Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV. Botta Carlo
con tanta severità protegge, e difende nell'ampio recinto di sua giurisdizione? Come vorrebbe rapire in un istante a repubblica sorella l'independenza, che, pochi mesi sono, le ha guarentita con solenne trattato, e che tu, pochi dì fa, con sue patenti lettere, e in apparato quasi trionfale a salutar sei venuto? Chi oserà mai accagionare quei gravissimi quinqueviri dell'atroce e vile perfidia d'avere occultamente preparata la violazione di un trattato nell'atto medesimo, che di adempirlo fan pubblica testimonianza; di un trattato, che ottenuto avendo la sanzione dei legislatori di Francia, non può senza il loro consenso essere alterato, come non senza il previo concerto coi direttori Cisalpini? Chi potrà mai credere, che quel tuo governo, il quale non ha ricevuto che la delegazione di eseguire le leggi in terra Francese, e sopra cittadini Francesi, usurpar voglia in paese straniero, ed alleato l'autorità elettorale, legislativa, esecutiva, tutta insomma la sovranità nazionale? Li Cisalpini sono troppo giusti per recare a que' supremi governanti sì grave ingiuria. No, non è vero, che fidata abbianti la missione di rovesciar lo statuto, per cui esistono eglino medesimi: l'hanno difeso contro Europa tutta: come nol faran trionfare di pochi oscuri oligarchi?
«Sei tu, novello Lisandro (benchè solo in male, e peggio a te s'attagli siffatto nome) che vuoi poterti dar vanto di avere ricostituita una repubblica in estranio paese, tu, che nel tuo proprio non meritasti mai di sedere fra i settecento cinquanta, che le ordinarie leggi sanzionano. Che altro infatti dimostra il giro tortuoso de' tuoi clandestini maneggi? Per riverire, qual inviato di Francia, l'independenza Cisalpina, ti recasti con pubblica magnifica pompa al palagio nostro direttoriale, e il dì venti pratile andrà chiaro nei fasti della nostra repubblica; per colpire oggi di morte questa independenza, ti rintani nella più secreta parte del tuo alloggiamento; vi chiami un ambizioso, e ribelle congedato ministro, un deputato adolescente, e tal altri da te compro o ingannato; e con questi soli tenti, e disponi il tenebroso lavoro. Nè sa nulla il supremo governo, nulla li ministri, nulla il senato legislatore, nulla il popolo. Ma la patria vigilanza s'adombra e bisbiglia, va in traccia dell'ambasciadore, e il cospiratore ritrova.
«Questa è dunque la fede, l'amicizia, la fraternità, che di Francia ne apporti? questi li modi e le forme, onde la prima ambascerìa Francese presso la novella repubblica condisci, ed onori? Questa la libertà, la prosperità, che in Italia pretendi? Qual vasta materia di dire per que', che mai non posero ne' tuoi fidanza! Diranno, che voi non prometteste libertà agli Italiani, che per più agevolmente dominargli e spogliargli; che oggi sotto pretesto di riforma, gli caricate di nuove catene, onde viemmeglio continuare ad ismungergli, a dissanguargli; che l'oro, non la libertà, è l'unico idolo vostro; che quella, d'ogni virtù maestra e fonte, non è fatta per voi, nè voi per ella; infine, che la libertà Francese sta tutta nelle parole, e negli scritti, negli ululati di furibondi tribuni, e nelle declamazioni di perversi impudenti sofisti. Ma v'è di più. Quei cangiamenti, che di tua despotica possanza, e con tanta leggerezza effettuare intendi nello stato politico della Cisalpina, saranno l'infallibil segnale della caduta della stessa repubblica. Questo primo funesto esempio ne trarrà altri dopo di se. Ciò sta in principio, ma sta molto più, se si badi al carattere dei dominatori di una nazione. Nulla è durevole in Francia, dove signoreggiano soltanto foga di novità, ambizione di dominio, furore di parti, disorbitanze. Offeso in tal guisa l'Italiano nell'opposto suo carattere, insultato così, ed isvilito, non avendo potuto ancora riconoscersi, ordinarsi come a lui si conviene, sviluppare il suo genio, e le sue forze, non potrà che abbandonarsi al primo conquistatore, che si parrà a lui d'innanzi. Non è nei modi, che tu, di frivoli maestri più frivolo allievo, apparasti sulla Senna, che le antiche repubbliche Italiane stabilite, ed assodate si sono. Giudicane, se capace ne sei, dalla loro durata a traverso dei secoli. Più di quattordici ne contava la Veneta. Che è ella divenuta in due giorni nelle mani de' tuoi? Ti vanta adunque di poter tu fortificare la repubblica Cisalpina…! Per indole natìa, per l'esempio de' tuoi, per la forza pretoriana onde sei cinto, forse potrai distruggere; edificare, consolidare non mai: non si consolida distruggendo».
Sentì molto gravemente Trouvé il fatto, e condottosi in pompa al direttorio, il richiedeva con parole aspre ed imperiose dell'arresto dell'autore dell'orazione, per avere, come diceva, insultato la repubblica di Francia. Gli fu risposto, non trovarsi in Milano i caratteri di tale stampa, esser venuta di fuori; cercherebbero, farebbero, non dubitasse: ma se la passarono con parole, perchè il direttorio non ancora riformato amava il moto dell'oratore. Intanto rimostrarono i consigli legislativi, rimostrò il direttorio, mandando anche un uomo a posta a Parigi. Vi andò eziandio espressamente il generale Brune, che era succeduto a Berthier, per rimostrare, perchè gli piacevano i governi più popolari, e faceva professione di amatore ardente di libertà.
Tutto fu indarno; Trouvé, al quale il direttorio, massimamente Lareveillere-Lepeaux, per cui passavano principalmente le faccende d'Italia portavano molta affezione, mandava ad effetto le accordate deliberazioni. La notte dei trenta agosto chiamava in sua casa centodieci rappresentanti, che non erano la metà di tutti: leggeva la nuova constituzione, e le nuove leggi. Le appruovarono, chi per amore, chi per forza, perchè aveva intimato loro, che tale era risolutamente la volontà del direttorio di Francia, e che se non l'accettassero di buon grado, l'avrebbe eseguita per forza. Nonostante alcuni ricusarono, e sdegnati si ritirarono. Il giorno seguente l'opera si recava ad esecuzione. Le soldatesche circondavano la sede dei consigli, ributtavano con le bajonette i rappresentanti non eletti dalla riforma; cacciavano dal direttorio Savoldi e Testi; vi surrogavano Sopransi e Luosi: i rappresentanti renitenti scacciati dai consigli; Fantoni, Custodi, Borghi, amatori vivissimi di libertà, e capi degli altri, posti in carcere. La forza predominava. Fece Trouvé la nuova constituzione, e finalmente dichiarò, parendogli di avere operato abbastanza, e bene solidato l'imperio Francese in Lombardia, rimettere di nuovo l'autorità legislativa nei consigli. In tale guisa venne fatta una riforma negli ordini della Cisalpina, buona in se, viziosa pel modo. Ed ecco una scena: una gran turba seguitava Ranza gridando, che vuol Ranza, che scartafaccio è quello? Lo scartafaccio era la constituzione disfatta da Trouvé, che Ranza vestito a lutto andava a seppellire nel campo del Lazzaretto.
Brune, che era tornato a Milano, si mostrava scontento. Il direttorio, che lo voleva mitigare, richiamava Trouvé, dandogli scambio con Fouché. Attribuiva anche facoltà al generale di far mutazioni, non negli ordini stabiliti dall'ambasciatore, ma nelle persone impiegate. Rimetteva in carica i democrati più vivi; fora lungo e fastidioso il raccontare come e quali. Le assemblee popolari, che chiamavano i comizi, accettavano la constituzione di Trouvé. I democrati non se ne potevano dar pace. Ma tra l'accettare e il non accettare non era differenza, la forza forestiera reggeva lo stato. Non piacquero al direttorio nè Fouché nè Brune, l'uno e l'altro, come credeva, troppo ardenti in quelle bisogne, e già si vedeva apparire la nuova confederazione contro Francia. Mandava a Milano Joubert in vece di Brune, Rivaud in vece di Fouché, strano inviluppo d'uomini e di leggi tante volte mutate in pochi mesi da chi reggeva il mondo con la forza, e la forza col capriccio. Non si mescolava Joubert nelle riforme; perchè da uomo generoso e magnanimo com'egli era, rispettava la independenza altrui, ed aveva grandi pensieri sopra l'Italia. Rincominciava Rivaud l'opera di Trouvé. La notte dei sette dicembre cingeva con soldatesche il corpo legislativo, che stava deliberando sulle macchinazioni che si ordivano. Poi la mattina le bajonette straniere cacciavano a forza i legislatori eletti da Brune, rimettevano in carica di direttorio Adelasio, Luosi, e Sopransi cacciati da lui. Fu imprigionato Visconti, frenata la stampa, serrati i ritrovi: minacciaronsi i fuorusciti Napolitani di espulsione, i democrati Cisalpini di carcere, se non moderassero le lingue, e gli scritti. Divenne Rivaud padrone della Cisalpina. I democrati lo volevano ammazzare, e pingevano sui loro scritti contro di lui non so che coltello di Bruto; ma e' non fu nulla. In questa guisa la Cisalpina tra la rabbia dei democrati, le speranze degli aristocrati, la prepotenza delle soldatesche forestiere, il timore di tutti, se ne stava aspettando i nuovi assalti dell'Austria.
Delle raccontate mutazioni fatte in Cisalpina per modo sì violento levarono un grandissimo romore in Francia coloro, che o sedendo nei consigli legislativi, o con le stampe addottrinando il pubblico, contrastavano al direttorio. Luciano Buonaparte, fratello del generale, servendosi dei principali pensieri dell'orazione di Marco Ferri, ne fece una al consiglio dei cinquecento, la tirannide del direttorio, e la violenza da lui usata in Cisalpina con gravissime parole detestando. Questi discorsi si tenevano dagli opponenti piuttosto per odio del direttorio che per amore della libertà, per la maggior parte di loro, e fra tutti il primo Luciano, macchinavano già fin d'allora