loro un regalo in cambio di un superbo zaffiro.

      – Mangino il pesce-cane allora! – disse Yanez, il quale non aveva potuto trattenere un sorriso.

      Mati, seguito da sei uomini, era ricomparso sul ponte, portando un ancorotto da pennello, con tre patte, tutto avvolto in una stoffa rossa.

      In una branca aveva cacciato ben dentro un pezzo di lardo del peso di sette o otto chilogrammi.

      Alla ghirlanda fu fissata una robusta catena, la quale fu poi passata all’argano poppiero per poter estrarre più facilmente il bestione, nel caso, non improbabile, che avesse abboccato.

      Come abbiamo detto, la corsa era stata interrotta e lo yacht ondeggiava dolcemente in mezzo ad un’acqua così trasparente da dare le vertigini.

      Nei mari dell’India e della Sonda, quando non soffia vento e l’onda non rimescola il fondo, l’acqua acquista una trasparenza meravigliosa.

      Certe volte si possono vedere dei pesci nuotare a cento o centocinquanta metri di profondità.

      L’ancorotto fu subito calato a tribordo della nave, mentre altri marinai si armavano di scuri e di parangs.

      Il Sultano, il suo seguito, la bella olandese e Yanez si erano curvati sulla murata, ansiosi di assistere a quella straordinaria caccia.

      L’ancorotto si vedeva benissimo, essendo stato immerso ad una profondità di venti metri.

      Il suo rivestimento rosso doveva richiamare prontamente l’attenzione delle ingorde tigri del mare.

      – Questi si chiamano divertimenti milord – disse il Sultano. – Se io avessi un ministro come voi, sarei l’uomo più felice del Borneo.

      – Se vorrete, Altezza, oltre a delle crociere, noi faremo anche delle partite di caccia. Le tigri non devono mancare fra i boschi dei monti del Cristallo.

      – Purtroppo, milord.

      – Andremo a scovarle e ornerete colle loro pelli le vostre splendide verande.

      – Ho nelle vene sangue arabo e malese, potete quindi immaginarvi come io ami la caccia. Gli è che i miei ministri hanno paura a seguirmi. —

      In quel momento una grande ombra sorse dalle profondità del mare e salì verticalmente in direzione dell’ancorotto. Ma al momento di urtarvi contro, si era lasciata ricadere, agitando debolmente le pinne e la coda.

      – Che ritorni? – chiese il Sultano.

      – La voracità vincerà il pericolo – rispose Yanez. – Abbiate un po’ di pazienza, Altezza. Non ci vuole fretta per prendere questi bestioni. Là, vedete? Ecco l’ombra che risale. —

      Il pesce-cane infatti risaliva a poco a poco, attratto irresistibilmente da quel pezzo di lardo che costituiva infatti un buon boccone.

      Passò qualche minuto, poi lo squalo, che discendeva sempre attraverso alle acque trasparenti a malincuore, sempre colla testa in aria e gli occhi fissi sull’ancorotto, riprese lo slancio, portandosi all’altezza dell’ancorotto.

      – Che nessuno parli – disse Yanez. – Lasciatelo fare. —

      Si trattava d’un superbo charcarias, lungo sette metri, con una bocca così vasta da poter contenere un uomo ripiegato.

      Ma doveva essere una vecchia pelle, perché invece di correre subito all’assalto del pezzo di lardo, si mise a descrivere intorno all’ancorotto degli ampi giri, che a poco a poco, ma molto lentamente, si restringevano.

      Tutti quegli stracci rossi, ond’era avvolto l’ancorotto, dovevano dargli l’illusione di aver da fare con un bel pezzo di carne ancora sanguinante.

      Come tutti i mostri della sua specie, diffidava, e quando stava per abboccare, sia che si spaventasse delle ombre degli uomini saliti sulle murate o del fondo dello yacht, con un brusco slancio si allontanava.

      Ma la fenomenale voracità di quei terribili abitanti del mare doveva vincere la prudenza.

      Un altro bestione era giunto ed allora il primo, temendo che volesse portargli via la colazione, si slanciò innanzi, aprì la sua immensa bocca semi-circolare ed inghiottì d’un colpo l’ancorotto, il lardo ed un bel tratto di catena.

      Un grido altissimo si era alzato fra i malesi ed i dayachi dello yacht.

      – È preso! È preso!

      Lo squalo aveva dato indietro, tentando di troncare con un colpo di denti la catena, poi era rimasto quasi immobile.

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