Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2. Ali Bey
entrai in Ouschda.
Qui il suolo conserva la stessa natura di quello della pianura deserta di cui abbiamo parlato. Alle otto del mattino vidi per altro una buona terra vegetale, ma mal seminata. Le due catene d'alte montagne continuavano a limitare l'orizzonte al N. ed al S. ad una ragguardevole distanza.
Alle sett'ore e mezzo del mattino avevo scoperto in lontananza sopra una eminenza presso al cammino due uomini armati a cavallo, che avanzavansi lentamente verso di noi. Le mie genti incominciavano ad allarmarsi, ma io li acquietai, e quando giungemmo presso di loro seppimo ch'erano scolte della tribù nemica che aveva ucciso l'uomo Aaïaun Moylouk, e che dietro di loro trovavansi le truppe della tribù.
Scontraronsi poi alcuni uomini che mietevano le biade che avevano tutti presso di loro i cavalli sellati ed imbrigliati. Più lontano vedevasi la truppa armata.
Alle dieci ore eravamo nel territorio di questa tribù: è questo uno spazio d'una lega di diametro, tutta coltivata, ed avente più di venti dovar. Ci vennero incontro quattro uomini armati a cavallo, che mi chiesero una preghiera, indi mi licenziarono cortesemente. Questa tribù nominata Mahaïa parvemi composta di gente armigera; e credo che il Sultano di Marocco non eserciti su di lei un precario potere.
CAPITOLO XVIII
Descrizione d'Ouschda. – Difficoltà per proseguire il viaggio. – Detenzione per ordine del Sultano. – Partenza da Ouschda. – Avventure del deserto. – Arrivo a Laraïsck e sua descrizione. – Partenza dall'impero di Marocco.
Ouschda, villaggio che contiene cinquecento abitanti all'incirca, è come gli altri luoghi popolati che trovai al di qua dell'Alcassaba di Temessouin, nel deserto d'Angad.
Le case fatte di terra, sono piccole, e così basse che a pena vi si può stare in piedi. Sono inoltre così succide, e piene d'insetti, ch'io preferj di rimanere sotto la tenda nell'Alcassaba che è assai grande e posto a canto del villaggio: passeggiai alcun tempo entro un piccolo ma grazioso orto di sua pertinenza.
Un'abbondantissima fonte che scaturisce mezza lega al di là d'Ouschda somministra un'eccellente acqua, ed inaffia gli orti del villaggio. Offrono questi una bella verdura e varie specie d'alberi fruttiferi, tra i quali il fico, l'ulivo, la vite, la palma, tengono il primo rango. Il paese produce pure deliziosi popponi, e carni d'una squisita qualità; nè può immaginarsi quanto sia delicato il montone del deserto. Questi animali sono lunghi, magri, hanno poca lana, e vivono in un paese ove trovano appena di che vivere; ma la loro carne è forse la migliore del mondo.
Sia nel villaggio, sia ne' contorni trovansi pochi polli, e nessun selvaggiume; ma abbondano le carni, il riso, la farina, i legumi.
L'esatte osservazioni astronomiche da me fatte collocano Ouschda nella longitudine orientale dall'osservatorio di Parigi di 4° 8′ 0″; e nella latitudine settentrionale di 34° 40′ 54″. In una latitudine così elevata il clima dovrebb'essere poco diverso da quello d'Europa, ma il deserto che la circonda ne riscalda l'aria a dismisura. Vi ebbimo non pertanto alcuni giorni abbastanza freschi nel mese di giugno, totalmente coperti, ed anche piovosi.
Osservai ad Ouschda un'eclissi della luna. Avrei dovuto fare alcune altre osservazioni, ma sgraziatamente non mi furono dalle circostanze permesse, perchè io doveva tutto sagrificare all'oggetto principale del mio viaggio.
Quando arrivai, il capo ed i principali del villaggio mi avevano dichiarato ch'io non potrei proseguire il viaggio, perchè in questo stesso giorno avevano avuto avviso della rivoluzione manifestatasi nel regno d'Algeri, e che a Tlèmsen, o Tremecèn dov'ero io diretto scorreva il sangue Turco ed Arabo.
Dopo molti discorsi, e dopo avere maturamente riflettuto, mi determinai di spedire un corriere, che al suo ritorno mi portò la notizia, che i torbidi nati in Tlèmsen erano sedati, ma che la strada era infestata dai ribelli che rubbavano ed assassinavano. Chiesi all'istante una scorta al capo del villaggio, il quale mi rispose non aver forze bastanti, ma che cercherebbe ad ogni modo di assecondare il mio desiderio.
Avanti che passassero due giorni il capo ed i principali d'Ouschda fecero venire il Schèk el Boanani che è il capo di una vicina tribù, e gli proposero di scortarmi a Tlèmsen. In sulle prime il Schek non vi acconsentì, e dopo avere lungamente discusso l'affare, partì senza nulla decidere.
Erano già scorsi più giorni in trattative inutili; ed intanto i rivoltosi erano venuti fino sotto le mura d'Ouschda, tirando alcuni colpi di fucile che uccisero due uomini. La mia situazione diventava sempre più difficile, perchè da una parte si esaurivano tutti i miei mezzi di sussistenza, e dall'altra io non ignoravo che i miei nemici di Marocco, che avevano saputo rendere sospetto al Sultano il mio lungo soggiorno di Fez, non ommetterebbero di approfittare di questa circostanza per calunniarmi: risolsi quindi di montar solo a cavallo per andare in traccia di Boanani, che aveva il suo dovar alla foce delle montagne, due leghe distante da Ouschda.
A tale notizia le mie genti si sbigottirono, fuorchè due rinnegati Spagnuoli, che mi seguirono da Fez, e che in questa difficile circostanza mi si presentarono, dicendomi; «Signore se voi ce lo permettete noi vi seguiremo, e divideremo la vostra sorte». Fissai loro gli occhi in volto, e conoscendoli coraggiosi, gli ordinai di prendere le armi affinchè uno mi tenesse compagnia, e l'altro rimanesse coi miei equipaggi.
M'incamminai per sortire accompagnato da uno schiavo fedele detto Salem, e dal mio rinnegato, ma trovai chiusa la porta delle mura, e circa quaranta o cinquanta de' principali abitanti determinati di vietarmene l'uscita.
Io li scongiurai di lasciarmi sortire; ma mi risposero tutti ad un tratto, alcuni colle ragioni, altri colle grida. Io instai, essi resistettero. Finalmente rivolgendomi al capo, presi una delle pistole appese all'arcione della mia sella, e con un tuono tra l'amichevole, ed il minaccioso, gli dissi: «Schek Solimano, noi abbiamo cominciato bene, ma credo che la voglia finir male. Aprite la porta.» Allora Schek Solimano aprì la porta, dicendo agli altri: «poichè egli vuol perire, lasciatelo andare.»
Sortj seguito dal mio schiavo e dal rinnegato, e presi la strada delle montagne di Boanani. Poco dopo la mia partenza vidi avanzarsi a briglia sciolta gli stessi abitanti, che venivano per scortarmi: mi s'avvicinarono scusandosi della loro opposizione, che non aveva avuto altro scopo, dicevan essi, che il loro attaccamento alla mia persona, ed il timore di qualche sventura.
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