Top. Albertazzi Adolfo
io?
Bene. Non si commosse Adelmo; chiese soltanto:
– C'è altro?
– Nient'altro – rispose Prospero allontanandosi e premendosi con la mano il cuore.
VII
E rimise il collare a Top. Ma chiuse per sempre il camerone delle memorie e delle glorie sue e familiari.
Alla Valletta – ove dimorava in una piccola stanza simile a una cella – consumava molta parte del giorno leggendo o tentando di leggere. Aveva dato la libertà ai richiami e alla civetta; e a caccia non andava più che con Top, senza sparare un colpo. Nel dissidio che era in lui fra l'energia della razza e l'affievolimento dell'amore – l'amore per tanti anni respinto – l'amore troppo tardi conosciuto – ora si meraviglierà di aver potuto incrudelir con le creature innocenti e liete eppur godere, nel tempo stesso, della comunione di sè con la vita naturale; ed ora si rammaricava d'esser così mutato, d'esser così fiaccato nel suo soffrire.
Elena! Avrebbe voluto udir parlare sempre di lei, solo di lei.
Spesso gliene discorreva il vecchio; ogni volta che tornava dal paese. Quante chiacchiere intorno al matrimonio Marzioli Tarelli! Che cotta s'era buscata quel giovine! Che fortuna, quella ragazza! Ma la meritava. La più bella ragazza del paese! Una bella romagnola!
Già si sapeva che, il dì di San Martino, le nozze sarebbero celebrate con gran pompa; e dopo, gli sposi partirebbero per Roma.
– Col diretto delle undici – notò, per dire qualche cosa, per nascondere sè a sè stesso quasi con una prova d'indifferenza, il signor Prospero. Poi dimandò aggrottando le ciglia:
– E di me cosa si pensa?
– Qualcuno pensa che lei ha giudizio.
– Perchè?
– Perchè lei non approva questo matrimonio. I Tarelli han troppi soldi, e i troppi soldi non han mai fatto contento nessuno.
VIII
Alla proda del fosso, davanti all'acaciaia, Prospero Marzioli sedeva tenendo lo schioppo appoggiato al ginocchio sinistro e poggiando sul destro il gomito si reggeva col braccio e con la mano il capo. Aspettava passasse il treno che portava gli sposi al viaggio di nozze. Finalmente – ecco – sobbalzò. Laggiù tra gli alberi, sotto il fumo che livido stentava a sollevarsi e a diffondersi nell'aria umida, egli osservava scorrere il convoglio, rotear via rombando.
Elena! Elena! Senza voce la chiamò con tutta l'anima; invisibile agli occhi, la vide; la perdè: con tale angoscia che non si morse più le labbra per trattenere i singhiozzi. Nè allora ebbe vergogna di sè stesso. Gli parve allora che la derisione, lo scherno di tutti gli uomini non l'avrebbe offeso. E mentre le lagrime gli colavano per le guance e volgeva lo sguardo, a scorgersi, a sentirsi solo in quella campagna deserta e squallida capì che di contro il dolore umano c'è qualche cosa di peggio che l'umana cattiveria, l'irrisione, lo scherno: c'è l'indifferenza di tutta la vita estranea alla nostra vita, c'è la separazione da noi delle infinite esistenze inconsapevoli di noi.
A lui che cosa restava? chi gli restava? Un cane! L'ira lo scosse; gli diè l'impeto di chi cerca divincolarsi. E gridò, fremente:
– Top!
Top impazzava a levar passeri dal seminato, a inseguirli abbaiando; e non attese alla voce del padrone.
Ma questa volta il padrone non ripetè l'ordine prima di punir la disubbidienza.
Sparò.
Un guaito; e il bracco cadde.
Prospero Marzioli corse a lui; e vide gli occhi spaventosamente affettuosi, ebbe da quegli occhi che si spegnevano una tremenda invocazione di pietà. E quasi per trovar ristoro al male atroce o fine all'agonia, la povera bestia piegò il collo.
Dal collare usciva, arrotolato e tenuto da un filo, un bigliettino.
E lo zio, premendosi con la sinistra il cuore, lo prese. Lesse:
Diglielo tu, Top, allo zio che gli vorrò sempre bene; tanto, tanto bene!
Ma Top era morto.
LE PENNE DEL PAVONE
Andar a bruscolare anche allora significava in pratica, più che la parola non dica, raccogliere, per bruciaglia, stipa grossa e bacchetti lunghi, e se nel luogo della ricerca si trovavan begli alberi frondosi la coscienza non escludeva qualche strappo o taglio di materia non secca. La massima antica che «la roba dei campi è di Dio e dei Santi» pareva dar diritto, allora, a portar via qualche cosa appartenente ad altri; e poichè oggi il diritto nuovo pare conceda di portarla via tutta, o quasi tutta, evidentemente la roba dei campi sarà oggi passata in padronanza superiore a quella dei Santi e di Domineddio: il mondo non cammina per nulla.
– Non date danno – raccomandava la donna del casellante ferroviario ai suoi ragazzi; e aggiungeva come argomento positivo alla moralità ideale: – Potreste buscarvi delle bòtte – . Quando però i figliuoli rincasavano carichi di legna o, magari, stringendo al seno un mellone o un cocomero, e dicevano: – Ce l'han donato – , lei fingeva di crederlo: li vedeva incolumi, e «la roba dei campi…».
Ma la buona donna raccomandava con maggior premura: – State lontani dai borroni!
Perchè a bruscolare andavan di solito lungo il Rio Rosso dove scorre più fondo tra più folto e più pioppi, verso monte; e non vi mancavano le tentazioni e i pericoli.
Il divertimento alla chiusa!: togliere i travi che servivan da paratoia per veder la piena precipitare riscintillante, e mandar con essa – a rischio di tenergli dietro – il primo trave per sollevare dal baratro una fragorosa colonna di spume e di faville! E i pesci? Non si godeva a sorprenderli e quasi afferrarli mentre galleggiavano nell'acqua limpida e tremula?
Quel giorno, dunque, i figliuoli del casellante, Mario e Aldo Sartori… Bei ragazzi tutt'e due, ma più il piccolo – Aldo – , che esprimeva dagli occhi la letizia del sangue sano e la bontà dell'indole… Quel giorno, a fin di luglio, appena furono discesi dal ponte s'avviarono di corsa alla chiusa. Ahimè, non aveva raccolta. E il caldo era così grande che i pesci non comparivano, e fin i ranocchi, all'approssimar dei passi, tardavano a balzar giù con un tonfo e a penetrar nella melma dimenando le gambe e intorbidando, come d'un fumo, il breve specchio. Soltanto le idrometre mostravano d'esser contente a sfiorar l'acqua coi fili delle loro zampine, insensibili a tutto fuorchè al correre miracolosamente così su l'acqua, nel sole; emanazione di vita indifferente a tutto fuorchè al molle contatto e al moto alacre e incessante.
– Raduna tu i bacchetti – comandò Mario al fratello, e si adagiò a un'ombra. – Io farò il fascio.
Sapeva già compor le fascine a modo degli uomini. Con un vinco. Ne attorcigliava la vetta a cappio, sottoponeva il legame alla stipa, la calcava col piede, e introducendo nel cappio l'altra estremità del vinco la tirava e torceva in groppo sì che tenesse la presa. Poi si addossava il fastelletto e portandolo a dorso curvato si credeva che chi lo guardava lo stimasse un uomo. Perciò comandava al fratello e gli lasciava il vanto della fatica più umile.
– Cogli tu! Presto!
No e no. Aldo ne aveva meno voglia di lui. E liticarono. E si acciuffarono. Dei due, Mario, che percuoteva più sodo, era più facile a lamentarsi. Aldo resisteva finchè poteva, indi scappava con rivincita di boccacce e sberleffi che ne rideva lui stesso. E ridendo tornavano in pace.
Da quanti secoli si ripete nei fanciulli la smaniosa gioia che dovevan provare gli uomini primitivi allorchè riuscivano a impossessarsi di qualcuna delle più liete creature del mondo? Era una vittoria su la natura, la quale ai volatili volle dar mezzo di sfuggire alla cupidigia umana, ed è tuttavia la soddisfazione di un'istintiva, atavica invidia per quelle creature così liete a credersi inafferrabili: tanta soddisfazione, tal gioia da rendere ingenua e inconsapevole la crudeltà.
– Con un archetto – diceva Mario – si prendon le buferle.
Ora i fratelli sedevano all'ombra insieme, pacificati e invogliati di caccia da un branco di