Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 8. Edward Gibbon
prudentemente evitò le città fortificate della Mesopotamia, e seguì la riva occidentale dell'Eufrate insino a che la piccola ma popolosa città di Dura ebbe l'ardire di far argine ai progressi del Gran Re. Dal tradimento e dalla sorpresa aperte furono le porte di Dura; e tosto che Cosroe ebbe tinto la sua scimitarra nel sangue di que' cittadini, egli congedò l'ambasciatore di Giustiniano, mandandolo ad informare il suo signore del luogo in cui avea lasciato il nemico dei Romani! Ambiva il conquistatore di esser lodato come giusto e clemente; e nel vedere una nobil matrona col suo bambino barbaramente trascinati per terra, sospirò, pianse ed implorò la divina giustizia perchè punisse l'autore di tai mali. Non pertanto vendè un armento di dodicimila prigionieri pel riscatto di due cento libbre d'oro; il Vescovo di Sergiopoli, città vicina, obbligò la sua fede pel pagamento, e nell'anno seguente l'inflessibile crudeltà di Cosroe fece scontare a quel prelato la pena di un obbligo che generosa cosa era stata per esso il contrarre ed impossibile il soddisfare. Avanzossi il Re nel cuor della Siria; ma un debile nemico, che dileguavasi come egli si approssimava, lo privò degli onori della vittoria; e non potendo sperare di stabilire il suo dominio sul vinto paese, il Monarca persiano spiegò in questa incursione i bassi e rapaci vizj di un masnadiere. Gerapoli, Berrea o Aleppo, Apamea e Calcide furono, l'una dopo l'altra, assediate: esse comprarono la salvezza loro con un prezzo d'oro o d'argento, proporzionato alla rispettiva forza ed opulenza in cui erano; ed il nuovo loro signore le assoggettò ai termini dell'accordo, senza osservarli dal canto suo. Educato nella religione dei Magi, egli esercitò, senza rimorso, il lucrativo traffico del sacrilegio; e dopo di aver tolto via l'oro e le gemme che ornavano un pezzo della vera Croce, egli generosamente restituì la nuda reliquia alla divozione dei Cristiani di Apamea. Non erano scorsi che quattordici anni dacchè un terremoto aveva tratto Antiochia in rovina. Ma la regina dell'Oriente, la nuova Teopoli si era rialzata da terra mediante la liberalità di Giustiniano; e la crescente grandezza de' suoi edifizj e della sua popolazione già quasi avea cancellato la memoria di quel recente disastro. Da un lato la montagna, dall'altro il fiume Orante difendevano Antiochia, ma la parte più accostevole era dominata da una superiore eminenza: si rigettarono gli opportuni provvedimenti di difesa pel dispregievol timore di scoprire la propria debolezza al nemico; e Germano, nipote dell'Imperatore, ricusò di porre a cimento la sua persona e la sua dignità dentro le mura di una città assediata. I cittadini di Antiochia avevano ereditato il vano e satirico genio de' loro antenati: essi vennero in baldanza per l'improvviso rinforzo di seimila soldati: disdegnarono le offerte di una blanda capitolazione; e gl'immoderati loro schiamazzi insultavano dai bastioni la maestà del Gran Re. Animati dal suo sguardo a migliaja i Persiani salirono sulle scale all'assalto; i mercenarj fuggirono per la parte opposta di Dafne, e la generosa resistenza della gioventù di Antiochia non servì che a far più gravi le miserie della lor patria. Cosroe, nel discendere dalla montagna, circondato dagli ambasciatori di Giustiniano, affettò, con dolente voce, di deplorare l'ostinazione e la rovina di quel popolo sventurato; ma la strage frattanto infieriva con implacabile furia; e la città, per comando del Barbaro, fu data in preda alle fiamme. L'avarizia, non la pietà del conquistatore, salvò la cattedrale di Antiochia: una più onorevole immunità fu conceduta alla chiesa di S. Giuliano ed al quartiere ove abitavano gli ambasciatori; il vento, con dar volta, preservò dall'incendio alcune strade rimote, e le mura rimasero in piedi per proteggere, anzi per tradire ben tosto i nuovi loro abitatori. Il fanatismo avea disfigurato gli ornamenti del boschetto di Dafne, ma Cosroe respirò un'aria più pura in mezzo a quelle ombre ed a quelle fonti; ed alcuni idolatri della sua comitiva poterono impunemente sagrificare alle ninfe di quell'elegante ritiro. Diciotto miglia sotto di Antiochia, il fiume Oronte sbocca nel Mediterraneo. Il superbo Persiano si condusse a vedere il termine delle sue conquiste, e dopo d'essersi bagnato egli solo nel mare, offrì un solenne sacrifizio di ringraziamento al Sole, o piuttosto al creatore del Sole, che i Magi adoravano. Se questo atto di superstizione offese i pregiudizi de' Sirj, rallegrati essi furono dalla cortese ed anche premurosa attenzione con cui egli assistette ai giuochi del Circo. Ed avendo Cosroe udito che l'Imperatore teneva per la fazione azzurra, un assoluto suo ordine assicurò la vittoria ai verdi condottieri de' carri. Dalla disciplina del suo campo trassero gli abitanti un conforto più solido; ed invano essi pregarono per la vita di un soldato, il quale troppo fedelmente aveva imitato le rapine del giusto Nushirvan. Stanco alfine, non sazio delle spoglie della Siria, lentamente egli mosse alla volta dell'Eufrate, gettò un temporaneo ponte nelle vicinanze di Barbalisso, e determinò lo spazio di tre giorni per l'intiero passaggio del numeroso suo esercito. Dopo il suo ritorno egli fondò, in distanza di una giornata dal palazzo di Ctesifonte, una nuova città che perpetuasse i congiunti nomi di Cosroe e di Antiochia. I cattivi della Siria vi riconobbero la forma e la situazione delle native lor case; si fabbricarono per lor uso dei bagni ed un magnifico Circo; ed una colonia di musici e di aurighi fece rivivere nella Siria i divertimenti di una Capitale greca. Dalla munificenza del fondator reale si assegnò una liberal provisione a questi esuli fortunati; ed essi gioivano il singolar privilegio di compartire la libertà agli schiavi che riconoscevano per loro parenti. La Palestina e le sacre ricchezze di Gerusalemme furono gli oggetti che poscia attirarono l'ambizione, o piuttosto la cupidigia di Cosroe. Costantinopoli e la Reggia dei Cesari ormai più non sembravano inespugnabili o troppo lontane; e l'ambiziosa sua immaginazione già copriva l'Asia Minore colle sue truppe, e dominava il Mar Nero coi navigli persiani.
Queste speranze potevano sortire l'effetto, se non si fosse opportunamente richiamato il conquistator dell'Italia alla difesa dell'Oriente63. Mentre Cosroe proseguiva gli ambiziosi suoi disegni sulla costa dell'Eussino, Belisario, alla testa di un esercito senza paga e senza disciplina, si accampò di là dall'Eufrate, in distanza di sei miglia da Nisibi. Egli meditava di trar fuori, con una scaltra operazione, i Persiani dall'inespugnabile lor cittadella, e di accrescere il suo vantaggio nel campo, o col tagliare ad essi la ritirata, o forse coll'entrar nelle porte, in una co' Barbari fuggitivi. Egli si avanzò, pel tratto di una giornata, sul territorio della Persia, espugnò la fortezza di Sisaurana, e ne mandò il Governatore, insieme con ottocento scelti soldati a cavallo, a servire l'Imperatore nelle sue guerre d'Italia. Areta ed i suoi Arabi, spalleggiati da mille e dugento Romani, passarono, per suo comando, il Tigri onde portarsi a devastar le messi della Siria, fertile provincia che da lungo tempo non aveva sentito le calamità della guerra. Ma l'intrattabile indole di Areta sconcertò i divisamenti di Belisario, col non rieder più al campo, nè trasmettere alcun avviso de' suoi movimenti. Il Generale romano, pieno di ansiosa aspettazione, non ardiva togliersi dal sito in cui era. Passò frattanto il tempo di agire; il cocente Sole della Mesopotamia accendeva le febbri nel sangue de' soldati europei; e le truppe e gli ufficiali della Siria, trovandosi immobili in campo, affettavano di paventare per la salvezza delle loro città, che prive erano di difesa. Nulladimeno questa diversione aveva già ottenuto il buon esito di costringere Cosroe a tornarsene indietro con perdita e fretta; e se l'abilità di Belisario avesse avuto la disciplina ed il valore in soccorso, i suoi successi avrebber forse appagate le ardenti brame del comun della gente, che dalla sua mano chiedeva la conquista di Ctesifonte e la liberazione dei prigionieri di Antiochia. Sul finire della campagna, egli fu richiamato a Costantinopoli da una Corte ingrata, ma i pericoli della seguente primavera gli fecero restituire la confidenza e il comando; e l'Eroe, quasi solo, fu spedito colla celerità dei cavalli di posta, a respingere l'invasione della Siria, mediante la forza del suo nome e della sua presenza. Egli trovò i Generali romani, tra i quali era un nipote di Giustiniano, imprigionati dai loro timori dentro le fortificazioni di Gerapoli. Ma in luogo di porgere ascolto ai timidi loro consigli, Belisario ordinò che lo seguissero all'Europo dove avea divisato di raccogliere le sue forze, e di eseguire qualunque cosa Iddio gl'inspirasse di intraprendere contro il nemico. La ferma sua attitudine sulle rive dell'Eufrate rattenne Cosroe dall'avanzar contro la Palestina, ed egli accolse con arte e con dignità gli Ambasciatori, o per meglio dire le spie del Monarca persiano. La pianura tra Gerapoli e il fiume era coperta dagli squadroni di cavalleria, composti di seimila alti e robusti cacciatori che inseguivano la preda loro, senza paventare nemici. Sull'opposto lido gli Ambasciatori scorgevano un migliaio di cavalli armeni, che parevano guardare il passo dell'Eufrate. Di grossolana tela era la tenda di Belisario, qual semplice arredo di un guerriero che aveva il lusso dell'Oriente a disdegno. Intorno alla sua tenda, con artificiosa confusione stavano disposte le nazioni che movevano sotto i suoi segni. I Traci e gli Illirici occupavano la fronte, gli Eruli ed i Goti si tenevan nel centro; chiuso era il prospetto dai Mori e dai Vandali, e la sciolta loro ordinanza pareva moltiplicare
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Nell'istoria pubblica di Procopio (