La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

La plebe, parte II - Bersezio Vittorio


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la menoma luce. Soltanto i genitori ne appresero che a prendere Francesco erano venuti due giovani, di cui uno era Giovanni Selva, ch'essi sapevano amicissimo del loro figliuolo.

      Il signor Giacomo si disponeva a correre in casa di Selva per cercare di apprendere colà qualche cosa di positivo, quando una carrozza con un solo cavallo spinto al galoppo, giungeva alla fabbrica, ed entrava coll'impeto di un turbine sotto il portone della dimora dei Benda.

      Giacomo, Teresa e Maria si precipitarono verso il vestibolo, e videro da quella carrozza uscire solleciti e venire alla lor volta due giovani di cui riconobbero Giovanni Selva che camminava primo.

      Francesco non c'era.

      La madre si gettò contro Giovanni con impeto che si sarebbe potuto chiamare quasi feroce.

      – Mio figlio! Esclamò essa con voce arrangolata e convulsa. Mio figlio! Che avete fatto di mio figlio?..

      Le forze le mancarono e piegandosi sulle ginocchia, sarebbe ella caduta, se Giovanni non fosse stato lesto a sostenerla. Non isvenne però, e mentre le labbra pallide come di morta non avevano più la capacità di pronunciare la parola, i suoi occhi ardenti, fissi sul volto del giovane che la sosteneva, seguitavano ad esprimere con ansia indicibile quella domanda.

      – Si tranquilli: disse affrettatamente Giovanni. Suo figlio è sano e salvo, e sta bene… Glie lo giuro! soggiunse con forza, vedendo l'incredulità dipingersi sul volto di Teresa.

      – Si è battuto? Domandò Giacomo con voce, di cui voleva sforzarsi ma non riesciva a dissimulare il tremito.

      – No signore, non si è battuto.

      – Dov'è? Perchè non è qui? Domandò la madre che aveva ritrovato le forze per parlare e per reggersi sulle proprie gambe.

      – Tutto ciò: rispose affrettato Selva, glie lo spiegherà questo signore – il dottor Quercia che doveva essere l'altro testimonio di Francesco. Io, per salvare suo figlio, per salvare molti altri eziandio, ho da compiere una missione, e non bisogna che ci metta indugio di sorta.

      Si volse verso il sig. Giacomo e senz'altro preambolo gli disse col tono d'un uomo a cui la pressa non concede di far frasi:

      – Ella sa ch'io sono amico intimo e confidente di Francesco; occorre che in tutta fretta io faccia sparire delle carte e dei libri che sono nello scrittoio di suo figlio. Ne va della sua sorte e di quella d'altrui. Si fida ella di me, signor Benda?

      – Vada: rispose Giacomo senza la menoma esitazione, come quello che conosceva le strette attinenze che passavano fra quel giovane e suo figlio ed aveva la maggiore stima del carattere di Selva. Questi corse nella camera di Francesco.

      Il padre e la madre di quest'ultimo si volsero verso colui che loro era stato presentato col nome di dottor Quercia.

      – Ella ci spiegherà…

      – Tutto: disse Gian-Luigi affrettatamente; ma per prima cosa, dia ordine, signor Benda, che si chiuda il portone perchè nessuno possa entrare senza farsi sentire picchiando; poi riduciamoci in casa a discorrere.

      Bastiano ebbe ordine di chiudere e di non aprire senza prima venire ad annunziare chi fosse: poscia il giovane fu condotto nella sala, e tutti tre, Giacomo, Teresa e Maria, stettero lì ad ascoltare, pendendo dalle labbra di lui, che così fecesi a dire:

      – Suo figliuolo è arrestato.

      I genitori di Francesco mandarono un grido.

      – Arrestato! Ma perchè? Ma come?

      – Il duello che doveva aver luogo ne fu il pretesto, la ragione è forse più grave.

      – Più grave? O cielo! Si spieghi…

      – L'avvocato Benda appartiene alla schiera della gioventù liberale; e la polizia odia assai tale schiera. Potrebbe darsi che questo arresto fosse soltanto uno sfogo della prepotenza di Barranchi, ma potrebbe anche essere che venisse come conseguenza di certi sospetti. Ad ogni modo ho consigliato io stesso al signor Selva di venire a far sparire ogni carta ed ogni libro compromettente che potesse avere il sig. Francesco, e così, se mai si venisse a fare una perquisizione, com'è assai probabile…

      – Una perquisizione! A casa nostra?

      – Eh! nulla è di più facile.

      Giovanni Selva aprì l'uscio e, cacciando dentro la testa, disse:

      – Ho finito. Andiamo pure.

      Ma da un altr'uscio accorreva Bastiano tutto conturbato.

      – Oh signor padrone! Un Commissario di polizia coi carabinieri domandano di lei.

      – Di già! Disse Quercia tranquillamente, mentre tutti gli altri a queste parole impallidivano. E' non ha perduto tempo. Lei, signor Giacomo, vada a parlamentare con loro e li tenga almanco dieci minuti in novelle prima di aprire. Io starò qui colla signora Benda; e Lei, signorina, conduca il signor Selva per la strada più breve nelle officine e lo faccia uscire per una di quelle porte che mettono nella campagna. Se i carabinieri non hanno pensato a custodire tutte le uscite, noi siamo salvi.

      – È vero, è vero: disse Selva affrettatamente. Venga, madamigella Maria, ad insegnarmi la strada.

      La giovanotta prese Giovanni per mano, e, passando per la scaletta di servizio, attraversarono ambidue correndo il cortile, ed entrarono nei laboratoi, mentre il signor Giacomo, fattosi al finestruolo del portinaio, domandava ai quattro carabinieri e ad un uomo vestito da civile che li guidava:

      – Che cosa c'è? che cosa mi si vuole?

      Il borghese volse in su il capo e mostrò la faccia volpina di messer Barnaba.

      – Servizio di S. M.! Diss'egli con accento imperioso. Apra, e sollecitamente, signor Benda, altrimenti saremo costretti a gettar giù la porta.

      – Un momento! un momento! Posso ben chiedere la spiegazione di questo strano procedere: soggiunse il signor Giacomo.

      – La spiegazione glie la darò quando saremo entrati.

      – Io sono un suddito fedele di S. M.

      – Non ne dubito, ed è perciò che le ordino di farmi aprir subito.

      I dieci minuti erano passati. Giacomo ordinò a Bastiano di aprire, poi mosse egli stesso all'incontro dell'agente di polizia e dei carabinieri che entravano; si fece forza a mostrare una fisionomia calma e tranquilla, ma sulla fronte gli spuntava a goccioline il sudore.

      Per ispiegare divisatamente i fatti che erano successi ed avevano condotto l'arresto di Francesco, bisogna che ci rifacciamo alla sera precedente, ed entriamo nel camerino della portinaia della casa in cui dimoravano Giovanni Selva e i suoi amici, entro il qual camerino abbiamo visto Barnaba introdursi, dopo aver seguitato cautamente Maurilio fino alla sua abitazione.

      CAPITOLO VII

      Il poliziotto, se vi ricorda, era vestito da povero operaio, ed aveva preso l'aria più timida e peritosa del mondo.

      – Buona sera, madama: aveva egli detto con accento tutto rispettoso alla portinaia che per guardare attentamente chi le veniva innanzi, aveva fermate le sue mani nell'opera del far la maglia e stava colle punte dei suoi ferri da calza per aria.

      Alle popolane torinesi, e massime a quelle dell'onorevole classe delle portinaie, il titolo di madama è un omaggio che si credono dovuto.

      Monna Ghita sorrise graziosamente al nuovo venuto che si mostrava così civile, e rispose tutto garbata:

      – Buona sera a Lei. In che cosa la posso servire? To', to': la è strana. Mi pare di conoscerla Lei, e non mi pare. Di certo la sua fisionomia l'ho già adocchiata.

      – Può darsi: rispose Barnaba inchinandosi con un sorriso tutto piacenteria.

      – Oh oh! io per ritenere le fisionomie non c'è la mia pari. Se mi avviene di vedere il muso di qualcheduno, passano anni ed anni e lo ravviso al primo rincontrarlo, come se non l'avessi visto che da ieri.

      – Bella qualità! Disse con molta ammirazione il poliziotto.

      – Si figuri che una volta avevo un cardellino,


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