Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8. Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8 - Edward Gibbon


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i due Monarchi mantenevano ingannevoli pratiche fra loro; e tale era la superiorità di Cosroe, che trattando egli con insolenza e disprezzo gli Oratori romani, otteneva i più grandi ed insoliti onori pe' suoi ministri alla Corte imperiale. Il successore di Ciro assumeva la Maestà del Sole orientale, e graziosamente permetteva che il suo minor fratello Giustiniano regnasse sopra l'Occidente, col pallido e riflesso splendor della Luna. Questo gigantesco stile era sostenuto dalla pompa ed eloquenza di Isdiguno, ciamberlano reale. La moglie e le figlie lo accompagnavano con numeroso seguito di Eunuchi e di Cammelli; si scorgevano due Satrapi con aurei diademi nel numero de' suoi seguaci: cinquecento soldati a cavallo, i più valorosi fra i Persiani, gli servivan di guardia; ed il Governatore romano di Dara saviamente ricusò di ammettere nella città più di venti individui di questa marziale ed ostil carovana. Poscia che Isdiguno ebbe salutato l'Imperatore ed offerto i suoi doni, passò dieci mesi in Costantinopoli senza discutere alcun serio affare. In luogo di esser confinato nel suo palazzo, e ricevervi il cibo e l'acqua dalle mani de' suoi custodi, l'Ambasciatore persiano, senza spie e senza guardie, ebbe permissione di girar per la capitale; e la libertà di parlare e di trafficare che i suoi serventi godevano, offendeva i pregiudizj di un secolo che rigorosamente senza confidenza e senza cortesia praticava la legge delle nazioni89. Per un'indulgenza senza esempio il suo interprete, il quale era nella classe dei servi ed al di sotto degli sguardi di un magistrato romano, sedeva alla mensa di Giustiniano al fianco del suo signore, e si assegnarono mille libbre d'oro per la spesa del viaggio e pel mantenimento di questo pomposo Ambasciatore. Nondimeno le iterate cure di Isdiguno, non condussero che una parziale ed imperfetta tregua, sempre comprata coi tesori e rinnovata a preghiere della Corte di Bisanzio. Trascorsero molti anni d'inutile desolazione, prima che Giustiniano e Cosroe fossero astretti, dalla mutua stanchezza, a consultare il riposo dell'età loro che tramontava. Si tenne una conferenza sulle frontiere, in cui ambedue le parti, senza aspettarsi d'esser creduto, vantarono la potenza, la giustizia e le pacifiche intenzioni dei rispettivi loro Sovrani; ma la necessità e l'interesse dettarono il trattato di pace, che fu conchiuso per un termine di cinquant'anni. Esso diligentemente fu composto in lingua greca e persiana, ed i sigilli di dodici interpreti ne attestarono l'autenticità. Si stabilì e si definì la libertà del traffico e della religione; gli alleati dell'Imperatore e quelli del Gran Re furono chiamati a parte degli stessi benefizj e doveri; e si pigliarono le più scrupolose precauzioni onde prevenire e determinare le dispute accidentali, che potessero insorgere sui confini delle due nazioni nemiche. Dopo vent'anni di guerra distruttiva, ma debolmente spinta, i limiti rimasero quali erano prima; e Cosroe s'indusse a rinunziare le sue pericolose pretensioni al possesso od alla sovranità della Colchide e degli Stati che ne dipendevano. Ricco per gli accumulati tesori dell'Oriente, egli trasse ancora dai Romani un annuo pagamento di trentamila monete d'oro; e la picciolezza della somma lasciava scorgere il disonor di un tributo in tutta la sua nuda laidezza. In un dibattimento anteriore, uno dei ministri di Giustiniano, rammentando il carro di Sesostri e la ruota della fortuna, fece avvertire che la presa d'Antiochia e di alcune città della Siria aveva esaltato oltre misura il vano ed ambizioso animo dei Barbari. «T'inganni, replicò il modesto Persiano: il Re dei Re, il Signore degli uomini guarda con disprezzo così miseri acquisti; e delle dieci nazioni, domate dalle invincibili armi, egli considera i Romani come i men formidabili90». Secondo gli Orientali, l'impero di Nushirvan si estendeva da Fergana nella Transoxiana, sino all'Yemen, o l'Arabia felice. Egli soggiogò i ribelli dell'Ircania, conquistò le province di Cabul e di Zadlestan sulle rive dell'Indo, ruppe la potenza degli Eutaliti, terminò con onorevole accordo la guerra de' Turchi, ed ammise la figlia del Gran Cane nel numero delle sue legittime mogli. Vittorioso e rispettato fra i Principi dell'Asia, egli dava udienza nella sua Reggia di Madain o Ctesifonte, agli Ambasciatori del mondo. I loro doni o tributi, di armi, di ricche vesti, di gemme, di schiavi e di aromi, umilmente venivano deposti al piè del suo trono; ed egli condiscendeva ad accettare dal Re dell'Indie dieci quintali di legno d'aloe, una fanciulla alta sette cubiti ed un tappeto più soffice della seta, formato, come essi narrano, colla pelle di uno straordinario serpente91.

      Si è rimproverata a Giustiniano l'alleanza da lui stretta cogli Etiopi, come se tentato egli avesse d'introdurre un popolo di Negri selvaggi nel sistema della società incivilita. Ma gli amici del romano Impero, gli Axumiti ed Abissini, si debbono sempre distinguere dai nativi originali dell'Affrica92. La mano della natura ha schiacciato il naso dei Negri, ha coperto di crespa lana il lor capo, e colorato la lor pelle d'inerente e indelebil nerezza. Ma la carnagione olivastra degli Abissini, la chioma, le forme e le fattezze loro, distintamente in essi dimostrano una colonia di Arabi; e questa discendenza vien confermata dalla rassomiglianza della lingua e dei costumi, dalla memoria di un'antica emigrazione, e dal piccolo intervallo che corre tra gli opposti lidi del Mar Rosso. Il Cristianesimo avea sollevato quella nazione sopra il livello della barbarie affricana93: le relazioni loro coll'Egitto e coi successori di Costantino94 avean fatto passare nel lor paese i rudimenti delle arti e delle scienze. Trafficavano i lor vassalli coll'isola di Ceilan95, e sette regni obbedivano al Nego o Principe supremo dell'Abissinia. L'indipendenza degli Omeriti che regnavano nella ricca e felice Arabia, fu per la prima volta violata da un conquistatore etiope: egli traeva il suo ereditario diritto dalla Regina di Sheba96, ed il religioso zelo santificava la sua ambizione. Gli Ebrei, potenti ed attivi nell'esilio, avevano sedotto l'animo di Dunaan, Principe degli Omeriti. Essi lo spinsero a far rappresaglia della persecuzione che le leggi imperiali esercitavano contra i loro sventurati fratelli: alcuni mercatanti romani furono oltraggiosamente trattati, e parecchi Cristiani di Negra97 ottennero gli onori e la corona del martirio98. Le chiese dell'Arabia implorarono la protezione del Monarca Abissino. Il Nego passò il Mar Rosso con una flotta ed un esercito, privò il Proselito giudaico del regno e della vita, ed estinse una stirpe di principi che avea governato per più di duemila anni la segregata regione della mirra e dell'incenso. Il Conquistatore immediatamente annunziò la vittoria del Vangelo: egli domandò un Patriarca ortodosso, e così caldamente si mostrò amico del romano Impero, che Giustiniano fa allettato dalla speranza di condurre il commercio della seta pel canale dell'Abissinia, e di suscitare le forze dell'Arabia contro il Re persiano. Nonnoso, discendente da una famiglia di ambasciatori, fu nominato dall'Imperatore ad eseguire questa importante commissione. Giudiziosamente egli evitò la più breve, ma più pericolosa strada attraverso gli arenosi deserti della Nubia; salì contro il corso del Nilo, s'imbarcò sul Mar Rosso, ed approdò sano e salvo nel porto affricano di Aduli. Da Aduli alla reale città di Axuma non si stendono più di cinquanta leghe in linea retta; ma i giri e rigiri dei monti ritennero per quindici giorni l'ambasciatore; e nel passare ch'egli fece per le foreste, vide una quantità di elefanti selvaggi, che stimò ascendere a forse cinquemila. Vasta e popolosa, secondo ch'ei narra, era la capitale, ed il villaggio di Axuma è cospicuo tuttora per l'incoronazione dei Re, per le rovine di un tempio cristiano, e per sedici o diciassette obelischi che portano iscrizioni greche99. Ma il Nego gli diede udienza in campo aperto. Sedeva egli sopra un altero carro, tratto da quattro elefanti, magnificamente guerniti: una corona di nobili e di musici gli stava all'intorno. Vestito era di panni lini, con berretta sul capo, e teneva in mano due giavellotti ed un piccolo scudo; e quantunque la sua nudità fosse imperfettamente coperta, egli sfoggiava la barbarica pompa di auree catene, di monili e di armille, riccamente adornate di perle e di pietre preziose. L'Oratore di Giustiniano piegò a terra i ginocchi; il Nego lo rialzò dal suolo, abbracciò Nonnoso, baciò il sigillo, lesse la lettera, accettò l'alleanza romana, e brandendo le sue armi, intimò guerra implacabile contro gli adoratori del fuoco. Ma la proposizione intorno al commercio della seta non andò al segno, e malgrado le proteste, e forse i desiderii degli Abissini, le minacce ostili si dileguarono senza verun effetto. Gli Omeriti non eran punto vogliosi di togliersi dagli aromatici loro boschetti, per valicare un sabbioso deserto, ed incontrar dopo tante fatiche una formidabil nazione da cui non avevan mai ricevuto alcuna personale offesa. Invece di estendere le sue conquiste, il Re di Etiopia non fu abile a difendere


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<p>89</p>

Procopio espone l'usanza della Corte gotica di Ravenna (Goth. l. 1 c. 7). Gli Ambasciatori stranieri sono stati trattati con gelosia e rigor non diverso in Turchia (Busbechio, ep. 3 p. 149, 242 ecc.), in Russia (Viaggio di Oleario), e nella China (Relazione del sig. di Lange ne' viaggi di Bell, vol. 2 p. 189-311).

<p>90</p>

Le pratiche ed i trattati tra Giustiniano e Cosroe si spiegano copiosamente da Procopio (Persic. l. 2 c. 10, 13, 26, 27, 28. Goth. l. 2 c. 11, 15), da Agatia (l. 4 p. 141, 142) e da Menandro (in Excerpt. Legat. p. 132-147). Si consulti Barbeyrac, Hist. des anciens Traités, t. 2 p. 154, 181-184, 193-200.

<p>91</p>

D'Herbelot, Bibliot. Orient. p. 680, 681, 294, 295.

<p>92</p>

Vedi Buffon, Hist. Natur. t. 3 p. 449. La forma dei lineamenti arabi, ed il colore della lor pelle, che han durato per 3400 anni (Ludolph. Hist. et Comment. Æthiop. l. 1 c. 4) nella colonia dell'Abissinia, può giustificare il sospetto, che la razza ugualmente che il clima abbiano contribuito a formare i Negri delle regioni adiacenti e simili fra loro.

<p>93</p>

I Missionari portoghesi, Alvarez (Ramusio, t. 1 f. 204 rect. 274 vers.), Bermudez (Purcha's Pilgrims, vol. 2 l. V c. 7 p. 1149-1188), Lobo (Relation etc. par M. Legrand, con XV Dissertazioni. Parigi 1728) e Tellez (Relation de Thévenot, part. IV) non han potuto riferire della moderna Abissinia che quanto essi hanno veduto od inventato. L'erudizione di Ludolfo (Hist. Ætiop. Francoforte, 1681, Commentario, 1691. Append. 1694) in venticinque lingue, non potè aggiungere gran cosa all'istoria antica di quel paese. Non pertanto la fama di Caled od Ellisteo, conquistatore dell'Yemen, vien celebrata in canti nazionali e in leggende.

<p>94</p>

Le negoziazioni di Giustino cogli Axumiti o Etiopi son ricordate da Procopio (Persic. l. 1 c. 19, 20) e da Giovanni Malala (t. 2 p. 163-165, 193-196). L'istorico di Antiochia cita la relazione originale dell'ambasciatore Nonnoso, della quale un curioso estratto ci venne serbato da Fozio (Bibl. Cod. 3).

<p>95</p>

Il commercio degli Axumiti sulle coste dell'India e dell'Affrica e nell'isola di Ceilan, è curiosamente descritto da Cosma Indicopleuste (Topogr. Christ. l. 2 p. 132, 138, 139, 140, l. 11 p. 338, 339).

<p>96</p>

Ludolfo, Hist. et Comment. Æthiop. l. 2 c. 3.

<p>97</p>

La città di Negra, o Nag'ran, nell'Yemen, è circondata da palme, e giace sulla strada maestra fra la capitale Saana e la Mecca; distante dieci giornate di una carovana di cammelli dalla prima, e venti dalla seconda (Abulfeda, Descript. Arabiae, p. 52).

<p>98</p>

Il martirio di S. Areta, Principe di Negra, e de' suoi trecento e quaranta compagni, è abbellito nelle leggende di Metafraste e di Niceforo Callisto, copiato dal Baronio (A. D. 522, n. 22-26. A. D. 523, n. 16-29), ed è confutato, con oscura diligenza dal Basnagio (Hist. des Juifs, t. 12 l. 8 c. 2 p. 333-348), il quale investiga lo stato degli Ebrei nell'Arabia e nell'Etiopia.

<p>99</p>

Alvarez (in Ramusio, t. I f. 219 vers. 221 vers.) vide il florido stato di Axuma nell'anno 1520, luogo molto buono e grande. Axuma cadde in rovina per un'invasione de' Turchi. Non rimangono ora più di 100 case; ma la rimembranza della sua passata grandezza vien tuttavia serbata dall'incoronazione dei Re (Ludolfo, Hist. et Comment. l. 2 c. 11).