La plebe, parte III. Bersezio Vittorio

La plebe, parte III - Bersezio Vittorio


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quel giovane; e forse appunto l'amo tanto più in quanto che vedo i pericoli di perdersi in mezzo a cui cammina, e sarei fiero che Iddio adoperasse la mia pochezza per ricondurlo sulla buona strada, su quella del vero.

      Arrossì come persona che si accusa d'un fallo.

      – È certo soverchia vanità la mia, soggiunse, ma parecchie volte il Signore, appunto per dimostrare la potenza e l'efficacia della verità, usa de' più deboli strumenti per farla trionfare. Maurilio ha studiato molto, si è istruito assai della scienza terrena, ma tuttavia spero ancora che la mia ignoranza col rincalzo della fede possa aprirgli un giorno gli occhi sulle cose del mondo superiore. Ogni qual volta io capito a Torino, vengo a vederlo; talvolta non è che per quest'ultima ragione ch'io abbandono la tranquilla casetta del mio villaggio e casco giù a farmi toglier la testa nell'assordante confusione di questo viavai cittadino; e la presente è appunto una di quelle volte. Ho avuto come una specie d'istinto che quel poveretto doveva aver bisogno di soccorso; è il mio buon Angelo custode che me ne ha ispirata l'idea. Insomma da parecchi giorni avevo un gran bisogno di vederlo, e questa mattina non ci ho più resistito ed a dispetto della stagione e del cattivo tempo sono venuto. Alla sua abitazione, la signora Rosina (è la padrona del quartiere dove Maurilio dimorando in compagnia di alcuni amici, appigiona una camera ammobigliata), la signora Rosina mi raccontò tutto ciò che è avvenuto questa mane e di cui vedo V. E. essere già informata.

      – Sì: il suo protetto fu arrestato come congiurante contro l'attual forma di Governo e contro la sicurezza dello Stato.

      – Misericordia!.. Può dunque essere un affar serio?

      – Se l'accusa viene provata, serio assai.

      – Ma benedetta la pace! Come lo Stato e il Governo possono aver da temere di un misero giovane, senza aderenze, senza mezzi di sorta?..

      – E l'ingegno? Quell'ingegno ch'Ella stessa Don Venanzio riconosce in lui superiore? Codesta è una forza contro cui ogni Governo deve con cura guardarsi. L'intelligenza dissemina i principii e sparge le idee: e queste e quelli, quanto più sono perniciosi, tanto più rapidamente attecchiscono e crescono come fanno le male erbe nei campi. Se si può arrestare la mano che getta i cattivi semi nei solchi non è egli miglior cosa che dover dipoi strappare le cattive piante già nate? E inoltre: guardi! In queste sue pagine ch'io stava appunto leggendo, quel giovane medesimo esalta a buon diritto la potenza dell'associazione. Un individuo solo potrà nulla o poco, per quanto abbia forza di mente; ma lasciate che a lui si uniscano parecchi, ed avrete ogni difficoltà a spezzarlo. Questo cotale è unito, a quanto pare, ad una schiera di giovani audaci che aspirano niente meno che ad un sovvertimento sociale.

      Don Venanzio, spaventato, esclamò guardando il marchese con occhi pieni di supplicazione:

      – Dio buono! Le cose sono sì gravi!.. Ed Ella, signor marchese, rifiuta di dar la sua protezione?

      Baldissero levò la mano destra con mossa piena di nobiltà e di grazia, e disse con quel suo sorriso aristocratico:

      – Non ho detto codesto, e non lo dico… Sono anzi molto disposto a favorire il suo raccomandato. Ho scorso alcune di quelle sue pagine di scritto. C'è molto ingegno davvero! Un'intelligenza sviata che ha mestieri d'essere ricondotta fra le guide dei buoni principii dall'esperienza e dall'autorità d'una mente più matura. Ho una grande curiosità, che non mi so spiegare, di veder codestui e parlargli. Non penso neppure che il male sia poi tanto grave come apparve alla Polizia: forse c'è più imprudenza di giovinotti che altro; ho già preso l'impegno di parlare di ciò a S. M. io stesso: e se il Re porta su questo incidente un giudizio compagno al mio, spero che il suo protetto e quegli altri che partecipano ora la medesima sorte, saranno quanto prima restituiti alla libertà.

      – Benedetta Lei!..

      – Ma frattanto non mi spiacerebbe, caro Don Venanzio, d'avere da Lei alcuni maggiori ragguagli sul conto di questo giovane. Ella me ne ha discorso un tempo, ma, confesso sinceramente che ho tutto obliato.

      Il parroco raccontò ciò che sapeva di Maurilio; ed il marchese ascoltò con attenzione, e sollecitò per avere i più minuti particolari con sì minute domande che appariva metter egli in codesto un vivissimo interesse, quale Don Venanzio non avrebbe mai supposto potesse avere.

      Di questa guisa il parroco fu tratto a dire di quegli oggetti che erano stati trovati addosso all'esposto bambino: la lettera scritta da mano di persona del volgo, il rosario d'agata e il bottone da livrea; cose di cui la prima volta che aveva fatto cenno di Maurilio al marchese, non era nato il caso di parlare.

      – Ma codesto, disse il Baldissero, è un filo che può guidare allo scoprimento delle origini di quel giovane. Si può sapere, per esempio, a qual famiglia appartenesse la livrea di cui fece parte quel bottone d'argento…

      – Ho bene sperato ancor io che ciò varrebbe a pormi in su alcuna traccia del vero, ma inutilmente: così disse Don Venanzio. Una volta, e son già di molti anni, e Maurilio, ancora fanciullo, se ne viveva presso i villani che l'avevan raccolto, venendo a Torino recai meco e il bottone e il rosario, sperando col primo scoprire la famiglia che aveva lo stemma impresso su quel bottone, e raccogliendo informazioni intorno ad essa tentare se mercè quel rosario e quella lettera si fosse potuto venire a capo di qualche cosa.

      – Ebbene?

      – Ebbene appresi che quello era lo stemma della famiglia de Meyrat, estinta da tempo, il cui ultimo rampollo anzi morì nelle guerre dell'impero. Ora siccome sono ventiquattro anni appena che il lattivendolo Menico trovò Maurilio abbandonato…

      – Ventiquattro anni! esclamò il marchese come se dèsse una certa importanza alla misura di questo tempo. Quel giovane ha dunque ventiquattro anni?

      – O poco più, perchè veramente quando Menico lo trovò poteva già contare parecchi mesi, ma insomma non può avere a niun modo più di venticinque anni, e la famiglia de Meyrat non ha più avuto esistenza dal 1813.

      – È vero, interruppe il marchese, l'unica ragazza, che sopravvisse al colonnello morto a Lipsia, morì monaca a Ciambery.

      – Era dunque impossibile avere in proposito nessuno schiarimento, com'è impossibile che Maurilio abbia alcuna attinenza con quella famiglia.

      Baldissero appoggiò il gomito al bracciuolo della poltrona, e sostenne il capo colla mano destra in mossa profondamente riflessiva.

      – Quando i lontani collaterali che presero l'eredità dei de Meyrat ne liquidarono la successione, la maggior parte delle loro sostanze fu comperata dal signor La Cappa, ora barone; in quelle negoziazioni ebbe molta parte un uomo che servì pur anche la mia famiglia, Nariccia; non sarebbe forse inopportuno consultare quest'uomo.

      Pronunziando il nome di Nariccia, il marchese ebbe un interno sussulto; si tacque, ma la sua riflessione si fece ancora più profonda. Chi avesse potuto guardargli nel cervello, vi avrebbe letto questi pensieri:

      – Nericcia! Egli fu di cui si servì mio padre per togliere a mia sorella il figliuolo… Bene giurò egli che quel bambino era morto; e se invece… Ma codeste mie sono vere pazzie… Perchè avrebbe egli mentito?.. E costui che la fatalità mi mena innanzi con quel nome di Maurilio, come potrebbe esser mai quel bambino, mentre non ha che ventiquattro anni, e sono ventisei che quella tragedia è avvenuta?.. E poi che cosa ci avrebbe da entrare il bottone della livrea dei de Meyrat?

      Si passò la mano su quella sua leggiadra fronte come per ispazzarne via i torbidi e folli pensieri, e riprese parlando a Don Venanzio:

      – L'importante per prima cosa è di ottenere la libertà del suo raccomandato. E ciò tenterò tosto. Fra poco mi recherò a Corte e parlerò a S. M. Quando quel giovane sia libero, voglio vederlo, voglio parlargli e confidenzialmente ed a lungo… E se vi ha luogo, faremo anche le ricerche occorrenti per iscoprire l'esser suo.

      Un lieve grattare all'uscio annunziò di nuovo che alcuno domandava d'entrare: al permesso datone dal marchese venne il solito domestico, che annunziò:

      – Il cavaliere Massimo d'Azeglio chiede di parlare a V. E.

      Don Venanzio s'alzò in tutta fretta.

      – Io la lascio in libertà, signor marchese, disse egli premurosamente quando appena Baldissero


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