Garibaldi e Montevideo. Dumas Alexandre
ingenui talvolta come fanciulli.
Da tutto ciò, fra Artigas ed Alvear, fra gli uomini di Montevideo e di Buenos-Ayres, era conseguente non solo una separazione, non solo un odio, sibbene una guerra. E per la guerra contro quelli di Buenos-Ayres, seppe giovarsi di tutti gli elementi opposti, l'antico capo dei contrabbandieri, poco curandosi dei mezzi, coll'unico fine di cacciar dal paese i Portennos. Messosi quindi alla testa dei boemi di America, Gauchos, con quanto aveva di risorse il paese, bandì la guerra santa; cui non potè reggere nè l'armata di Buenos-Ayres, nè il partito spagnolo, che ben s'avvedeva il ritorno di Artigas a Montevideo, essere la sostituzione della forza brutale all'intelligenza.
Nè mal s'apponeano costoro. Uomini prima erranti, barbari, disordinati, ora riuniti in un corpo d'armata sotto il generale Artigas, fatto dittatore, segnarono un'epoca che ricorda il sanculottismo del 93. Montevideo vide allora succedere il regno dell'uomo dai piè nudi ai fluttuanti calzoncillos6, alla chiripa7 scozzese, al lacero poncho, e al cappello abbassato sull'orecchio e assicurato dal barbijo8.
Scene inaudite, bizzarre, talvolta terribili funestarono allora la città, e costrinsero le prime classi della società all'impotenza d'azione. Artigas allora, meno la ferocia e più il coraggio, fu quello che è Rosas al presente.
La sua dittatura, per quanto fosse una calamità, fu però brillante e nazionale. Ne son prova le sue vittorie contro quei di Buenos-Ayres, che ei vinse in ogni attacco, e la resistenza ch'ei durò ostinatissima all'armata portoghese che nel 1815 invase il paese.
Pretesto a tale invasione furono il disordinato reggimento d'Artigas e la necessità di salvare i popoli vicini dal pericolo di questo contagio. Le classi illuminate, desiderose di porre un freno all'anarchia, affrettavano coi voti una vittoria che sostituisse la dominazione portoghese ad un potere che strascinava seco la licenza e la brutale tirannia della forza materiale. A questo doppio nemico Artigas contese il terreno per ben quattr'anni. Vinto alfine, dopo quattro battaglie in campo aperto o piuttosto battuto alla spicciolata, si ritirò nell'Entre-Rios, dall'altra parte dell'Uruguay; ove, quantunque fuggitivo, serbavasi grande la potenza del suo nome. Se non che Ramirez, suo luogotenente, tratti a rivolta tre quarti de' suoi fedeli, movendogli contro, gli tolse ogni speranza di riscossa e lo costrinse a sortir dal paese, in cui, nuovo Anteo, parea riprendesse vigore toccando la terra.
Allora Artigas disparve, pari ad un turbine che dopo aver seminato di rovine e desolazioni il suo passaggio si scioglie e svapora; e si ritirò nel Paraguay, ove, or son due anni, lo vide un nostro amico, nell'età di 93 a 94 anni, nel pieno esercizio di quasi tutte le sue forze e delle sue facoltà intellettuali.
Dopo la sua caduta, la dominazione portoghese vi gettò ferme radici sino al 1825, epoca in cui Montevideo e tutti i possedimenti portoghesi in America, passarono al Brasile.
Occupata dunque Montevideo da una forza di 8,000 uomini ne parea rassodato il possesso all'imperatore, quando un Orientale (egli è di questo nome che noi chiamiamo gli uomini di Montevideo), che proscritto, avea stanza in Buenos-Ayres, raccolti trentadue suoi compagni nell'esilio, giurava con essi affrancare la patria o morire. Preso il mare su due piccoli schifi, questo pugno d'audaci prendeva terra all'Arenal-Grande.
Il loro capo Don Juan Antonio Lavelleja, già stretto di segrete intelligenze con un proprietario del paese, mandava a chiederlo dei cavalli all'impresa, secondo il convenuto. Costui rispondeva: ogni cosa essere scoperta, i cavalli derubati, unica via di salute a Lavalleja e consorti mettersi al mare e riafferrar Buenos-Ayres. Ma egli fermo nel suo nobil concetto, rimandati i battellieri, prendea possesso co' suoi compagni il 19 aprile delle terre di Montevideo in nome della libertà.
Al domani la piccola truppa, fatta una requisizione di cavalli, cui aveano acceduto i proprietari, marciava alla volta della capitale, quando venne incontrata da duecento cavalieri, quaranta dei quali erano Brasiliani, gli altri Orientali. Lavalleja, comechè avesse modo di evitare lo scontro, si fa loro innanzi, ma prima di venire alle mani, richiese d'un abboccamento il comandante Giuliano Laguna suo antico fratello d'armi.
– Che chiedete, e a che venite? dissegli questi.
– A liberar Montevideo dello straniero, rispose Lavalleja. Se siete per me, unitevi meco. Se contro di me, rendetevi o preparatevi alla pugna.
– Rendere le armi mi è ignoto sinora, nè, spero, alcuno potrà insegnarmelo.
– Dunque allora, in rango coi vostri, e vediamo qual'è la causa di Dio.
– Subito, riprese Laguna, e spronato il cavallo, raggiunse i suoi.
Ma spiegato il vessillo nazionale di Lavalleja, i centosessanta Orientali passarono a lui, e i Brasiliani vennero suoi prigionieri.
Allora la sua marcia in Montevideo fu un vero trionfo e la Repubblica Orientale, proclamata dal volere di tutto un popolo entusiasmato, ebbe nome tra le nazioni.
Frattanto alto levavasi la fama di tale che dovea più tardi essere il terrore della federazione Argentina.
Dopo breve tratto dalla rivoluzione del 1810, un giovane dai quindici ai sedici anni, lasciava la città di Buenos-Ayres e prendea la campagna; l'aspetto avea scuro, il passo concitato.
Questo giovane era Juan Manuel Rosas. Perchè egli, ancor fanciullo fuggisse il tetto paterno, e riparasse alla campagna, è orribile a dirsi. Quegli che un giorno dovea volgere le armi contro la patria, avea levato le mani sulla madre e perciò la maledizione paterna lo cacciava dalla casa che lo aveva visto bambino.
Un tale avvenimento non ebbe eco in mezzo allo svolgersi di più vitali interessi. Ora mentre la gioventù correva alle armi sotto la bandiera dell'indipendenza, egli perduto nelle immense foreste davasi alla vita del Gaucho, ne adottava il vestire e i costumi, diventava insomma un de' più destri nel domar cavalli, e nel maneggio del lazo e delle bolas, talchè al vederlo lo avresti scambiato per un uomo della campagna, per un vero Gaucho d'origine.
Rosas accomodavasi dapprima in qualità di peon (giornaliere) in un estancia9; fu quindi capataz (capo de' giornalieri), poi mayordomo (agente); in quest'ultimo stato governava le proprietà della possente famiglia Anchorena, principio delle sue grandi ricchezze.
Essendo ora nostro disegno tratteggiare il carattere di Rosas in ogni sua parte, vediamo qual fosse la disposizione del suo spirito, nello avvicendarsi di tanti casi.
S'era egli trovato in Buenos-Ayres nei prodigi della rivoluzione contro la Spagna; in quel tempo l'uomo di cuore domandava un nome ai campi di battaglia, l'uomo di genio cercava la gloria nel reggimento della pubblica cosa. Avido di fama, vedeasene Rosas preclusa ogni strada, come quegli che non avea il coraggio della battaglia, nè il senno del governo. I gloriosi nomi di Rivadavia, di Pasos, d'Aguero come ministri; di San Martin, di Balcarce, di Rodriguez, di Las Heras come guerrieri, lo scuotevano nell'orrore della sua solitudine, e fermentavangli in cuore un tesoro d'odio per quella città che per tutti aveva un trionfo, ma non per lui.
Fin da quest'epoca Rosas sognava e preparava l'avvenire. Errante nei pampas10, confuso tra i Gauchos, divideva le miserie del povero; ora lusingando le antipatie dell'uomo della campagna, lo aizzava contro l'uomo della città; ora contando sul numero, gli additava facile al primo cenno assoggettar la città, che sì lungamente lo avea tenuto schiavo. Ottenuto così l'impero sugli abitanti delle pianure, lascia Rosas la sua solitudine.
Insorte nel 1820 le truppe di Buenos-Ayres contro il governatore Rodriguez, un reggimento di milizie della campagna, i colorados de las Conchas (i rossi delle Conchas) entra nella città il 5 ottobre, agli ordini d'un colonnello. Era Rosas. Ma venute il domani queste a conflitto con quelle della città, il colonnello era scomparso; un violento male di denti, cessato colla lotta, lo allontanava, suo malgrado, dalla mischia. L'entrata di Rosas a Buenos-Ayres può dirsi l'unica sua impresa guerriera.
Vinti gl'insorti della città, Rivadavia nominato ministro dell'interno, afferra le redini del potere. Quest'uomo, figlio della rivoluzione, ricco d'immensa erudizione, frutto de' suoi lunghi
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Quel cordone per lo più di seta nera, che serve ad assicurare il cappello sotto il mento, si chiama
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