Scritti editi e postumi. Bini Carlo
– eh! il Signore ha un affare vecchio; non lo può lasciare; ha provato, ha riprovato, – è stato impossibile; – c'è una malia di mezzo…
E intanto che le ciarle piovono a fiocchi come la neve, il Signore ha finito di leggere, e chiude non solo le finestre, ma le imposte pur anche.
Cappita! quel chiudere ancora le imposte m'è andata giù male. Se avesse chiuso le finestre soltanto, col vedere metà dai vetri, e metà coll'indovinare, faute de mieux, mi sarei contentato. È agra davvero, e bisogna esser curiosi per convenirne. Vedete voi, che stravaganze! Che il Signore faccia la siesta è nelle regole, lo vuole il bon ton, lo vuole il ben essere del corpo; ma non lasciarsi veder dormire è una stravaganza; – lo dico e lo sostengo, ora e sempre, – ahora y siempre. – Come farò a render conto del come dorma il Signore? Se dorma supino, o dalle due bande, se dorma vestito o spogliato? Poh! è una disgrazia, è una lacuna irreparabile in questa istoria, che non saprei come riempiere, se non coll'andare a dormire pur io. E badate, che ci riesco, e son capace di farlo. Vedete voi, che stravaganze! quel chiudere le imposte mi ha fatto un danno del diavolo. Chi sa quanto tesoro d'osservazioni avrei potuto raccogliere dal sonno? Vedete, io sono così sottilmente curioso, che dalla faccia e dai moti del dormiente mi sarei studiato d'investigare i sogni, che gli passeranno traverso il cervello. E poi, non poteva darsi, che fosse un di coloro, che parlano fra il sonno? Chi sa cosa avrei potuto sapere? – cose, che il Signore non avrebbe dette all'unico suo amico, che non avrebbe dette nè anche all'aria, che forse avrebbe stentato a dire al capezzale del letto, quando il prete ti dà un passaporto in latino per l'altro mondo: Proficiscere, anima christiana; che significa: vattene, anima cristiana. Il tono è un poco assoluto, ma il tempo stringe, e non ne avanza pei complimenti; stringe tanto, che i morti non hanno tempo di provvedersi di nulla, e dalla fretta perfino partono ignudi. – Vedete voi, che stravaganze! sul più bello mi chiude in faccia le imposte! io ho perduto un tesoro! Per un curioso, credetelo, queste sono le pene dell'inferno.
Potessi almeno sentirlo russare! mi contenterei anche di questo. Ma che volete? I signori non russano. Oibò! la bienséance non lo permette. Dormono leggieri leggieri, che non è cosa da credersi. Dormono con tanta disinvoltura, che io n'ho veduti dì quelli, che tutti credevano desti, e pure dormivano. Come vada io non lo so, – ma il suo perchè ci dev'esser sotto. Basta, quando io sarò signore, venite, e ve ne dirò la ragione.
Non v'è rimedio; – il meglio è darsi pace. Vuol dormire il Signore, senza che nessuno lo veda? Ebbene, ch'ei dorma; io non glielo posso proibire. Silenzio dunque, lasciatelo dormire.
CAPITOLO XI
Mi par mill'anni che passi quest'ora! Uh! le finestre son sempre chiuse, – nessuno si fa vivo. Non so più quel che fare; sono andato su e giù lungo la strada come un pendolo, e le gambe si protestano, – non ne vogliono più sapere. Che diavolo! quel Signore non ha discrezione! ora potrebbe alzarsi; – il sonno soverchio ingrossa il sangue, e, quel che è peggio, fa ottusa la testa. È vero ch'ei può farne di meno, – ha una buona borsa, – ha più del bisogno. Giova tanto poco la testa! per i più non la vedrei necessaria, se non fosse che la portassero per farsela tagliare. A me fin qui non ha reso che il dolor di capo, e Dio voglia che resti lì. – Ma le finestre son sempre chiuse! O pazienza, pazienza! è passato un carro, che ha fatto rintronare anche i tegoli, ma il Signore non l'ha sentito. Si vede bene, che ha una buona coscienza! dormire di quella fatta! come farà stanotte? felice lui! non ha debiti, non ha inquietudini, e però fa tutta una tirata. Eh! non son bagattelle! son due ore buone che dorme; – il Sole è andato sotto, che non è poco; – già già si fa buio. Oh! si desti, mio bel Signore, che farà un'opera meritoria per me. Se potesse sognarsi, ch'io son qua fora, e mi struggo per lui, già si sarebbe levato. Sì, ho un bel dire; egli dorme, e lascia vegliar chi vuole.
Tanto tonò, che piovve. Ho sentito rumore, – qualche sedia rimossa dal luogo. Eccole finalmente riaperte quelle benedette finestre! Non entro più in me dall'allegrezza! Potrò nuovamente veder qualche cosa, – potrò raccontarla. Mi son sentito rinascere; – viva il mio buon Signore! egli ha dormito di pro, – si scorge agli occhi, alla faccia, alle membra che stira saporitamante. Ora beve un bel bicchier d'acqua; – eh! ci vuole un bel bicchier d'acqua; – sta nelle regole di chi sa ben vivere. – La buona vita fa la buona morte. Ora si affaccia alla finestra canterellando un'arietta; – mi par della Gazza Ladra, se non m'inganno; – e intanto si aggiusta sulla fronte una bella ciocca di capelli castagni, e intanto respira l'aria fresca della sera, che finisce di risvegliarlo, e lo rimette nello stato di prima.
Appena il mio Signore è ben desto, scuote risolutamente la testa in atto di accingersi a qualche facenda di rilievo. Staremo a vedere quello che saprà fare il Signore. Intanto dal movimento della bocca mi accorgo, che ha dato un ordine a qualcheduno ch'io non posso vedere, perchè rimane nel buio. Già me lo immagino sarà il soprastante. Già ho capito il tenore dell'ordine: era di accendere il lume; – non pensate mica un lume solo; – tutt'altro! – questo non usa, che in casa vostra, quando non è Luna piena, perchè allora prendete quel della Luna, che non ha bisogno di essere smoccolato, e dura la notte; – ma avranno acceso benissimo la mezza dozzina dei lumi, e più ancora. Guardate che luce larga e brillante prorompe fuor delle stanze! non vi sentite rallegrare a guardarla? È incontrastabile, – i lumi son sei, se non son otto; – vorreste negar la luce?
Ma stiamo attenti a quello, che vuol fare il Signore. Ecco, egli ha tolto in mano un bel mazzo di penne nuove; – ecco, ne tempera una, – ne tempera due, – ne tempera tre. Badate là, – ora prende un quaderno di carta, e la esamina di contro al lume. Per Bacco! è fina davvero quella carta, e indorata sugli orli! Eh! non vuol mica scrivere al fattore; si vede chiaro, che scrive a dei pezzi grossi!
Non vi movete. Che ve ne andate di già? – ora viene il meglio. Ecco, il mio Signore s'è messo al tavolino; – ecco che ha già cominciato. Fin qui non v'è molto da raccapezzare, ma pur qualche piccola cosa. Per un curioso tutto è buono; – il minimo che mena a delle scoperte importanti. Dall'ombra, che si disegna sul muro, vedo la sua testa via via inclinarsi e rilevarsi; – vedo tuffar la penna; – ora s'è grattato dietro all'orecchio destro; ha stracciato un foglio; – la lettera non veniva a modo suo; – un foglio nuovo, e da capo. Ora sì, che tira via, – ha trovato la strada, – non si ferma un istante, – la passione gli guida la mano. Oh! se la passione crescesse! se lo impegnasse a profferire ad alta voce quello che pensa, e che mette in carta tacitamente! Dall'allegrezza farei un salto mortale. E badate, spesso succede; e quando la passione dice davvero, non v'è più ritegno. Dimandatene agli scrittori; – pare che quel dir forte l'idea, che vanno a scrivere, la faccia completa, come la mente la concepisce. E di fatti è così; la declamazione è il colorito del pensiere. Ma zitti! zitti! il Signore s'impegna; – sento un mormorio; – crescerà, se Dio vuole, – diventerà voce scolpita; – diventa, diventa! Oh! io sono un uomo felice, io credo nella mia buona stella! – Ascoltiamo: – uh! se non fosse il vento, che me le mangia mezze, sentirei tutte le parole; ma mi contento; ascoltiamo:… una nera calunnia… così non si tratta un gentiluomo… badare a ciò che si fa… scoprire la cabala… guai a lui!.. so maneggiare una spada… Siamo il più… sostegno dell'ordine… la canaglia in prigione, sta bene; ha… d'un freno… l'anarchia regnerebbe… le… classi vanno rispettate… riprese, ma non punite… la canaglia si crede qualche… e la Ragion di Stato è… princìpi son conosciuti… innocente… non deroga a sè stesso… riparazione pubblica… conveniente alla mia condizione… servo – Cavaliere Scipione Frullanotti Marzocchi.
Oh! vediamo, se la metto insieme; – ho tanto in mano da ripromettermene bene.
«Eccellenza!
«Fino di stamane io sono stato tradotto nelle prigioni di questa città, senza poterne indovinare la vera cagione. Vado convinto, che Vostra Eccellenza, appena saputo il caso, darà tutte le disposizioni necessarie, perchè io sia quanto prima rimesso in libertà. Credo fermamente, che una nera calunnia abbia motivata una tal misura. Però così non si tratta un gentiluomo. Conviene badare a ciò che si fa in materie tanto delicate. Impegno la giustizia di Vostra Eccellenza a scoprire la cabala, e l'uomo perfido, che l'ha tramata. Guai a lui! se arrivo un giorno a conoscerlo; – so maneggiare una spada, e sul terreno vedremo a chi sta il buon diritto. Noi gentiluomini siamo il più saldo