I Mille. Garibaldi Giuseppe
fa l’effetto di una punta di stile, sarà dunque l’antitesi di quella dote e la potremo chiamar: dote infernale.
E tale fu veramente l’effetto di quell’occhio sulla bellissima fanciulla romana.
Riconfortata alquanto da quel primo scompiglio dell’esser suo – e tornata alla virile sua natura, Marzia era lì per consigliar l’amica di tornare verso il campo – ma voltandosi e scorgendo lo stesso individuo con altri, senza dubbio della stessa risma, che le seguivano, disse a Lina, senza rispondere al «cosa hai?» dell’amica, «sollecitiamo».
Scivolavano quindi le tre giovani sul selciato del marciapiede di Piazza reale colla velocità e leggerezza della Silfide – ma nella popolosa Toledo a quell’ora facea mestieri rompere la folla per poter proseguire celeremente, e la folla trovavasi sempre più densa a misura che s’inoltravano verso il centro della città.
Tutto ciò dava vantaggio ai persecutori, sulle giovani perseguite, che di più inciampavano nel non indifferente ostacolo che incontrano le belle donne nelle città grandi, quando non accompagnate da uomini, cioè: lo esser bersaglio alle occhiatine, ai motteggi, e sovente alla persecuzione de’ cicisbei.
Comunque, le tre compagne non eran ragazze da lasciarsi spaventare per poco, e la stessa Marzia sul di cui volto era improntata abituale malinconia – e che forse s’era aumentata col sinistro incontro – Marzia, dico, avea ripreso quel fiero contegno cui dava diritto l’indomito suo coraggio.
Passati i Quattro canti14 e continuando per via Toledo verso il mare, esse giunsero finalmente ove quella via principale forma una piazzetta regolare, ed ove verso levante trovasi l’ingresso del vicolo che conduce all’Albergo d’Italia, e nell’entrare nel portone dello stesso, esse s’accorsero che sin lì eran state seguite.
A gente più assuefatta a mene poliziesche delle belle fanciulle, sarebbe forse venuto in mente di non fermarsi in quell’albergo di prim’ordine, oppure giungendovi, fare in modo di uscire subito da un andito posteriore che conduceva alla splendida passeggiata sul mare, e di là cercare una più modesta ed appiattata dimora. A Lia però, che la faceva da guida, non occorsero tali considerazioni, e forse anche qualche motivo particolare la induceva a prender stanza in detto albergo. La noncuranza poi delle nostre eroine per qualunque pericolo coadiuvò la scelta di tale dimora – non sicura certamente per esse in quel tempo di parossismo rivoluzionario da una parte e di paura governativa dall’altra.
Il fatto sta che appena le tre fanciulle avean messo piede nella stanza richiesta ed a loro assegnata dal padrone di casa, questo si presentò ad esse con un commissario di polizia e tre birri dicendo loro: «Signore, io era venuto per chiedere ciò che desideravano per cena; la comparsa però e l’intimazione di questi signori (la seconda parte del discorso fu a voce bassa ed arrugando le labbra), mi duole dirlo, farà inutile la mia richiesta».
Quelle parole aveano un accento di simpatia, e si capisce con quel colpo d’occhio intelligente che distingue i nostri meridionali, il padron di casa avea indovinato che le belle viaggiatrici eran gente di conto – e bastava per ciò gettar uno sguardo sul distinto, nobile e vezzoso volto delle due compagne dei Mille. – La Lia, di bellezza non comune, pure era conosciuta in quella casa.
Anche si capisce l’istantaneo apparir della polizia borbonica in quei giorni di terrore, ove in Palermo si era concentrata quasi tutta quella del Regno, coadiuvata da quanto il gesuitismo avea di più astuto e di più diabolico.
L’uomo dall’occhio sinistro la di cui vista avea sì stranamente e malignamente magnetizzato la nostra Marzia, avea quindi durato poca fatica a raccoglier sgherri sufficienti per la cattura delle fanciulle sospette.
L’Albergo d’Italia attorniato dalla birraglia, quei birri che col commissario aveano invaso la stanza delle donne e tre carrozze già occupate da custodi pronti al portone, furono gli apparecchi idonei per il trasporto delle tre donne a Castellamare, ove le lasceremo per un pezzo, dolenti del mal esito della loro impresa – ed indispettite.
«Cozzo» fu la sola parola che Lia potè articolare al padrone di casa in un momento in cui i poliziotti stavan concertandosi sulle grandi misure da prendere per assicurare la famosa preda.
CAPITOLO XV
IL TENTATORE
Les prêtres ne sont pas ce qu’un vain peuple pense.
Votre crédulité fait toute leur science.
Quando le scritture – che gli stupidi ed i furbi chiamano sante o sacre – collocarono allato della coppia primitiva il serpente per tentare la prima debole donna, esse avrebbero dovuto a tante invenzioni aggiungere l’invenzione d’un prete invece del rettile, essendo il prete il vero rappresentante della malizia e della menzogna – più atto assai alla corruzione e al tradimento che non lo schifoso e strisciante abitatore delle paludi.
E qui mi pongo ancora la mano sull’immane piaga! Un prete! e di più un gesuita – il sublimato del prete – mi si presenta, con mio ribrezzo in tutta la laidezza della sua natura per nausearmi – rabbrividirmi – e per nauseare coloro che avranno la sofferenza di leggermi!
Il sole del 26 maggio nascondevasi dietro i pittoreschi monti che circondano la Conca d’oro a ponente, fosco, rossiccio, come se macchiato di sangue – e col crepuscolo d’un giorno infocato cominciavano a vedersi, nelle pubbliche passeggiate, alcune carrozze con dentro il bellissimo sesso della stupenda capitale. Non numeroso però, abbenchè le donne, colla loro educazione presente, non si curin quanto dovrebbero delle miserie ed umiliazioni della patria: v’era nell’atmosfera naturale e politica qualche cosa che inaridiva ogni voglia di divertimento.
Era scirocco? Credo non fosse. Col scirocco, le popolazioni meridionali agiate chiudonsi soventi dentro casa – trovando insopportabile l’afa che si respira al di fuori. – Il bracciante la trova meno insopportabile della fame, e lavora anche spossato dal soffocante scirocco.
Il sole del 26 maggio era al tramonto e tra le poche carrozze che circolavano sulla deliziosa sponda del Mediterraneo una se ne scorgeva che all’occhio indagatore presentava un aspetto diverso dalle altre.
Perchè coperto quel veicolo? perchè vuoto? – poichè ben difficile scoprire in quel fondo oscuro un coso a sembianza umana, che dico? a sembianza d’un demonio!
Quella carrozza coperta aggiravasi come le scoperte, occupata da gente più o meno oziosa e che in quella sera, più per consuetudine che per gusto, faceva il solito andirivieni.
L’occupante però di quella – come il gufo – nascondevasi dalla luce, ed aspettava le tenebre, per attuare i suoi divisamenti sinistri.
E ne avea ben donde Monsignor Corvo – il più astuto e scellerato dei gesuiti – di nascondersi all’umano sguardo. Se, come m’è successo qualche volta d’esser solleticato a far una buona azione – tale prurito fosse venuto ad alcuno dei generosi palermitani presenti – esso potevasi precipitare in quella carrozza di cattivo augurio, strapparne fuori il malvagio, e schiacciarlo col tacco del suo stivale per non contaminarsi le mani, come si fa del velenoso rettile. – Egli avrebbe compito opera santa e liberato l’Italia da uno de’ suoi più perversi e nocivi nemici.
E lì, nelle vicinanze del sinistro augello, si aggirava uno: giovane, bello, forte, tipo di quella gioventù palermitana sì propensa all’eroismo del martirio. – Cozzo, il valoroso amante di Lia con altri compagni della stessa tempra da lui guidati, avean giurato di liberar i patriotti prigionieri nel forte di Castellamare. Ed eran molti i detenuti – appartenenti per la maggior parte al fiore dei propugnatori della Libertà Italiana.
Essi passeggiavan divisi e lontani dall’ergastolo borbonico – per coprire il loro disegno – e Cozzo, or sapendo che la prigione racchiudeva il suo tesoro, la sua Lia era d’un’impazienza indescrivibile di cominciar a menar le mani. – Poi si sapeva delle due bellissime forestiere compagne della palermitana la di cui fama s’era duplicata sotto il velo del mistero. – Solo sapevasi ch’esse provenivano dai Mille.
E Cozzo coi compagni che avrebbero potuto liberar il mondo da un demonio tentatore, non
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Punto centrale di Palermo, ove s’intersecano le due principali strade.