Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, sommario. v. 2. Balbo Cesare
collegaron ora con Luigi XII per il misero acquisto di Cremona e Ghiara d’Adda [trattato di Blois, 15 aprile 1499]. Chiaro è: que’ vantatissimi politici non ebber forse mai, non aveano certo piú niuna politica vera, lunga, propriamente detta, ma solamente abilitá alla giornata; quella vantata aristocrazia non aveva piú l’aristocratica virtú della costanza, ma solamente l’aristocratico istinto della propria conservazione. E legossi pure con Luigi XII Alessandro VI, per far suo infame figliuolo Cesare Borgia duca di Valenza in Francia e di Romagna in Italia. E lasciaron fare, Massimiliano distratto in Germania, e Federigo III di Napoli mal fermo nel nuovo regno. Cosí da Asti, giá sua, Luigi XII assalí il ducato; ed alle prime fazioni sbandaronsi le truppe del Moro, che fuggí in Germania; e Luigi entrò in Milano [2 ottobre 1499], e tutto il ducato con Genova furono di lui. Ma tornato esso in Francia, e riposando i francesi lasciati nella conquista, ritorna il Moro con un esercito di svizzeri e fuorusciti, e riprende Como, Milano, Parma, Pavia, Novara. Arriva La Tremoglia con un nuovo esercito di francesi e svizzeri. Svizzeri di qua, svizzeri di lá, dicesi ricevessero da lor paese ordine di non combattersi. Ad ogni modo quelli dello Sforza lasciano in mano agli altri e a La Tremoglia i lor compagni italiani, i Sanseverino lor capitani, e finalmente lo Sforza; e poi risalgono a lor monti saccheggiando per via. Cosí il Moro, traditore tradito, fu preso, tratto a Francia e tenuto poi dieci anni al castello di Loches, finché vi morí disprezzato, dimenticato. E Milano e il ducato ridiventarono francesi tranquillamente per parecchi anni. – Intanto Luigi XII aveva giá apparecchiato l’acquisto di Napoli in questo modo. Addí 11 novembre 1500, in Granata erasi firmato un trattato tra lui e Ferdinando il cattolico, parente e protettore di Federigo III, re di Napoli; ed eravisi concertato che i francesi assalirebbono il Regno, che gli spagnuoli accorrerebbero a difenderlo, e che prima d’incontrarsi, lo spartirebbono. Certo costoro eran contemporanei non del tutto indegni del Moro, di Alessandro VI e di Cesare Borgia. Effettuossi l’accordo. Nella state del 1501, entrarono per la frontiera settentrionale del Regno il duca di Nemours co’ francesi, e per le Calabrie Gonzalvo il Gran capitano, che macchiò sue glorie in quest’infamie. Federigo il misero re, tradito e ridotto agli ultimi, scelse capitolar co’ nemici vecchi anziché con gli amici traditori, e diessi in mano a’ francesi che il trassero a Torsi dove morí nel 1504. Cosí finí il primo regno indipendente di Napoli; e andò a riunirsi a Sicilia, nella servitú straniera, per due secoli e mezzo. – Intanto, e naturalmente, disputaronsi i ladroni per le spoglie. Corso appena un anno [1502], ruppesi guerra tra francesi e spagnuoli. Combattutosi variamente dapprima, furono sconfitti i francesi a Seminara e Cerignola [aprile 1503]. E sceso un altro esercito francese, fu vinto pur esso al Garigliano al fine del medesimo anno dal Gran capitano; e tutto il Regno rimase fin d’allora spagnuolo. – Nell’agosto era morto papa Borgia. La brevitá cosí sovente tormentante di questo sunto ci serve qui, dispensandoci dal dire le dissolutezze, le rapine, i tradimenti, i veleni, le crudeltá di tutta quella famiglia. Tanto piú che tutto ciò fu bensí il sommo della perversitá di quei tempi perversi, ma non ne fu mutato essenzialmente né durevolmente quasi nulla in Italia. Fu progetto di Alessandro e del figlio distrurre i signorotti, i vicari pontefici che signoreggiavano nelle cittá della Chiesa, i Colonna ed Orsini intorno a Roma, i Varani in Camerino, i Freducci in Fermo, i Trinci in Foligno, i La Rovere in Sinigaglia ed Urbino, i Baglioni in Perugia, i Vitelli in Cittá di Castello, gli Sforza in Pesaro, i Malatesta in Rimini, i Riario in Imola, gli Ordelaffi in Forlí, i Manfredi in Faenza, i Bentivoglio in Bologna e gli Estensi in Ferrara. Cesare Borgia doveva rimanerne duca di Romagna. Ma con tutte le loro male arti sofferte od aiutate dalle potenze italiane e straniere, a che riuscirono? Assassinarono signorotti, riunirono poche signorie, e non durò il ducato. E meraviglia che Machiavello ed altri di que’ tempi ammirasser costoro. Se non che, la Dio mercé, e che che si dica, anche la scienza politica è progredita d’allora in poi: il Machiavello de’ nostri tempi ha professato che le scelleratezze sogliono essere non solamente delitti, ma errori. Cosí fosse ben imparato e tenuto fermo in Italia. Dicesi che Alessandro VI istituisse la censura ecclesiastica de’ libri [1 giugno 1502]; ma ei non fece che applicarla a’ libri stampati. E il fatto sta che ella esistette sempre, ed esiste in qualunque chiesa, anche acattolica, voglia mantenere i suoi dommi. La cattiva imitazione, poi, delle censure politiche nacque molto piú tardi. Dicesi morisse Alessandro di un veleno apparecchiato a’ suoi nemici, e preso da lui e dal figliuolo che ne rimase infermo, e incapace di provvedere ai fatti suoi durante la vacanza della Sede. – La sola buona opera italiana di questo tempo, fu la guerra sostenuta da Venezia contro a’ turchi nel Friuli, in Grecia, in mare, dal 1499 al 1503, in che fecesi pace. S’allega a scusa dell’aver cosí mal provveduto Venezia in quegli anni all’indipendenza d’Italia; non serve ad ogni modo per gli anni addietro. Tutti gli italiani furono colpevoli, in somma, che la penisola libera di stranieri (e si può dir degli imperatori stessi) dieci anni addietro, fosse ora tutta occupata da essi, salvo Venezia, Toscana, e gli Stati del papa.
4. Pio III, Giulio II [1503-1513]. – Succeduti al pontificato Pio III (Piccolomini) per pochi giorni, e poi Giulio II per dieci anni, non so s’io dica che peggiorassero o migliorassero le condizioni nostre. Giulio II era quel Giuliano della Rovere, che egli pure aveva chiamati, condotti i francesi a Napoli. Fatto papa, chiamò francesi e tedeschi contra Venezia. Poi, avutone quel che voleva, si ravvide, bandí una guerra che chiamò «santa» contra francesi, bandí la cacciata de’ barbari; e per aver esso, ultimo de’ papi, fatto udir questo gran grido, il nome di lui riman glorioso e caro nelle memorie italiane. E noi siamo stanchi di severitá, noi rispettiamo le tradizioni nazionali, e cerchiam le occasioni di lodare. – Alla morte d’Alessandro molte delle cittá tenute dal Borgia si sollevarono. Giulio II, appena salito al trono, gli domandò le rimanenti; e rifiutato, lo fece prendere, gli fece firmare per forza la consegna, e lo rilasciò poi. Ed egli se n’andò a Napoli, vi fu di nuovo imprigionato da Gonsalvo e mandato a Spagna; dove fuggito di prigione, fu a Navarra, e finí poi piú degnamente che non meritava, coll’armi in mano [1507]. – Nel 1506 venne il re cattolico al regno di Napoli, e ne ritrasse il Gran capitano che l’avea conquistato, che sopravvisse poi in Ispagna in ozio e disfavore. Giulio II continuò ciò che era buono de’ disegni de’ Borgia, la riduzione de’ signorotti; e vi riuscí meglio, ridusseli quasi tutti, gli stessi Baglioni di Perugia, e i Bentivoglio di Bologna [1506]. Ma per compiere la riunione dello Stato rimanevano a riprendersi a Venezia Ravenna e Cervia usurpate fin dal secolo scorso, Faenza, Rimini e Forlimpopoli ultimamente tra il rovinar di Cesare Borgia. A ciò si volse tutto papa Giulio; aveva ogni ragione, ma proseguilla in mal modo, aggiugnendosi all’ire o piuttosto alle ambizioni di Luigi XII e di Massimiliano. Fin dal 1504 avean costoro firmato un’alleanza per dividersi gli Stati continentali di Venezia, ma non n’avean fatto nulla, finché non vi s’aggiunsero papa Giulio per riaver quelle cittá, e il re cattolico, gli Estensi e i Gonzaga per simili contese od ambizioni di vicinato. Fu firmata la famosa e brutta lega a Cambrai [10 dicembre 1508]. Primi ad assalire furono i francesi coll’armi dal Milanese; seguí il papa coll’armi e con le scomuniche. Contro ai primi stavano a capo d’un esercito di quaranta e piú mila uomini l’Alviano ed il Pitigliano, due de’ piú abili condottieri o piuttosto (perché giá non erano piú cosí indipendenti come gli antichi) capitani d’Italia. Furono vinti da Luigi XII e trenta mila francesi ad Agnadello [14 maggio 1509]; Luigi XII prese in pochi dí tutta la parte sua convenuta. Accorsero quindi tutti gli altri, e presero facilmente le loro. E allora Venezia ridotta all’estremo fu veramente magnanima, prese uno di quei partiti semplici che sono non solamente piú gloriosi sempre, ma sovente piú felici che non le destrezze. Sciolse dall’obbedienza tutti i suoi sudditi di terraferma; ed essi si difesero meglio, e, quando occupati, si sollevarono secondo le occorrenze per se stessi. E Giulio II, satisfatto di riavere sue cittá, si staccò primo dalla lega, fece sua pace addí 24 febbraio 1510; e si rivolse contra i francesi, nascostamente prima, apertamente tra breve. Per ciò chiamò nuovi stranieri, gli svizzeri; i quali, capitanati da un cardinale guerriero e vescovo di Sion, piombarono sul Milanese a mezzo quell’anno, mentre si avanzavano i papalini da Modena, e riavanzavano i veneziani da Verona. Ma i francesi stavano sulle guardie; e poco mancò non prendessero papa Giulio, che, guerriero anch’esso, stava lí vicino a Bologna, e che per la breccia entrò poco appresso alla Mirandola. E qui pure v’ha chi ammira, e vorrebbe imitazioni; non io, che credo un papa debba restar papa, ed abbia altri modi di cacciar barbari dal suo paese. Furono rotti i pontifici a Casalecchio [21 maggio 1511]; ma Giulio perdurò, s’inaspri, fece [5 ottobre] un’altra lega