Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1. Ali Bey
i quali, malgrado la vicinanza loro, sono gli uni agli altri così stranieri quanto un francese lo sarebbe ad un chinese. Nelle nostre contrade del Levante, se noi osserviamo progressivamente l'abitante dell'Arabia, della Siria, della Turchia, della Valacchia, dell'Allemagna, una lunga serie di transizioni ne indica in qualche modo tutti i gradi che separano l'uomo barbaro dall'uomo civilizzato: ma qui l'osservatore tocca in un solo mattino gli estremi della catena della civilizzazione, e nella piccola distanza di due leghe e due terzi, che è la più breve tra le due coste1, trova la differenza di venti secoli.
Avvicinandoci a terra si presentarono a noi alcuni Mori; uno de' quali, che mi si disse essere il capitano del porto, avvilupato in una specie di sacco grossolano con cappuccio, colle gambe ed i piedi ignudi, tenendo una gran canna in mano, entrò nell'acqua chiedendo il certificato di sanità, che gli fu dato dal mio padrone; indi rivoltosi a me, fecemi le seguenti interrogazioni.
Capitano. Di dove venite?
Ali Bey. Da Londra, per Cadice.
C. Non parlate voi il moresco?2
A. No.
C. Qual è adunque la vostra patria?
A. Aleppo.
C. E dove trovasi Aleppo?
A. Nello Scham (la Siria).
C. Che paese è Scham?
A. È a levante presso la Turchia.
C. Voi dunque siete Turco?
A. Non sono Turco, ma il mio paese è sotto il dominio del Gran Signore.
C. Ma voi siete musulmano?
A. Sì.
C. Avete passaporti?
A. Sì, ne tengo uno di Cadice.
C. E perchè non è di Londra?
A. Perchè il governatore di Cadice lo ritenne, rilasciandomi questo.
C. Datemelo.
Io lo passai al capitano, il quale, dando ordine di non permettere ad alcuno di sbarcare, partì per mostrare il mio passaporto al Kaïd ossia governatore. Questi lo mandò al console di Spagna perchè lo riconoscesse; il quale avendolo dichiarato autentico, me lo rimise per mezzo del vice-console, che venne al mio battello con un Turco chiamato Sid Mohamed, capo dei cannonieri della piazza, che il governatore aveva incaricato di farmi nuove interrogazioni.
Mi furono rinnovate quelle del capitano del porto, dopo di che partirono per farne rapporto al Kaïd.
Ricomparve in appresso il capitano coll'ordine del governatore per il mio sbarco. Scesi tosto a terra facendomi condurre al Kaïd appoggiato a due mori, perchè quando attraversai la Spagna avevo riportata una grave ferita alla gamba, rovesciandosi la mia vettura.
Il Kaïd mi accolse gentilmente: e dopo avermi fatte press'a poco le medesime interpellazìoni, diede ordine di allestirmi una casa, e mi congedò complimentandomi ed offrendomi i suoi servigi.
Dopo averlo ringraziato uscj accompagnato dalle stesse persone, e fui condotto alla bottega d'un barbiere. Il turco che mi aveva interrogato nel battello andò e tornò più volte senza poter procurarsi la chiave della casa destinatami, il di cui proprietario trovavasi in campagna. Sopraggiunta la notte il mio turco recò del pesce da mangiarsi con lui; e quando, dopo avere leggiermente cenato, mi disponevo a coricarmi sopra una specie di banca da letto, alcuni soldati della guardia del Kaïd entrarono bruscamente, ordinandomi di ripassare dal Kaïd.
Io mi alzai e mi lasciai condurre dal Kaïd, il quale aspettavami con impazienza alcuni passi fuori della porta, e mi fece salire in una camera, ove trovavasi il suo segretario, ed il suo kiàhia, ossia luogotenente governatore. Dopo essersi scusato perchè non mi ritenne la mattina, soggiunse gentilmente, che voleva essermi ospite finchè fosse preparata la mia casa. Fummo serviti di caffè senza zuccaro, e più volte ripetute le interrogazioni, e le risposte sul conto mio; e finalmente dopo un'abbondante cena, di cui ne gustai pochissimo, mi coricai come gli altri sullo stesso tappeto.
Nel dopo pranzo dello stesso giorno aveva sbarcata la mia valigia ov'era tutto il mio equipaggio. Ne offrj la chiave alla dogana; dove non si volle nè visitarla, nè ricevere alcuna mancia. Questa valigia mi accompagnò costantemente finchè fui collocato nella mia casa.
All'indomani dopo merenda il padrone del battello mi pregò di chiedere al Kaïd il permesso di caricare alcune vittovaglie: al che mi rifiutai, non credendomi entrato così avanti nell'amicizia del governatore, per azzardare tali inchieste. Si pranzò a mezzogiorno; durante il quale chiesi spesso notizie della mia casa, e non ebbi in risposta che dei sì; ma verso sera mi fu dato avviso ch'era allestita. Presi allora congedo da Kaïd che mi offrì di nuovo i suoi servigi, e fui condotto al nuovo mio domicilio.
Vidi entrando ch'erasi consumato l'antecedente giorno ad imbiancarne i muri, ed a coprire il palco di tutte le camere d'uno strato di due in tre pollici di argilla, che non era peranco perfettamente asciutta. Feci molti ringraziamenti per la cura presa nell'abbellire la mia abitazione; ed ammirai nello stesso tempo la rara semplicità dei costumi di un popolo, che s'accontenta di simili case, e che nè pure conosce probabilmente l'uso delle finestre nelle fabbriche delle case; di modo che le camere non ricevono aria e luce che dalla porta d'un andatojo, che mette sul cortile. A fronte di tali inconvenienti, era tale il mio desiderio, o dirò meglio l'estremo bisogno ch'io avevo di trovarmi finalmente solo e pienamente libero, che ricevetti questo cattivo alloggio come un singolare beneficio, e ne approfittai in sul momento. Per questa prima notte mi coricai sopra una stuoja, valendomi della valigia per guanciale, e d'un drappo di lana per ricoprirmi.
All'indomani, venerdì primo luglio, feci comperare quanto strettamente occorrevami per gli usi domestici della casa, stuoje per coprire il suolo e parte delle pareti, alcuni tappeti, un materasso, cuscini ed altri utensiglj.
Le usanze de' Marocchini sono in Europa pochissimo conosciute, perchè coloro che vi vengono, sogliono d'ordinario adottare i costumi dei Turchi delle reggenze. Il Marocchino non copre mai le gambe; ha pantoffole gialle assai grossolane, ove non entra il tallone; la veste principale consiste in una specie di grandissimo drappo bianco di lana chiamato hhaïk, entro il quale s'avviluppa dal capo fino ai piedi. Perchè desiderando ancor io di vestire come gli altri, sacrificai le mie calze e le mie gentili pantoffole turche, avvolgendomi in un immenso hhaïk, e lasciando le gambe ed i piedi ignudi, ad eccezione della punta che entrava nelle mie enormi e pesanti papuzze.
Era venerdì, onde dovendo andare alla moschea per le preghiere del mezzogiorno, il mio turco m'istruì intorno al rito del paese alquanto diverso da quello dei turchi. Ma ciò non bastava: mi dovetti far radere nuovamente il capo, quantunque già raso pochi dì prima a Cadice: e quest'operazione fu ancora eseguita dallo stesso turco, la di cui inesorabil mano mi rese la cute tutta rossa ad eccezione d'una ciocca di capelli nel mezzo. Dalla testa passò a radere tutte le altre parti del corpo, non lasciando indizio di quanto il nostro santo profeta proscrisse nella sua legge quale orribile impurità. Mi condusse poi al bagno pubblico ove facemmo il nostro lavacro legale. Ma di ciò più diffusamente altrove, come pure delle cerimonie della preghiera alla moschea ove s'andò a mezzodì, chiudendosi in tal modo le pie opere di questo giorno.
Nella susseguente mattina di sabbato ebbe principio la solennità d'Elmouloud, o natività del nostro Santo profeta, che dura otto giorni; ne' quali vengono circoncisi i fanciulli. Ogni giorno mattina e sera alcuni musici eseguiscono con grossolani e sconcertati stromenti varie suonate innanzi alla porta del Kaïd.
In questi giorni festivi ci siamo recati a fare le nostre divozioni in un eremitaggio, o luogo sacro posto a duecento tese dalla città, ove si venerano le spoglie mortali d'un santo; e serve ad un tempo d'abitazione ad un altro santo vivo, fratello del defunto, che riceve le offerte per l'uno e per l'altro. Vedesi da questo lato della città il cimitero dei musulmani.
Il sepolcro del santo situato nel centro della cappella era ricoperto di varj pezzi di stoffa assai sdruscita tessuta di seta, cotone, oro ed argento. Stavano in un angolo alcuni Mori, che cantavano a coro pochi versetti
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