I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio

I rossi e i neri, vol. 1 - Barrili Anton Giulio


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che aveva abbandonato.

      Il dottor Collini (lo diciamo ora, poichè ci viene in taglio) era un ambizioso di tre cotte, e della modesta sostanza che aveva ereditata dai suoi, si era giovato accortamente per frequentare i gran signori. Esercitava la medicina, nella quale era versatissimo e già famoso per qualche cura fortunata, sebbene ancor giovine: ma si diceva che quel giovine medico s'aiutasse più con la sottigliezza dei raggiri che con la bontà delle ricette. E taluno, anzi, più addentro in certi misteri della vita cittadina, lo accusava d'imprestar denaro ai figli di famiglia, ai troppo vivaci rampolli delle nobili casate con le quali era entrato in relazione, per farselo poi restituire raddoppiato dai frutti, o triplicato, o quadruplicato, col savio metodo delle rinnovazioni. Ahi, la calunnia! Ma egli in questi negozi non entrò mai per suo conto: parlava, faceva parlare da altri, e non domandava nemmeno di essere ringraziato della sua cortese intromissione. Al più, volendo malignare ad ogni costo, si sarebbe potuto dire che egli sapesse collocar bene il suo denaro, essendo uno dei socii occulti del banco Cardi Salati e C., del quale a suo tempo racconteremo vita e miracoli. Brutta cosa, non è vero? Ma questa non si sapeva, e quanto a certe chiacchiere di gente malevola, il Collini le poteva disprezzare. Dotto e virtuoso per molti, non aveva agli occhi loro altro difetto che l'ambizione, anzi la forma più tenue dell'ambizione, la vanità. E se ne rideva un pochino, senza perdergli stima. Si sa bene, chi non ha il suo difettuccio? La vanità è il piede di creta di tanti colossi! Ma bisognava anche dire che la vanità del Collini, non che un piede, fosse una gamba a dirittura.

      Per avere un titolo di conte, il giovinotto avrebbe sacrificato Dio sa che cosa, e, stiamo per dire, battuto moneta falsa. Però invidiava al marchese di Montalto le sue pergamene, come gl'invidiava la bellezza (un po' sciocca, la chiamava egli tuttavia) e i sospiri delle belle signore. In teatro gli davan noia gli applausi prodigati ad un tenore, come di cosa che gli levassero a lui: sulla pubblica piazza avrebbe augurato il capitombolo ad un saltatore di corda, ad un mattaccino, per tutte le prodezze che sapevano fare, e che tiravano troppo l'attenzione della folla.

      Lorenzo Salvani non sapeva niente di ciò. Nel Collini non vedeva altro che un semplice vanerello, e, da buon filosofo com'era, gli perdonava facilmente quel suo peccatuccio. Era d'altra parte contento che nell'ora della necessità, in una di quelle occasioni che provano gli amici, il Collini si fosse ricordato d'un vecchio compagno di scuola, da gran tempo a mala pena salutato per via.

      Così risoluto di rendergli servizio, si vestì in fretta, mise nel taccuino alcuni biglietti di visita, e uscì di casa in compagnia del Collini, suo Pilade improvvisato.

      L'Assereto fu presto scovato tra piazza dei Banchi e il vicolo de'

      Cartai, ragguagliato d'ogni cosa e persuaso a dare una mano. Due ore più tardi, egli e il Salvani erano al caffè della Concordia, dove il

      Collini stava aspettando l'esito della loro visita al marchese di Montalto.

      – Ebbene? – chiese egli ansioso.

      – Tutto fatto; – rispose Lorenzo.

      – Come, fatto?

      – Eccovi tutto per filo e per segno. Abbiamo trovato il signor marchese, assai garbato nei modi, quantunque ne trapelasse un poco della sua alterigia. Saputo del nostro incarico, ci domandò se sapevamo anche le condizioni dell'alterco tra lui e voi. Io, come potete immaginare, risposi di no; che infatti siamo ancora adesso a non saperne nulla. Parve meravigliato, e mormorò tra i denti: «Tanto meglio; vorrei essermi ingannato». Gli chiesi allora che cosa significassero quelle sue parole di colore oscuro. «Niente, niente che vi possa dispiacere, nel vostro delicatissimo ufficio» si affrettò egli ad aggiungere colla maggior compitezza. «Voi bene intenderete, signori, che per andarmi a incontrare sul terreno col signor Collini io non sono certamente costretto a pensare di lui come ne pensano i suoi amici. La sua riserbatezza, del resto, gli fa molto onore, e voi vedete che amo rendergli giustizia. I miei padrini sono il marchese Pietrasanta e il conte Nelli di Rovereto, capitano nel settimo reggimento di fanteria». Infatti, quei due signori erano in casa sua, e ce li presentò. Sono due compitissimi cavalieri, e c'intendemmo subito. Noi abbiamo lasciato loro, com'era giusto, secondo gli usi nostri, la scelta dell'arma, ed essi hanno scelta la spada. —

      Un sottile osservatore avrebbe potuto notare un lieve mutamento sul volto del Collini, una cosa da niente, ma di quelle che bastano a far sentenziare sommariamente di un uomo. Lorenzo tuttavia non si addiede di nulla, e la faccia del Collini si ricompose prontamente. Che paura, del resto? Una piccola scossa, a tutta prima, sentendo nominar l'arma che si dovrà maneggiare. Ma le armi son tutte pari, davanti alla fortuna che le guida.

      – Domattina, – proseguiva Lorenzo, – alle ore cinque dobbiamo trovarci in Albaro, presso la chiesuola diroccata di San Nazaro. È un ottimo luogo. Le armi le porterò io, che sono di Toledo, col __Christi__ inciso sul forte della lama. Siete contento?

      – Contentissimo: – rispose il Collini; – e vi ringrazio di cuore.

      – Anch'io sono contento, – disse il Salvani. – Non già del duello. Ma poichè bisognava farlo, preferisco la spada. È un'arma meno chiassosa, e di antica nobiltà italiana.

      – Così penso ancor io; – riprese il Collini. – Io dunque faccio assegnamento su voi altri.

      – State sicuro. Ma, a proposito, e il ritrovo? Verremo da voi alle quattro, se vi conviene…

      – No, no; – interruppe il Collini. – Non venite da me; ci ho le mie buone ragioni; temo che s'indovini dove vado. Per una visita medica, che fingerò di aver da fare, non è proprio necessario che si vedano due gentiluomini al mio uscio di casa. Farò dunque in modo da non dar sospetti in famiglia, e alle quattro e mezzo sarò io stesso a' piedi della collina, sotto la villa del Paradiso.

      – Vi aspetteremo dunque lassù. E adesso dove andrete?

      – Dal Cavalli, a rifare la mano.

      – Benissimo; a domattina. —

      I due amici, salutato il Collini, andarono pei fatti loro. Ma come furono giunti sulla piazza delle Fontane Amorose, l'Assereto si fermò sui due piedi, guardando il compagno.

      – Ebbene? – disse Lorenzo. – Che c'è?

      – Sai una cosa? – disse di rimando quell'altro. – Questo Collini non mi pare un uomo solido.

      – Baie! e perchè?

      – Perchè più volte ho cercato di guardarlo nel mezzo degli occhi, e non ne sono mai venuto a capo.

      – Sai che è una sua abitudine non guardar mai fissamente. E voi altri lo tartassavate sempre per ciò, dandogli del gesuita a tutto pasto.

      – Sì, quello che vuoi; ma la sua faccia mi persuade meno che mai.

      Credo che sia pentito d'essersi messo in questo impiccio.

      – E in questo noi non ci abbiamo da entrare; – rispose il Salvani. – È venuto a chiederci un servizio; glielo abbiam fatto, e penso, mettendo la modestia da banda, che non avrebbe potuto trovare altri due che lo servissero meglio. Sul terreno farà il debito suo. Li conosco bene, questi uomini: non hanno il coraggio impetuoso, ma il sentimento della loro dignità li sostiene. E poi, questo non è il suo primo duello.

      – Credi? Ebbene, si vedrà domattina. Addio; sarò da te questa sera. —

      Così dicendo, l'Assereto se ne andò a casa sua, per la salita di Santa Caterina, crollando il capo come l'Apostolo del dito; benedettissimo uomo, che voleva vedere e toccare.

      Lorenzo Salvani discese dai Ferri della Posta verso Luccoli, e rientrando in casa ordinò al fido Michele che spiccasse le spade dal trofeo, per dar loro una ripulita. Poi si mise da capo a tavolino, ripigliando a scrivere nel suo zibaldone, con la voluttà dell'uomo povero, che ha tutti i suoi feudi nel regno della fantasia.

      IV

      Qui si mostra con la prova in mano come gli angeli non siano poi tutti in paradiso.

      Qualche lettore curioso vorrà sapere dell'altro intorno a quella testolina di fanciulla, che insieme abbiam vista apparire dal vano di un uscio, e di cui, con pochi e rapidi tocchi abbiamo anche


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