La plebe, parte III. Bersezio Vittorio

La plebe, parte III - Bersezio Vittorio


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seco stesso sulle ultime parole che aveva pronunziate.

      – E costui ha dell'ingegno. Sì; traverso questo suo falso modo di concepire le cose umane, traverso codeste che mi paiono ambizioni del suo pensiero, si scorge una certa potenza d'intelletto… Se la dirigesse al bene!.. Perchè non si potrebbero acquistare ai sani principii anco queste ambizioni della classe infima?.. Forse non è manco vero che questo tale nulla abbia provato del mondo, nulla visto. È nato nella plebe; non ha provato che i mali di quella condizione cui la sua intelligenza, maggiore delle ordinarie di tal classe, gli ha resi più sensibili; non ha visto la questione che da un lato solo. Quando potesse salire più in alto ed esaminare il problema sociale sotto un più vasto rispetto e in modo più regolare, non è egli probabile che vedrebbe e giudicherebbe diversamente? Dove la nostra parte, oltre l'autorità e il possesso del potere, abbia ancora l'intelligenza che ne propugni i principii, sarà di tanto più forte. E queste intelligenze è opportuno arruolarle fra le nostre file da qualunque punto si mostrino, da qualsiasi ceto esse sorgano… Parlerei volentieri all'autore di queste temerità rivoluzionarie così modestamente vestite della forma di pacifici e quasi dottrinali ragionamenti…

      Un subito nuovo pensiero gli attraversò il cervello e parve gettarlo in un altro ordine d'idee.

      – Ed e' si chiama Maurilio! esclamò levandosi in piedi, come sospinto da una vivace emozione. Maurilio?.. Oh quel nome!

      Passeggiò per la stanza a capo chino, le braccia incrociate al petto.

      – Anche quell'altro: diss'egli: anche Maurilio Valpetrosa era un novatore, era un liberale, come sogliono essi stessi chiamarsi, un patriota. La prima volta ch'e' venne in Piemonte fu nel 1820 per prepararvi quella sciagurata gazzarra dell'anno di poi, cui battezzarono col nome di rivoluzione. Fu allora che io primamente lo vidi: fu allora ch'egli vide mia sorella Aurora… Fatalità! Fatalità! Egli era bello di forme, avvenente di modi, eloquente nella parola, piacevole per ogni verso. Chi avrebbe detto che sotto quelle leggiadre sembianze s'introduceva nella nostra casa la sciagura, la discordia, quasi il disonore, la necessità dell'omicidio?

      Si fermò presso il camino, appoggiò il gomito alla mensola di marmo, e sorresse colla mano la testa in una mossa che abbiamo già visto essergli abituale.

      – Ah! mi ricordo di tutto e sempre, come se non fosse avvenuto che da ieri. Santarosa, che era suo complice, lo aveva presentato alle più cospicue famiglie. Dal Pozzo e Dal Borgo lo trattavano col tu e ne parlavano con entusiasmo. Il principe di Carignano lo aveva ricevuto ufficialmente, e dicevasi che lo vedesse in privato quasi tutti i giorni. Egli aveva tratti e maniere che lo facevano degno d'essere accolto nella società più scelta; perfino mio padre, così severo e difficil giudice, non disdegnava sorridere al suo brioso conversare e gli aveva data la mano. E noi fummo così stolti e ciechi da non sospettare nemmeno che Aurora potesse!..

      S'interruppe di nuovo, preso da una certa commozione che diede ancora un altro avviamento al corso dei suoi pensieri.

      – Povera Aurora!.. Avremmo dovuto vegliar meglio su di te. Così ti avremmo avanzati tanti dolori… e l'immatura morte fors'anco… ed a me il rimorso… Ma fummo incauti dapprima, troppo crudeli – forse – di poi… Oh perchè quell'uomo non era egli della nostra casta?.. Lo sciagurato! Com'ei ci seppe ingannar bene!.. Oh tutti questi rivoluzionarii sono infinti e traditori. Un uomo da nulla, il figliuolo d'uno scrivano osò stare alla pari con noi e rapirci la più preziosa gemma della famiglia… Egli pure aveva ingegno; oh sì, moltissimo ne aveva. Era poeta. Quando parlava della sua utopia d'un'Italia libera dallo straniero, risorta a nuova grandezza, mercè l'unione delle sue varie membra sotto lo scettro di Casa Savoia vi sapeva entrare con tanta efficacia nell'animo che ognuno ne sarebbe rimasto scosso. Io, giovane allora, lo fui; perfino mio padre esitò un momento. Quando quel demonio tentatore gli espose dinanzi il quadro d'un regime rappresentativo in Italia in cui noi potessimo e dovessimo sostenere la parte che tiene con tanto lustro ed effetto l'aristocrazia in Inghilterra, mio padre stesso fu sovraccolto e non isdegnò fermare su tal concetto il suo pensiero. Ma lo spirito pratico e fermo di mio padre non tardò a vedere che l'impiantare il sistema inglese in Italia, con altri costumi, con altre tradizioni, era impossibile, e il crederlo una illusione. Ponendo le mani in quella congiura l'aristocrazia non avrebbe fatto che un marché de dupe; perchè o la congiura falliva e chi ci aveva da perdere maggiormente erano i nobili compromessi che ci ponevano in repentaglio la loro fama, il nome, la posizione, le ricchezze: o riusciva, e noi non avremmo fatto altro, introducendo forme liberali nel Governo, dando la spinta al sentimento popolare colla guerra allo straniero, che mettere in mano della borghesia procacciante lo strumento per soprammontarci… E molti di noi – troppi – si diedero in preda all'illusione e credettero potere scatenar l'idra e vincere con essa il monarcato assoluto e il dominio straniero, due forze potenti, e quell'idra, quand'anche vittoriosa, dominarla poi!..

      Fece una pausa ed era evidente, chi l'avesse visto, che la sua mente, così agitata da varie impressioni, ora s'affondava sempre più in una grave meditazione.

      – L'Inghilterra, riprese egli a dir seco stesso, è quella che possiede l'aristocrazia più potente, più benemerita e fondata su più salda ed incrollabil base. Sul continente la monarchia, distruggendo il feudalismo colla forza, appoggiandosi sul popolo, ha fatto di noi poco più che cortigiani soltanto. Una Camera di Pari ci rialzerebbe i caratteri, l'autorità e le fronti.

      Sorrise, poi tentennò il capo e fece un gesto colla mano, come per allontanare da sè la follia di quel pensiero.

      – Eh via! soggiunse. Noi siamo oramai incastrati a questa monarchia tal quale essa è. Conviene vivere con essa della sua vita presente. Una modificazione nella medesima chi sa dire le conseguenze che può avere? Non sarebbe egli aprirvi dentro una breccia? E traverso questa, per quanto stretta, passerebbe senza fallo oggidì lo spirito sovvertitore moderno. Ma l'aristocrazia inglese ha un suo metodo per tenersi sempre in prima fila in quella vita di pubblicità e in quella lotta di intelligenze e d'ambizioni; ed è di studiar molto essa stessa, e poi di chiamare a sè, d'invitare, accogliere e far suoi tutti i più notevoli ingegni che dieno prova efficace di sè nelle classi inferiori. Così la si rifornisce, per così dire, di nuovo sangue, la si rinforza di nuovi campioni e li toglie a' suoi nemici che se ne potrebbero servire; acquista di quando in quando nelle nuove reclute lo zelo sempre più ardente di neofiti. Ciò dovremmo fare anche noi. Con un po' d'oro acquistare un ingegno; di questo non ne abbiamo troppa abbondanza per trascurare siffatto mercato…

      Riprese in mano lo scartafaccio di Maurilio che aveva abbandonato sulla mensola del camino.

      – Questo disgraziato che non ha nome, che non ha famiglia, che forse non ha pane, ha la ricchezza dell'ingegno. Perchè non diverrebbe un soldato della nostra falange?

      Si diede a continuare la lettura del manoscritto.

      «L'individuo gli è verso la famiglia che ha il diritto naturale di ricevere l'istruzione: lo Stato che ha interesse i suoi componenti sieno istrutti, gli è alla famiglia che ha il diritto sociale d'imporre la educazione dei figli.

      «Ma se la famiglia non può? Perchè si raccolsero le famiglie in Comune se non perchè questo secondo ente collettivo sottentrasse colla sua forza maggiore là dove le forze della famiglia non potevano provare? L'educazione dei poveri è obbligo del Comune.

      «Se questo manchi al debito suo, lo Stato, associazione superiore, dovrebbe obbligarlo a compierlo; e se il Governo, troppo lontano e non abbastanza in condizione da vedere e giudicare le circostanze locali, affidasse questo suo diritto e il sindacato che ne fa parte alla Provincia, tanto meglio e tanto più efficace il provvedimento.

      «Il Comune adunque dovrebbe procurare che fosse aperta nel suo seno quella scuola che dà gli elementi necessarii ed indispensabili dell'istruzione alla fanciullezza. A quell'età l'istruzione è unica e serve per tutti, a qualunque classe si appartenga, qualunque carriera si sia per intraprendere di poi. Sarebbe assai venturoso che i figliuoli dei ricchi si frammischiassero fin d'allora ai figliuoli dei poveri, e imparassero l'eguaglianza degli uomini innanzi al diritto, il rispetto alla dignità personale in ogni creatura umana. Ma se ciò sarebbe pur bene, non è tuttavia da imporsi. Quella libertà ch'io propugno, vorrei rispettata anche in codesto. Il Comune apre la sua scuola a tutti; ma se alcuno ha i mezzi di istruire i suoi figli all'infuori di


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