Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo II. Botta Carlo
che i repubblicani davano pel ricoverato conte di Lilla; che aspettava fra sette giorni risposta da Parigi per dichiarar la guerra formalmente al senato; che Peschiera era sua, perchè conquistata contro gli Austriaci; che di tutte queste cose aveva informato il ministro di Francia in Venezia, quantunque, aggiungeva, queste comunicazioni diplomatiche tenesse in poco conto, acciocchè il senato ne ragguagliasse. Così Buonaparte, che sapeva di certo, e lo scrisse al direttorio, che per fraude, e contro la volontà dei Veneziani erano gli Austriaci entrati in possessione di Peschiera, questo fatto attribuiva a tradimento dei Veneziani.
Spaventato in tale modo l'animo del provveditore, stette Buonaparte un poco sopra di se; poscia, come se alquanto si fosse mitigato, soggiunse, che della guerra e di Peschiera aspetterebbe nuovi comandamenti dal direttorio; sospenderebbe per un giorno il corso a Massena, ma il seguente s'appresenterebbe alle mura di Verona; che se quietamente vi fosse accettato e lasciato occupar i posti da' suoi soldati, manterrebbe salva la città, ed avrebbero i Veneti la custodia delle porte, i magistrati il governo dello stato; ma che se gli fosse contrastato l'ingresso, sarebbe Verona inesorabilmente arsa e distrutta.
Queste arti usava Buonaparte il dì trentuno maggio per ottenere pacificamente il possesso di Verona. Dal che si vede qual fede prestar si debba al suo manifesto dato da Brescia il dì ventinove del mese medesimo, e quale fosse la sincerità delle sue promesse. Così quella repubblica di Venezia, che due giorni prima era stata chiamata amica della Francese, e dichiarata aver sempre camminato nelle vie dell'onore, era il dì trentuno del mese medesimo divenuta, e già da lungo tempo, non solo infedele, ma perfida e nemica alla Francia, ed il direttorio aveva comandato a Buonaparte, che ostilmente contro una delle città più eminenti del suo dominio e di tutta Italia corresse. Certamente non era questo un procedere degno di un generale di una nazione civile, e che ha nel nemico in odio più la perfidia che la guerra. Tale sarà il giudizio che ne faranno le generazioni sì presenti che future, in cui la virtù sarà sempre più potente che il vizio.
Da questa insidia, e da queste minacce si rendeva chiaro, quali dovessero essere le deliberazioni del provveditor Veneto; posciachè, prescindendo anche dagl'indegni oltraggi, quel dire di voler arder sul fatto una città nobilissima del territorio Veneto, quell'affermare che fra sette giorni poteva venir caso ch'ei dichiarasse formalmente la guerra a Venezia, della verità o falsità della quale affermazione non poteva a niun modo il provveditore giudicare, non solo rendevano giusta, ma ancora necessaria una subita presa di armi dal canto dei Veneziani. Quello era il momento fatale della Veneziana repubblica, quello il momento fatale d'Italia e del mondo; e se Foscarini avesse avuto l'animo e la virtù di Piero Capponi, non piangerebbe Venezia il suo perduto dominio, non piangerebbe Italia il principale suo ornamento, non piangerebbe il mondo tante vite infelicemente sparse per fondare il dispotismo di un capitano barbaro. Che se Foscarini non aveva questo mandato dal senato, l'aveva dal cielo, favoreggiatore delle cause pie, e nemico dei tiranni, l'aveva dalla sua nobil patria, l'aveva dal consentimento di tutti i buoni gonfi di sdegno all'aspetto di sì inudita empietà. Non con le umili protestazioni, non col privar Verona delle sue difese doveva Foscarini rispondere a Buonaparte, ma con un suonar di campana a martello continuo, con un predicar alto di preti contro i conculcatori della sua innocente patria, con un dar armi in mano a uomini, a donne, a fanciulli, con un fracasso di cannoni incessabile dalle lagune all'Adige, dalle bocche del Timavo all'emissario di Lecco. Certamente in un moto tanto universale molte vite sarebbero mancate, molte città distrutte, Verona forse data alle fiamme, ma la repubblica fora stata salva. Forse alcuni sentiranno raccapriccio all'udir rammentare di queste battaglie di popoli. Pure le usarono contro i Francesi gli Austriaci, sebbene non prosperamente, nell'ottocentonove, e furono lodati: le usarono contro i Francesi medesimi prosperamente gli Spagnuoli nell'ottocentodieci, i Prussiani nell'ottocentotredici, e furono lodati; le vollero usare i Francesi contro gli Europei nell'ottocentoquindici, e se non furono lodati, non furono neanco biasimati. Ora non si vede perchè non sarebbe stato lodevole ai Veneziani di usarle: che se gli Austriaci, gli Spagnuoli, i Prussiani, ed i Francesi hanno qualche privilegio, quando ne va la indipendenza, anzi l'essere, od il non essere dello stato, di difendersi a stormo, sarìa bene che il mostrassero, affinchè gl'Italiani si acquetino a tanto diseredamento.
So che alcuni diranno, che il governo di Venezia era cattivo; ma si risponderà dagli uomini savj, che non tocca ai forestieri il giudicare della natura del governo, e meno ancora il correggerla; nè so se muova più a sdegno che a compassione il pensare, che queste querele dottoresche sulla mala natura del governo Veneto vengono principalmente da quelli, che hanno trovato ottimo il governo del direttorio, che voleva far tagliar la testa ai naufragati, e quello di Buonaparte, che teneva prigioni per corso d'anni, ed anche in vita senza forma di processo gl'innocenti. Fatto sta, che poichè si voleva rendere i popoli Veneziani servi dei forestieri, e' bisognava con risoluzione magnanima fare, che i popoli Veneziani si salvassero da se; ma Niccolò Foscarini, in vece di gridar campane, come Piero Capponi, corse, pieno di paura, a Verona, e diede opera che gli Schiavoni, nei quali consisteva la principale difesa, l'abbandonassero, e che così i magistrati come i cittadini ricevessero pacificamente i soldati di Buonaparte. Il non aver usato il rimedio dei popoli non solo fu fatale per l'effetto, ma fu anche inutile per la fama; imperciocchè ed i partigiani e gli storici pubblicarono a quei tempi, e tuttavìa pubblicano, sebbene bugiardamente, ma per giustificare la sceleraggine commessa contro Venezia, che se Venezia non fece, volle fare lo stormo contro i Francesi, già prima che succedesse la sollevazione di Verona del novantasette, che racconteremo a suo luogo. La qual cosa se fosse tanto vera, quanto veramente è falsa, non si sa che si volesse significare il manifesto di Brescia. So che dagli adulatori di Buonaparte viene, sebbene con la solita falsità, accagionato di aver macchinato questo stormo Alessandro Ottolini, podestà di Bergamo a quei tempi, uomo meritevole di ogni lode per la fedeltà e la sincerità sua verso la patria; ma egli solamente s'ingegnava di mantenere le popolazioni Bergamasche affezionate al nome Veneziano; e se quando s'impadronirono i Francesi di Verona, divenne Ottolini più vigilante e più attivo, e fece opera che le popolazioni si ordinassero, il fece perchè le minacce ed i fatti di guerra del capitano del direttorio a ciò lo sforzarono. Quell'ordinarsi accennava, non un voler nuocere altrui, ma un impedire che altri nuocesse a lui, e se Ottolini si armava, avrebbe fatto meglio l'armarsi molto più. Certamente avrebbe egli mancato del suo dovere verso la patria, se in tanto romore di guerra, non solo imminente, ma presente negli stati di Venezia, non avesse procurato di serbarsi padrone di se medesimo, e capace di mantenere con buoni ordinamenti salva la provincia commessa alla sua fede rispetto ai due nemici, che venivano a rapire le sostanze Veneziane, e ad ammazzarsi tra di loro sulle terre della repubblica. Ma nei tempi scorretti che abbiamo veduto, fu costume il chiamar traditori, ed il perseguitare con ogni sorte di pubblico improperio coloro, che più sono stati fedeli alle loro patrie, come se fosse stato debito loro il servire piuttosto a Buonaparte nemico, che ai principi proprj ed alla patria, ed a quanto ha la patria in se di caro e di giocondo. Così fu infamata la virtù di Alessandro Ottolini e di Francesco Pesaro in Italia, di Stadion in Austria, di Stein in Prussia: così anche furono condotti a morte Palmer di Baviera, Hofer di Tirolo: così finalmente i magnanimi Spagnuoli furono chiamati col nome di briganti. Queste cose chi generoso scrittore fosse, dovrebbe con disdegnosa e riprenditrice penna altamente dannare, non cercar di scusare, ora con le parole ed ora col silenzio, l'inganno, l'ingiustizia, e la tirannide.
Come prima si sparse in Verona, per la venuta del Foscarini, che i Francesi vi sarebbero entrati per alloggiarvi, vi nacque nelle persone di ogni condizione e grado uno spavento tale, che pareva che la città avesse ad andare a rovina. Più temevano i nobili che i popolani, perchè sapevano che i repubblicani gli perseguitavano. Il popolo raccolto in gran moltitudine sulle piazze e per le contrade, pieno di afflizione e di terrore accusava la debolezza di Foscarini, e le perdute sorti della repubblica. Lo stare pareva loro pericoloso, l'andarsene misero. Pure il pericolo presente prevaleva, e la maggior parte fuggivano. Fu veduta in un subito la strada da Verona a Venezia impedita da un lungo ingombro di carrozze, di carri e di carrette, che le atterrite famiglie trasportavano con quelle suppellettili, che in tanta affoltata avevano a molta fretta potuto raccorre. Facevano miserabile spettacolo le donne coi fanciulli loro in braccio od a mano, che piangendo abbandonavano una sede gradita per amenità di sito, graditissima per una lunga stanza. Nè minor confusione era sull'Adige fiume; perchè insistevano i fuggiaschi occupati nel caricare sulle navi a tutta pressa le masserizie più preziose dei ricchi, e gli arnesi più necessarj dei poveri: navigavano intanto