Il ponte del paradiso: racconto. Barrili Anton Giulio
Aldini di ritornare la mattina seguente al Danieli, per accompagnar le signore. Aveva fatto da cicerone artista a Murano, da cicerone paesista al Lido, trovando anche il tempo da far da cicerone erudito nell'isolotto di San Lazzaro, in quel celebre convento dei padri Mechitaristi e nella loro famosa biblioteca orientale. Due giorni dopo, faceva la sua terza visita, per condur le signore a vedere qualche palazzo sul Canal Grande; ma a questo giro storico ed artistico bisognava rinunziare, essendo la signora Eleonora leggermente infreddata e costretta perciò a star riguardata nella sua camera.
Filippo non ebbe dunque altro da fare che quattro ciarle di passata colla signorina Margherita. Voleva infatti congedarsi presto; ma non ne fece nulla, tanto la conversazione si era animata tra loro. Il discorso era caduto su Parma, dove Filippo era nato, e dove la signorina Margherita aveva passato alcuni giorni in quell'anno medesimo. Che bella città! Quante cose anche laggiù da ammirare! Margherita ricordava quel campanile alto alto, di fianco alla facciata del Duomo, quel campanile che si muoveva, oscillando visibilmente sulla sua base ad ogni rintocco della campana maggiore: poi quel battistero lì presso, così strano coi suoi fregi di marmo, tutti a rilievi di animali simbolici; e il ricco museo, coi bronzi di Velleia, e la biblioteca ricchissima, col Virgilio manoscritto, tutto di pugno del Petrarca, e la pinacoteca maravigliosa, coi capolavori del Correggio. Margherita possedeva un senso squisitissimo d'arte, tale da piacer sommamente a Filippo, che era mezzo pittore; e gli aveva notato, per esempio, nella Madonna detta di San Gerolamo, quella guancia della Maddalena, veduta in iscorcio, resa con tanta delicatezza di tocco, che nessuno, copiando, aveva potuto esprimere fedelmente, nè col pennello, nè col bulino, mai più. Finalmente, passando ad altro, gli aveva toccato della storia di Parma, della famiglia di lui, che vi era stata in grande onore nei secoli andati.
Ma come sapeva ella mai tante cose? La signorina Margherita appagò facilmente la curiosità di Filippo. Al babbo avevano proposta la compera di una tenuta sul territorio parmense, verso Montechiarugolo; ed egli, per andarla a vedere e risolversi, aveva condotta con sè la figliuola. Così ella aveva veduto, osservato, studiato tante cose; così del resto ella faceva, dovunque il babbo o la mamma la conducessero. Perciò aveva notato anche il palazzo Aldini, il quale del resto attirava facilmente gli sguardi, con quei due Telamoni di pietra che fiancheggiavano l'ingresso, sostenendo il terrazzino del primo piano.
– Ahimè! – sospirò Filippo, – il palazzo da gran tempo ha mutato padrone. Quel che possiedo ancora a Parma è in campagna.
– Lo riscatti; – disse Margherita. – È tanto caratteristico! e in una bella strada, presso Santa Lucia. —
Filippo non rispondeva altrimenti che con un mezzo sorriso.
– Ma sì, – incalzò la fanciulla. – Deve riscattarlo. La casa degli antichi è sacra; se per qualche cagione si è perduta, bisogna riaverla! E per riaverla non c'è che una cosa, volere.
– Crede Ella che basti?
– Per cominciare, sì; – rispose Margherita; – e “chi ben comincia è alla metà dell'opra„. Le cito un verso, che non so di chi sia; ma è tanto vero! Lo ripete spesso il mio babbo.
– Vedrò di volere; – conchiuse Filippo. – Ella mi fa riprendere amore al mio nido. —
E pensava frattanto con grata meraviglia alle rare doti di quella ragazza, alla sua serietà di carattere, alle sue cognizioni, alla grazia, alla nobiltà del suo spirito, veramente notevoli. Se alla prima visita egli aveva incantata coi suoi ragionamenti la signorina Margherita, alla terza ella incantava lui. Ma più incantato di tutt'e due sarebbe rimasto Raimondo Zuliani, se fosse stato là, dietro un uscio, a sentirli. – Si va a gonfie vele – avrebbe egli detto tra sè, non senza stropicciarsi le mani.
Ma non c'era; e quel giorno, sul tardi, quando Filippo Aldini si recò al palazzo Orseolo per fare la sua visita settimanale ai coniugi Zuliani dopo l'ora del pranzo, Raimondo non ebbe a saper nulla di quel colloquio, che a lui sarebbe riuscito così importante e piacevole. Egli dovette contentarsi di chiedere all'amico dove avesse quella mattina accompagnate le signore Cantelli.
– In nessun luogo; – rispose Filippo. – La signora Eleonora era infreddata, ed io mi sono ritirato in buon ordine. —
Era poco, era niente; ma Raimondo non aveva ragioni per desiderare di più.
– Ebbene, – entrò a chiedere la signora Zuliani, – che impressione le ha fatto la signorina Cantelli?
– Impressione! – ripetè Filippo, sconcertato.
– Sì, voglio dire come Le è parsa?
– Eh, non c'è male. —
Ma qui Raimondo aveva dato un balzo sulla scranna.
– Non c'è male! Non c'è male! Così te ne sbrighi, assassino? La signorina Margherita è un angelo. —
Filippo si strinse nelle spalle, non avendo da dire nè di sì, nè di no. La signora Livia, dal canto suo, si era creduta in obbligo di mettere un sordino alle volate del consorte.
– Per sua norma, signor conte, – diss'ella, – mio marito trova angeli dappertutto.
– Non dappertutto, – replicò Raimondo, – ma dove sono. E che io me ne intenda è già dimostrato, non ti pare?
– Questo vorrebb'essere un complimento.
– No, ma una verità sacrosanta. —
Così dicendo, il felice Zuliani batteva delicatamente della palma sulla candida mano di sua moglie. N'ebbe un sorriso, il meno che gli si potesse dare in premio della sua galanteria. L'idilio coniugale non giungeva certamente nuovo a Filippo Aldini, che garbatamente levò gli occhi in alto, pensando. Aveva ancor egli il suo piccolo idilio nell'anima; poteva dentro di sè vagheggiarlo. È questo il segreto di molti silenzi, e di molte distrazioni, nell'uomo.
Margherita era un angelo davvero, un angelo di bellezza e di bontà. Serena senza sforzo, modesta senza ostentazione come senza scioccheria, sapeva molto e non ne faceva pompa, neanche quando l'occasione potesse giustificare una certa solennità di discorso. Con tanta grazia penetrante, unita ad una così sfolgorante bellezza, colpiva al primo incontro, e colpiva in pieno; bisognava amarla senz'altro. Filippo aveva preso fuoco, necessariamente; ma si era anche saputo dominare, lì per lì, proprio in quel punto, e per le istesse ragioni che lo avevano fatto ardere, alle evocazioni gentili della sua città natale, della sua gente, del suo palazzo, che bisognava riscattare, fortemente volendo. Quel fuoco, a mala pena divampato, si era chiuso nel cuore di lui, per isforzo violento della sua volontà; doveva restar lì, vivo ma cheto, come quello che cova sotto la cenere. E cenere; ahimè, non ne mancava in quel cuore.
Fu ancora uno sforzo di volontà la sua risoluzione di non ritornare una quarta volta dalle signore Cantelli? Una simile risoluzione parrà strana, o non parrà, secondo che si consideri il caso di Filippo Aldini. Certo, quando s'incontrano donne come quella, che pareva un angelo a lui non meno che all'amico Zuliani, bisogna amarle senza misura, senza ritegno, da pazzi; e la cosa è chiarissima, perchè di quelle donne non se ne incontrano due nella vita. Ma ancora bisogna fuggirle; e questo non è meno evidente, chi si trovi nelle condizioni di Filippo Aldini. Buon sire Iddio! Se quella angelica creatura è ricca, troppo ricca per noi, non si potrebbe egli credere, nel mondo sciocco e cattivo, che si volesse fare un matrimonio d'interesse, il matrimonio brillante, che sorrideva, per utilità di Filippo, alla ferace fantasia di Raimondo Zuliani?
Il conte Aldini non ritornò dunque per la quarta volta al Danieli. O, per dire più esattamente, ci ritornò, colla ferma intenzione di non salire le scale, ma di chieder notizie della signora Eleonora, e lasciare un biglietto da visita, a prova della sua sollecitudine per la salute di lei. La signora, per fortuna, era ristabilita del tutto, e fuori, per l'appunto, in compagnia della figliuola; ottima occasione per lasciare quel biglietto di visita, a testimonianza di un dovere compiuto, e non soltanto del desiderio di chieder notizie. Dopo quel giorno, se s'imbatteva per via nelle signore Cantelli, faceva un gran saluto, e magari una fermatina di convenienza, per barattar quattro parole, non osando accompagnarle, nè offrirsi in nulla al loro servizio. Naturalmente, la signora Eleonora non gli chiedeva: “perchè non vediamo più il nostro cicerone, così garbato