La plebe, parte III. Bersezio Vittorio
d'un alto dignitario dello Stato; l'altro, questa mattina, si ribellò agli agenti della forza pubblica.
– Sire: disse con fermo accento il marchese: il primo fu aspramente provocato, e se in lui si vuol proseguire la colpa, conviene che anche il suo provocatore sia soggetto al medesimo trattamento.
– Ma questo a cui Ella allude, è suo figlio, marchese.
– Sì, Maestà.
– Va bene: disse allora il Re ponendo lentamente la sua mano sulla destra del marchese. Sarà perdonato a tuttidue… Ma e quell'altro che fece resistenza alla forza pubblica?
– Quegli agenti non erano in montura; la colpa di quel giovane sconsigliato mi sembra abbia da giudicarsi perciò molto minore.
Carlo Alberto si alzò e il marchese fu sollecito a levarsi ancor esso.
– Il conte Della *** andrà in collera: disse il Re facendo ancora una volta quel suo sorriso; ma io do ragione alla causa della clemenza propugnata così bene.
– La causa della clemenza, disse il marchese, non ha bisogno d'essere propugnata da nessuno innanzi alla Maestà Vostra. Le parla abbastanza l'anima sua.
Carlo Alberto non rispose.
– Ah! diss'egli poi, una condizione marchese.
– Comandi, Maestà.
– Quel giovane avvocato ebbe una contesa con persona che molto presso a Lei appartiene. Desidero (e pesò su questa parola) che siffatta contesa si ritenga come assolutamente terminata e non abbia conseguenza di sorta.
– Sire; ogni menomo suo desiderio è un ordine a cui i Baldissero saranno sempre lieti di obbedire.
– Sta bene: disse il Re con inesprimibile grazia d'accento e di guardatura.
Poi chinò lievemente la testa in una specie di saluto.
– Attendo quel manoscritto, marchese: soggiunse come per ultime parole di commiato.
Ma Baldissero pur facendo un profondo inchino, non accennò partire.
– Supplico ancora un istante d'udienza da V. M. È un'altra grazia che ho da domandarle.
– Quale? Interrogò Carlo Alberto atteggiandosi a quella mossa naturalmente dignitosa, che dava tanta imponenza alla sua persona.
– Il cavaliere d'Azeglio chiede di essere ricevuto da V. M.
– Ah! Massimo? domandò il Re con qualche maggiore interesse di quello che mostrasse ordinariamente.
– Sì Maestà.
Carlo Alberto, come sempre, indugiò alquanto a dare la risposta. Il suo sguardo incerto pareva andar vagando traverso i cristalli tersissimi della finestra sulla sottoposta Piazza Reale, in cui erano soltanto i lavoratori che spazzavano la neve, e più in là nella vasta Piazza Castello dove rarissimi e frettolosi i passeggieri sotto al lento fioccare della neve che continuava.
– Può dire al cav. D'Azeglio, disse poi, come per determinazione subitamente presa, che lo riceverò domani mattina alle sei.
Era quella l'ora solita in cui Carlo Alberto usava dare le udienze confidenziali.
Il marchese ripetè il suo profondo inchino e partissi. Mezz'ora dopo un bigliettino recato dal lacchè del marchese all'albergo Trombetta avvisava Massimo d'Azeglio dell'ottenutogli favore.
In pari tempo un altro domestico si affrettava verso l'officina Benda con un'altra letterina scritta dalla contessina Virginia a Maria la sorella di Francesco.
Il marchese, appena rientrato nel suo palazzo, erasi recato egli stesso nelle stanze della nipote, dove stava ancora il buon Don Venanzio, il quale aveva per la nobile fanciulla, più che simpatia, stima, ammirazione ed affetto grandissimi.
– Caro Don Venanzio, aveva egli detto al vecchio parroco, fra poche ore Ella potrà abbracciare il suo raccomandato. Virginia, puoi mandar detto alla tua compagna di collegio che di quest'oggi stesso le sarà restituito suo fratello. Il Re volle tutto perdonare.
– E Dio benedica il Re! esclamò il sacerdote con voce commossa.
– Una buona novella non giunge mai troppo presto: disse madamigella Virginia alla quale il piacere provato dall'annunzio datole dallo zio aveva lievemente arrossato le guancie e fatto brillare lo sguardo; chiedo adunque licenza di scriver subito la lieta notizia a madamigella Benda.
– Hai ragione: disse paternamente sorridendo il marchese. Lasciamola fare, Don Venanzio; e s'Ella desidera veder presto il suo protetto, io la indirizzerò al Comandante perchè le contenti questo suo desiderio. Chi sa che l'ordine di rimettere in libertà quel giovane non sia già venuto, ed Ella non possa condurselo seco fuori del Palazzo Madama!
– Come quell'altra volta, esclamò Don Venanzio, in cui Ella pure mi fece ottenergli la libertà, e sono stato io a recargliene la novella.
– Uno di questi giorni, soggiunse il marchese; il più presto possibile, anche domani, mi farà un piacere, Don Venanzio, se mi condurrà quel giovane… Ho gran desiderio di parlargli; e forse il colloquio che avremo non sarà inutile per lui.
– A quell'ora che sarà più comoda a V. E. io glie lo presenterò sicuramente.
Quando il buon parroco si fu avviato verso il Palazzo Madama con una commendatizia del marchese pel Comandante, quando il lacchè fu spedito all'albergo Trombetta colla lettera per Massimo d'Azeglio, Baldissero s'informò se suo figlio era in casa, e udito di sì, ordinò gli si dicesse che il padre lo aspettava nel suo salotto da studio.
– Ettore, disse il marchese al figliuolo appena fu entrato nel gabinetto, S. M. ha benignamente acconsentito che l'avvocato Benda e i suoi compagni fossero messi in libertà.
Il contino s'inchinò in modo che voleva significare esser egli di ciò pienamente soddisfatto.
– Vi ho detto poc'anzi che vostro debito sarebbe quello di andar voi da quel giovane che avete oltraggiato a tendergli primo la mano, e voi mi avete risposto che ciò non fareste mai e che l'unico obbligo cui vi credete di avere secondo le leggi d'onore, si è quello di rimettervi nuovamente a sua disposizione per uno scontro.
– Persisto in questa mia opinione, e vi persisterò sempre: disse alquanto seccamente il figliuolo.
– I Baldissero, Ettore, sono avvezzi ad ubbidire ciecamente ai cenni del loro Re: e codesto io ricordava testè a Carlo Alberto, il quale mi diceva essere suo volere che la vostra contesa con quel cotale non avesse più conseguenze di sorta.
Ettore fece una mossa piena di superbia.
– Ma i Baldissero, io mi penso, non obbedirono mai a nessuno in cosa che ritenessero lesiva dell'onor loro.
– I nostri antenati, maestri in fatto di giusta suscettività d'onore, non iscambiarono mai per essa un puntiglio di ripicco… Del resto, s'affrettò a soggiungere, voi siete oramai in età da avere la libertà delle vostre decisioni e tutta la risponsabilità delle medesime. Io non vi do che consigli. Ho creduto potere anche a nome vostro rispondere a Sua Maestà con una formola di piena devozione. Fate voi poi a vostro talento, contraddite pur anco alla parola di vostro padre; ma se commetterete il fallo di trasgredire l'ordine del Re, ch'io stesso vi trasmetto, mi recherò ai piedi di S. M. a supplicare io medesimo che si degni farvi rinchiudere per parecchi mesi a Fenestrelle.
Il contino accennò voler parlare, ma si contenne; aspettò un momento in silenzio, in apparenza indifferente e poi domandò:
– Posso ritirarmi?
Il padre gli fece colla mano un cenno di licenza. Ettore salutò ed uscì.
– Bella libertà di determinazione che mi si lascia… colla minaccia di Fenestrelle: borbottava egli fra sè con rabbia repressa. E dovrò vedermi innanzi quel borghesuccio e tacere! Sacrebleu!.. Il soggiorno di Fenestrelle certo non mi sorride, ma se quel cotale ha la disgrazia di venirmi a stuzzicare, ma foi!..
Ho detto che madamigella Virginia s'era affrettata a mandare un domestico a casa di Benda con una sua letterina a Maria. Sperava la nobile fanciulla