Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 2. Botta Carlo

Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 2 - Botta Carlo


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seguirono molte ferite e morti. I Virginiani fecero marciar verso i fiumi e le coste alcune bande di fresco assoldate dal convento provinciale. Ne seguiva una guerra altrettanto crudele, quanto era inutile, ed a niun altro fine tendeva, che a vieppiù accendere ed inasprire gli animi da una parte e dall'altra.

      Il governatore inserpentito incendiò la Terra di Hampton, situata sul porto di questo nome. Avrebbe voluto pigliar ivi le stanze, e farvi un capo grosso. Ma i Virginiani, sopravvenuti a calca, il rincacciarono.

      Lord Dunmore pubblicò la legge marziale, per la quale ogni ordine civile doveva cessar nella provincia; si esortarono i leali a ripararsi alle insegne del Re, a ritener presso di loro i censi dovuti alla Corona ed altre tasse, finchè la pace fosse ristorata. Si dichiararono inoltre i servitori appartenenti ai ribelli, Neri o Bianchi che si fossero, del tutto liberi, purchè, pigliate le armi, andassero ad unirsi alle soldatesche reali.

      Questo bando, e massimamente la dichiarazione di liberar gli schiavi, che dimostrarono, Dunmore fosse un uomo poco prudente e poco temperato nell'animo, non produssero quegli effetti, ch'egli aveva sperato. Fu essa generalmente e nelle colonie, e in tutti gli altri paesi biasimata, siccome quella, che tendesse a turbar fin in fondo la società, a distruggere la domestica securità, ad ingenerare mortalissimi sospetti, e ad eccitare una gente, già di per sè stessa crudele, all'ire ed al sangue. In fatti poi questo partito del governatore riuscì non che vano, dannoso. Irritò molti, e non sottomise nessuno.

      Tuttavia essendo il governatore venuto a terra, prese i suoi alloggiamenti a Norfolk, Terra molto grossa posta sulle rive del fiume Elisabet, nella quale, e nelle vicinanze abbondavano i leali. Quivi concorsero a lui alcune centinaia di questi, e di Neri, dimodochè diventò in quella parte superiore ai nemici. Alcune milizie provinciali, le quali avevano fatto le viste di opporsi, furon di leggieri sconfitte. Già si aveva concetta nell'animo la speranza di esser in grado di ricuperare la provincia, ed alla divozione del Re tutta ritornarla.

      Queste cose, come origine di più importanti moti, e seme di più gran guerra furono gravemente sentite dai reggitori dello Stato di Virginia; onde deliberarono di porvi un pronto rimedio. Mandarono con ogni maggior diligenza alla volta di Norfolk un reggimento di soldati d'ordinanza, ed una mano di minuti uomini sotto i comandi del colonnello Woodford. Avuto il governatore intenzione di questi rinforzi, occupò molto prudentemente un forte luogo sulla sponda settentrionale della riviera Elisabetta, chiamato Great-Bridge, o sia Gran Ponte, distante a poche miglia da Norfolk. Questo dovevano traversare i provinciali, se volevano arrivare alla Terra. Quivi construsse tosto un puntone dalla parte di Norfolk, che affortificò il meglio che seppe e potè per la brevità del tempo, e lo fornì copiosamente d'artiglierie. Il puntone era da ogni parte attorniato d'acque e da paludi, e solo vi si aveva il passo per un dicco, o sia argine molto lungo. Le forze del governatore non erano di gran momento. Aveva da due centinaia di stanziali, ed una banda di volontarj norfolchesi. Il resto era, tra gentame di Bianchi, e servidorame di Neri racimolati in fretta, una moltitudine disordinata. I Virginiani pigliarono gli alloggiamenti a fronte degl'Inglesi in un piccolo villaggio a gittata di cannone. Avevano avanti di sè il dicco molto stretto, l'estremità del quale affortificarono anch'essi con un puntone. In questo stato stettero molti dì l'una parte e l'altra senza far moto alcuno. Finalmente accortosi Dunmore, che l'indugio era pregiudiziale a lui ed utile agli Americani, ai quali abbondavano le vettovaglie, e che s'ingrossavano ogni giorno, essendo egli stesso d'animo grande, ed avendo forse a vile i soldati del nemico, deliberò di dar la batteria. Sperava in questo modo di potersi aprir la via nelle viscere della provincia. Adunque la mattina dei 9 dicembre prima del dì ordinò a Fordyce, capitano di una compagnia di granatieri, andasse all'assalto. Marciarono baldanzosamente contro il puntone degli Americani. Fordyce guidava l'antiguardo; il luogotenente Baturst i fanti perduti. Il capitano Leslie veniva dopo con una schiera di trecento tra Neri e Bianchi, e dugento stanziali. Si risentì tosto il campo americano, e si apparecchiò alle difese. Il combattimento durò lunga pezza con un'ostinazione incredibile. Finalmente, morto Fordyce, che meritò in questo fatto le lodi di animosissimo soldato, a pochi passi del puntone, e molti de' suoi, le genti britanniche si ritirarono al ponte. Gli Americani non gli seguitarono, impediti dall'artiglieria del Forte. I Neri fecero cattivissima pruova, e si salvarono con la fuga. Trattarono gli Americani dolcemente gl'Inglesi venuti in mano loro, duramente i leali. Fu questo fatto, dal canto di Dunmore, più di temerario capitano, che di animoso soldato.

      Il governatore, perduta ogni speranza di far frutto in questa parte, abbandonato il Gran Ponte, si ritirò a Norfolk, lasciando in poter dei nemici alcune bocche da fuoco. E non credendosi sicuro in questa Terra e nella vicinanze, deliberò di montar di nuovo sulle navi, il numero delle quali si era molto accresciuto per l'aggiunta di quelle, che si erano trovate nel porto di Norfolk. Il che gli venne fatto in un gran bisogno; poichè molti fra i leali, abbandonato il paese, cercarono rifugio sull'armata, portando seco gli arredi e suppellettili più preziose. I provinciali occuparono Norfolk, il quale quasi deserto trovarono, avendo i più sgombrato alle navi del governatore.

      Mentre in tal modo si travagliava sulle coste della Virginia, covava un disegno di grand'importanza, e questo era di levare in armi gli abitatori delle parti diretane delle colonie, ma particolarmente della Virginia e delle due Caroline, i quali si sapeva essere bene affetti verso la causa reale. Si sperava ancora, che gl'Indiani si sarebbero accozzati, e non solamente avrebbero molestato alla coda i provinciali; ma inoltre crescendo di numero e di forze, pervenuti sarebbero a traversare le province, e congiungersi sulle coste col lord Dunmore. Fu creduto istrumento opportuno a questo disegno un Giovanni Conelli, nato nella contea di Lancastro in Pensilvania, uomo arrisicato ed audace molto, il quale, trovatosi con Dunmore, aveva da lui ricevuto favorevoli condizioni, ed un mandato amplissimo per poter mettere ad esecuzione il carico, che gli era stato dato. Adunque questo Conelli, lasciato Dunmore, andò a tentare gli animi degl'Indiani dell'Ojo e quelli dei leali sui confini delle colonie. Avendo in ciò fatto grandissimo frutto, se ne ritornava al governatore. Si era appuntato, che le guernigioni vicine, e principalmente quelle del Detroit, e del Forte Gage fra gl'Illinesi gli prestassero assistenza, e si sperava altresì, che gli uffiziali delle guarnigioni del Canadà lo avrebbero secondato. S'intendeva, che tostochè le genti sue fossero in pronto, dovesser far capo grosso a Pittsburgo, e quindi, valicate le montagne Allegany, correre la Virginia, e, traversatala, andarsi a congiungere con Dunmore nella città di Alessandria, posta sulle rive del fiume Potamack. La fortuna si era favorevole dimostrata a questi primi principj. Era già Conelli andato parecchie volte sano e salvo da un luogo all'altro, e tenute le sue pratiche cogl'Indiani e coi leali molto segrete. Già si andava avvicinando a Detroit sulle estreme frontiere della Marilandia presso il borgo di Tamar, seco stesso rallegrandosi di essere oramai uscito da tutti i pericoli. Ma in questo luogo fu conosciuto, carcerato, e le scritture che portava, pubblicate per ordine del congresso. Così questa segreta trama che Dunmore, mancando di armi vive, aveva ordito, riuscì come parecchie altre di niun effetto. Solo s'inasprirono vieppiù gli animi dei coloni, e la sua autorità andò soggetta a maggior diminuzione.

      In questo mentre si preparava contro Norfolk un evento lagrimevole. Quantunque molti fra i leali di Norfolk e del contado vicino avessero cercato asilo sull'armata del governatore, molti però erano rimasti, o sia, che non fosse bastato loro l'animo di lasciar le proprie terre, o sia, che temessero i disagi del mare e della fame, o sia pure, che sperassero di trovare più mansuetudine nei concittadini loro, i quali facevano professione della libertà, ch'essi stessi non avevano fatto provare a questi, quando erano stati superiori in quel tratto di contrada. Certo è, che i libertini diventati superiori essi, gli aspreggiarono fieramente, e sopra di loro tutte quelle più gravi nimicizie esercitarono, che tanto sono frequenti nelle guerre civili tra gli uomini di diverse Sette. Il governatore arrabbiato, e commosso alle miserabili grida dei leali, se ne volle vendicare. Questo mal talento si accresceva ogni giorno a motivo delle avvisaglie, che seguivano frequentemente tra le due parti, sforzandosi i provinciali d'in sulla spiaggia d'impedire, che i reali non isbarcassero per andare alla busca nel paese, e questi per lo contrario brigando in ogni maniera di furar vettovaglie ad ogni tratto. Per la moltitudine delle bocche erano stremi di ogni cosa, e non avevano più di nissun ben vivente. Finalmente essendo arrivata dall'Inghilterra nella cala di Norfolk una nave da guerra, Dunmore mandò a terra un tamburino, intimando ai provinciali, somministrassero i viveri, e cessassero il trarre; altrimenti avrebbe fulminata la Terra. I provinciali risposero del no. Il governatore deliberò di cacciargli


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