Top. Albertazzi Adolfo

Top - Albertazzi Adolfo


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gli comparve dinanzi con gli occhi semichiusi sotto le ciglia folte e lunghe, in un'attitudine quasi violenta per lo sforzo della volontà. E al fratello, che attendeva zitto e cheto, parlò con un lieve tremito nella voce.

      – Ho pensato che è meglio ci dividiamo. Io mi tengo la Valletta; a te l'altro podere, la vigna e la casa. Nella casa mi riservo il camerone. Ci mettiamo il letto; il camino c'è: mi basta.

      – Come vuoi – disse Adelmo Marzioli.

      – Incarichiamo del rogito il notaio di qui o di Faenza?

      – Come vuoi.

      – Siamo d'accordo?

      – D'accordo.

      E Adelmo Marzioli riprese a scrivere.

      Se non che mentre Prospero stava per uscire successe quasi un miracolo: il fratello aveva qualchecosa da aggiungere.

      – Ehi! Senti!

      Prospero si voltò.

      – Cosa ne dirà il paese?

      Prospero rispose: – Dirà quel che dico io: che io sono un uomo all'antica e le tue donne vanno alla moderna; che, secondo me, voi spendete troppo in proporzione al tuo stipendio e alle entrate, e io voglio assicurarmi della mia parte per quando sarò vecchio e per lasciarla, quando morirò, a mia nipote se non si mariterà, o se sposerà uno della sua condizione. È chiaro?

      – È chiaro.

      – C'è altro?

      – Nient'altro.

***

      La separazione non dispiacque neanche alla cognata. Non che Prospero le avesse mai dato soverchio disturbo; sempre però l'avevan tenuta in un certo disagio quel suo carattere scontroso e quelle sue abitudini di misantropo, e da un pezzo in qua egli la seccava con le osservazioni a ogni spesa che si faceva per l'Elena. – Ah ah! vestito nuovo; scarpine nuove! oro! gioielli! Durerà? – Dispiacere, e più che dispiacere, provò invece l'Elena. Come ad accorgersi di Top senza collare pensò che lo zio aveva scoperto la marachella, all'avvenimento che seguì pensò che lo zio era impermalito con lei; e dubitò d'averlo contrario nelle sue speranze. Avrebbe voluto impietosirlo dicendogli: – Io le sono tanto affezionata! sia buono! – , o magari provocarne lo sdegno dicendogli: – Che cosa le ho fatto, io? – ; purchè parlasse! Il silenzio di lui l'atterriva. Ma non osava andar a trovarlo nel camerone; affrontarlo. Finchè ebbe un'idea. Dall'uscio che dal camerone metteva nella stanza da desinare la madre aveva tolta la grossa chiave. Elena s'avvide che per il buco della toppa passava una spera di luce. Allora si chinò, guardò, scorse le gambe dello zio andare e venire. Benissimo! E colto il momento che nessuno poteva udirla, fece, a voce bassa:

      – Zio! zio!

      Lo zio palpitò; volse lo sguardo intorno; e non fiatò.

      – Sono qui dall'uscio! M'ascolti! Una parola, zio!

      Egli non fiatò; non si mosse.

      – Io le sono tanto affezionata, e lei non mi risponde nemmeno! Cosa le ho fatto, io?

      Ma a questo punto Top, il quale giaceva nel cantuccio vicino alla civetta, tese gli orecchi, si alzò, precipitò all'uscio; e drizzato su due piedi contro di esso, si mise ad abbaiare e a guaire affettuosamente.

      – Ah Top! il mio Top! Tu sei buono! Diglielo tu allo zio che è cattivo, che mi fa soffrire!

      Cattivo? Soffrire? Era un'ingiustizia! un'infamia! Lo zio non ci resse più. Esclamò, ironico:

      – Soffri, eh, perchè ho levato il collare a Top?

      Poi, con sarcasmo per lei e per sè medesimo:

      – A far all'amore non potrebbe servirti, in cambio, il buco di una serratura?

      Nessuna risposta. Non s'udì più che il vario vocìo dei richiami. E Top tornò ad accucciarsi vicino alla civetta.

      IV

      Non molti giorni dopo, mentre stava aggiustando gli staggi a una rete, il signor Prospero udì battere alla porticella di strada e chiedere forte:

      – È permesso?

      Nè aveva ancora risposto – avanti! – che un signore entrò; giovine.

      – Disturbo, signor Marzioli? Mio padre mi ha consigliato di venir da lei per…

      – Chi è vostro padre? – interruppe il Marzioli senza muoversi da sedere e senza far complimenti.

      – Tarelli! Io sono Diego Tarelli.

      Ah! aveva dinanzi il figlio del conte; il più ricco del paese: bisognava riceverlo con garbo.

      – S'accomodi! Mi dispiace… – affrettò cerimonioso e imbarazzato – ; in questa stamberga… in questo disordine…

      – Amabile disordine! – esclamò, disinvolto, il giovine. – Sapesse come l'invidio, signor Prospero! Lei è il più famoso cacciatore di Romagna! Quante volte a Roma ho pensato a lei!

      – A Roma?

      – Ci ho compiuti gli studi; e adesso sono, vorrei diventar cacciatore anch'io. Ecco – aggiunse contemplando le gabbie in terra o appese al muro – : ecco i richiami, i cantaiuoli! Quaglie. Un merlo. Cardellini. Fringuelli. Un fanello…

      – Un frisone – corresse il signor Prospero.

      – Sbagliavo: un frisone; un…

      – … bigione.

      – E quante reti! Di quante sorta! Piccole, grandi, a maglie larghe e a maglie strette. E han tutte il loro nome, eh?

      – Sì. Quella lassù, distesa, si chiama aiuolo; quella accanto, paretella; quell'altra, è una ragna. Queste qui giù sono erpicatoi, diluvi. Questa che sto aggiustando è una lungagnola.

      Intanto Diego Tarelli cercava accostarsi all'uscio (l'uscio dal buco della serratura aperto); e come ci fu, volse il dorso e alzando gli occhi alla parete di contro:

      – Anche armi antiche – disse – . Curiose!

      Il signor Prospero accennava:

      – Uno schioppetto del seicento. Una cerbottana; una balestra.

      – E gli ordigni, più in basso?

      (Com'era difficile…).

      – Corni da polvere.

      – No: intendo dir gli altri, là, a terra.

      (Com'era difficile infilare un bigliettino nel buco della serratura voltandole le spalle!).

      – Sono trappole; pignuole; bertovelli.

      – E il modo d'usarli?

      – Semplicissimo.

      Il signor Prospero andò a prendere una gabbia col ritroso per dimostrarla da vicino al visitatore; e questi intanto riuscì a spingere nel buco il biglietto che la mano dell'Elena da un pezzo era pronta a ricevere.

      Ma la faccenda non doveva finir bene. Colpa di Top.

      Il quale, spalancata d'un salto la porta, entrò, e a veder Diego Tarelli gli fece la festa dovuta a un caro amico.

      – Top! Top! – Il giovine non potè fingere di non conoscerlo.

      Allora un sospetto balenò alla mente del signor Prospero. Strinse gli occhi sotto le ciglia folte e lunghe. Dimandò, cupo:

      – Vi conoscete?

      – Chi non conosce Top? Tutto il paese! Io poi ne sono un ammiratore; e appunto perciò sono venuto a disturbarla, signor Prospero. Me lo vende? a qualunque prezzo…

      «Me lo vende?» Ahi ahi! Cotesta dimanda, cotesta proposta, urtando nel sospetto che tornò a insistergli in mente, strappò, a un tratto, fuor di sè lo zio. Parve investir il visitatore, minacciarlo con la gabbia in mano. – Vendere, io, Top?

      Vendere Top, la sola creatura affezionata che, perduta Elena, gli resterebbe al mondo, almeno per qualche anno?

      – Vendere


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