I rossi e i neri, vol. 2. Barrili Anton Giulio
poichè le piaceva tenere a bada, nel medesimo tempo, lui Goffredo, Elia Rudel suo cugino, e Savary di Mal Leone.»
– Povera viscontessa! – interruppe Giulia. – Non sareste per caso un po' crudele con lei?
– No, marchesa, imparziale. «Narra la storia che in una conversazione tra la dama e i tre gentiluomini anzidetti, ella sapesse diportarsi per modo che ognuno di loro, uscendo di là, si tenne il prediletto di lei. Infatti, venuti a disputa, si chiarì che a Goffredo avea data una dolcissima occhiata; ad Elia una eloquentissima stretta di mano; a Savary aveva premuto il piede, sotto la tavola. Così narra Nostradamus, ed io lo ripeto, per dimostrarvi in che guisa Goffredo Rudel si allontanasse da lei. Per ventura, quell'amore del giovine per la Guascona, era un capriccio, uno scherzo, non già un affetto profondo…»
– Non amano tutti ad un modo i signori uomini? – chiese argutamente Ginevra.
– La storia di Goffredo Rudel vi dimostrerà il contrario; – soggiunse Aloise, – ed io vado innanzi senza paura. «Fatto esperto da quel primo disinganno, Goffredo Rudel non volle metter più la sua fede fuorchè in nobili cuori. Ora i nobili cuori erano rari al suo tempo tra le donne, e per lunga pezza il signore di Blaia visse soltanto per l'amicizia, nè altro ebbe a celebrare ne' suoi versi che questa. Il signore d'Agoult era l'amico suo, e il castello dell'amico lo trattenne a lungo tra le sue mura ospitali. Ma giunge in Provenza il conte Goffredo Plantageneto, fratello a Riccardo Cuor di leone, re d'Inghilterra, e nella breve dimora fatta al castello di Agoult, s'innamora cosiffattamente del gentile poeta, che lo vuole con sè alla corte d'Inghilterra. Il trovatore si schermisce; ma il signore d'Agoult, liberale com'era, nè volendo rimandare scontento un così potente barone, prega a sua volta l'amico di cedere allo invito del conte Goffredo. Ed ecco i due Goffredi, il principe e il trovatore, in viaggio, alla volta d'Albione.»
– Dell'__avara Albione__! – tartagliò il De' Carli.
– Ma non avara di lusinghe pel nostro provenzale; – soggiunse il Cigàla. – Egli certamente avrà fatto dar volta al cervello di molte __ladies__!
– Può darsi; – soggiunse, continuando, Aloise: – «Quel che avvenisse alle dame inglesi non so; ma posso starvi pagatore che Goffredo Rudel non n'ebbe il cuore commosso, e in quella vece s'accese del più gagliardo affetto che uomo sentisse mai, per una donna la quale egli non aveva mai vista, per la contessa di Tripoli, la quale viveva nella sua corte, sulle spiagge di Soria. Innamorarsi di veduta, è cosa agevole e naturale; innamorarsi d'udita, è cosa strana, che molti stenterebbero a credere. Ma che volete? Udendo dai pellegrini, che tornavano da Terrasanta, narrare i pregi della contessa, celebrare la prestanza delle forme, la soavità dei modi, l'ingegno acuto, e virtù d'ogni maniera che la facevano superiore all'altre dame del suo tempo, il povero trovatore tanto se ne invaghì, che non ebbe più pace. E certo quel suo insolito e strano amore diventava la favola di tutta la corte d'Inghilterra, se le canzoni che egli scriveva in lode della lontana sua dama, della sconosciuta beltà, destando l'ammirazione universale, non avessero fatto tacere il sarcasmo.»
– Voi pure ammettete, – interruppe Ginevra, – che fosse strano non poco, questo amore d'udita?
– Non lo nego; sebbene, a que' tempi, la cosa poteva parere meno bizzarra. Le cronache provenzali ci hanno conservata una tenzone tra due poeti, Gerardo e Peronetto, intorno alla quistione, chi più ami la sua dama, se il presente o l'assente, e chi più possente amore introduca, o il cuore o gli occhi.
– Questione difficile! – notò il Pietrasanta. – Che ne pensate voi, signora?
– Io tengo per gli occhi; – rispose arrossendo la Giulia, a cui la dimanda era rivolta.
– E voi? – chiese il Cigàla, alla Torralba.
– Pel cuore; – rispose la soave Maddalena.
– Ed io per tutti e due! – sbruffò il lezioso De' Carli.
– Ma come fu sciolta la questione, allora? – chiese Ginevra, per dar la parola di bel nuovo al narratore.
– Non saprei dirvelo. Le cronache raccontano che fu portata innanzi alla corte d'amore di Pierafuoco e di Signa; ma non ci recano la sentenza che ne fu data. So bensì che in quella tenzone poetica, tra molte buone ragioni ed esempi per l'una parte e per l'altra, c'era una strofa che vi traduco così: «Tutti gli uomini di perfetto giudizio conoscono molto bene che il cuore ha signoria sopra gli occhi, e che gli occhi non servono punto nelle cose d'amore, se il cuore non acconsente; laddove, senza gli occhi, il cuore può francamente amare una cosa che giammai non abbia veduta, siccome avvenne al signore di Blaia.»
– L'esempio non scioglie la questione! – disse Ginevra.
– È un circolo vizioso! – aggiunse il De' Carli.
– Ma via, – ripigliò la marchesa, – continuate la vostra storia, signor Aloise, e perdonate le interruzioni troppo frequenti a un uditorio curioso ed attento.
– «Infiammato sempre più dal desiderio di veder la contessa, Goffredo deliberò di andarsene pellegrino in Terrasanta. Un suo dilettissimo, anch'egli buon trovatore, Bertrando di Alamannone, fu pronto, come suol dirsi, a tenergli bordone, e ambedue fecero il disegno d'imbarcarsi a quella volta. Doleva di quella partenza al Plantageneto, che usò d'ogni suo potere per distogliere il suo protetto da quel faticoso viaggio. Ma nulla valse; e finalmente, ottenuta licenza dal conte, il Rudel monta in nave coll'amico. Eccoli in viaggio, alla scoperta dell'ignota bellezza. Il vento fischia nel sartiame; la tempesta assale il naviglio; il masso di Gibilterra torreggia spaventoso frammezzo alle brume; Goffredo Rudel non ode il fischio del vento; non bada ai marosi che invadono la coperta, e canta dolcemente d'amore. Udite la canzone ch'egli ha composto nel tragitto, temendo di non poter subito parlare alla contessa, anzi d'aversene a tornare con suo estremo dolore, dopo un sì lungo e pericoloso viaggio:
Irat et dolent m'en partray.
S'yeu no vey est amour deluench
Et ne say qu' ouras la veyray,
Car son trop nostras terras luench.
«Ma scusate; senza badarvi, la recitavo nel testo provenzale, non rammentando che l'avevo tradotta.
«Corrucciato, dolente, io partirò,
Se pria non vegga l'amor mio lontano,
E non so quando mai lo rivedrò,
Chè nostre terre son troppo lontano!
«Quel Dio che quanto viene e va creò,
Che vita diede a quest'amor lontano,
Mi dia conforto al cor, perchè pur ho
Speranza di vederti, amor lontano!
«Signor, per vero e per leale io dò
L'amor che porto a lei, così lontano:
Giacchè per un sol gaudio che n'avrò,
N'ho mille affanni, tanto son lontano!
«Già d'altri amori ormai non gioirò,
Se di te non gioisco, amor lontano;
Chè donna pia leggiadra esser non so,
In alcun luogo, prossimo, o lontano!
«L'amore è stato paragonato ad una lama che, troppo a lungo rinchiusa, irrugginisce e corrode la guaina. Al misero Goffredo, quell'amore fortissimo per una donna ignota, compresso per così lunga stagione nel profondo del cuore, aveva turbate, distrutte, le fonti della vita. I venti contrarii, le stazioni forzate nei porti del Mediterraneo, tutto concorreva ad accrescere i disagi del tragitto; laonde il desiderio di giungere si tramutò in febbre, e colla febbre si svolsero in breve ora i segni dell'interno struggimento di quelle membra affralite. La nave non aveva anche oltrepassata la punta estrema di Sicilia, che già l'infermo non era più in grado di muoversi dal suo giaciglio, e i governatori del legno pensavano di averlo tra pochi giorni a seppellire nei gorghi del mare.
« – Almeno vivessi io tanto da vederla una volta! – andava ripetendo l'infermo al cortese amico,