I Mille. Garibaldi Giuseppe

I Mille - Garibaldi Giuseppe


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furor dei tiranni è questo il nume.

(Palmi d’Arezzo).

      Dopo alcune scaramuccie coi Borbonici a Renne, i Mille impresero quella famosa marcia di notte verso Parco, che li mise in facili comunicazioni coll’interno, e la parte orientale dell’Isola – marcia che io non ricordo d’aver veduto simile, e tanto ardua, nemmeno nelle vergini foreste dell’America. – Marcia che, senza la cooperazione di quei magnifici picciotti delle squadre siciliane, sarebbe stato impossibile di eseguire, o almeno di trasportare i pochi cannoni nostri e le munizioni.

      L’alba del 22 maggio trovava i Mille a Parco, grondanti d’acqua piovana – e molli di fango dalla più disastrosa delle marcie di fianco – e se avessero avuto da fare con un nemico più diligente, quel giorno poteva essere funesto ai nostri Argonauti.

      I cannoni erano smontati, e forse i loro affusti trovavansi a varie miglia di distanza. I cattivissimi moschetti infangati, e molti fuori di servizio, e la spossatezza della gente, avrebbero agevolato ai Borbonici la distruzione dell’egregia schiera.

      Il 22 però passò senza novità. – I Mille ebbero tempo di rinfrancarsi, asciugar le loro scarse vestimenta, metter in ordine le loro armi, e prepararsi a qualunque avvenimento.

      Solo il 23 mossero da Palermo i nemici, in due colonne: l’una direttamente al Parco per attaccarci di fronte; l’altra girando il nostro fianco sinistro, tentava di impadronirsi delle alture, e minacciava la nostra retroguardia e linea di comunicazione.

      Il movimento combinato dal nemico non poteva esser migliore per esso, e mise i Mille nella necessità di abbandonare la posizione di Parco, e ritirarsi per lo stradale verso Piano dei Greci – ciocchè dovettero celeremente eseguire, dovendo fare un circuito assai grande – mentre la colonna nemica di cacciatori, sulla nostra sinistra, senza artiglieria, marciava per i monti, direttamente alla nostra linea di ritirata.

      I Carabinieri Genovesi mandati sulla sinistra, per disturbare il progresso di tale colonna, vi pugnarono colla solita bravura, e perdettero alcuni dei loro prodi, tra cui Mosto – uno fra i migliori – fratello del Maggiore dello stesso nome, valoroso milite di cento combattimenti, ed uno dei martiri di Monterotondo. – Mosto ferito gravemente a Monterotondo, fu men felice di Uziel – il prodissimo della colonna Genovese – che vi morì da forte ed ebbe quindi la fortuna di non sorvivere alla sventura di Mentana.

      Un distaccamento dei Mille con passo celere avendo preceduto la colonna sullo stradale, guidato dai patriotti della Piana, s’impossessò delle forti posizioni che dominano quel paese, e fermò la colonna dei cacciatori nemici la quale, credendo di soperchiare i Mille e disordinarli, ne fu invece soperchiata e resa incapace di avanzare un passo.

      Quella sera s’accampò nelle vicinanze della Piana e s’inviò il generale Orsini sulla via di Corleone, coll’artiglieria, bagagli ed infermi – disposizione che principiata al crepuscolo, ingannò i nemici sulla direzione della colonna principale.

      La notte stessa si lasciò il campo della Piana, e c’innoltrammo colla colonna senza impedimento nel bosco Cianeto che divide detto paese da Marineo.

      Il 24 di maggio il nemico vedendo che tutta la forza dei Mille si ritirava verso Corleone, la perseguiva con circa cinque mila uomini delle migliori sue truppe, ed ebbe nelle vicinanze di quel paese un impegno col generale Orsini, in cui quest’ultimo si comportò egregiamente, sebbene con numero molto inferiore di uomini.

      Qui mi è grato il ripetere: che solo in Sicilia potevasi effettuare un movimento coperto come quello che eseguirono i Mille dalla Piana a Palermo all’insaputa del nemico, il quale aveva il suo quartier generale a poche miglia di distanza.

      Il 24 i Mille accampavano a Marineo.

      Il 25 a Missilmeri – e tutte queste coraggiose popolazioni acclamavano l’arrivo dei fratelli, come se certi della vittoria.

      E veramente il popolare entusiasmo ne era ben il precursore.

      Quando si pensa che tutte queste belle popolazioni dell’Italia sono oggi così depresse ed umiliate – 25 milioni d’individui che hanno i ladri in casa – senza aver nemmeno il coraggio di lamentarsene! – Vergogna!

      E si millanta valore italiano – capi guerrieri, prodi eserciti. – Via! via! nascondete quella fronte macchiata dagli sputi stranieri!

      Il 26, noi raggiungemmo il campo del generale La Masa a Gibilrossa, ove s’erano riunite alcune migliaia d’uomini delle squadre Siciliane. Ed a Gibilrossa si decise di assaltar Palermo nella notte.

      CAPITOLO XX

      IL 27 MAGGIO

      Si spandea lungo nei campi

      Di falangi un tumulto, e un suon di tube

      E un incalzar di cavalli accorrenti,

      Scalpitanti sugli elmi ai moribondi

      E pianto, ed inni, e delle Parche il canto.

(Foscolo).

      La battaglia di Maratona fu una ben gloriosa vittoria di popoli contro la tirannide; ed i valorosi di Milziade ebbero una santa, terribile e liberatrice vittoria.

      I Greci – come gli altri popoli che han la disgrazia di aver dei preti – son questi gli anniversari che dovrebbero ricordare e santificare, non i Domenichi, gl’Ignazi, gli Arbues e compagnia brutta di sangue!

      Come la Maratona per i Greci, la battaglia di Palermo, quasi dimenticata e avversata dall’eunuco sistema che regge in Italia, sarà ricordata dalle generazioni venture con entusiasmo e con rispetto!

      Sorgi, aurora del 27 maggio! – men sanguigna, men cupa del precedente tramonto – tu vai a rischiarare il giorno più glorioso ch’io mi conosca in Italia. – S. Fermo, Palermo! – i nostri nepoti vi rammenteranno con orgoglio, e quando seduto al focolare, ed attorniato dalla gioventù bramosa, il veterano volontario starà narrando ad essa quelle superbe pugne, grandirà d’un palmo ed il suo volto venerando risplenderà ringiovanito.

      Vittorie di popolo! del diritto sulla prepotenza, del vero sulla menzogna, e della giustizia sulla tirannide!

      E perchè con tante splendide vittorie, l’umanità rimane sempre schiacciata sotto il peso dei pochi furbi, che la corrompono, la derubano e la fanno infelice?

      Ditelo voi, archimandriti Bizantini, che assordate il mondo di ciarle – voi eletti a legislatori colla frode, o dalla dabbenaggine del popolo, o dalla parte di popolo comprato, voi, dottrinari e dottori di tante specie: molti di voi un giorno repubblicani arrabbiati – oggi!.. ho vergogna di dirlo, cosa siete? Comunque, legislatori, che a forza di leggi ci fate desiderar la vita primitiva.

      Una scelta schiera di prodi dovea aprire la strada nella capitale dei Vespri.

      Tucheri dovea condurla, e per compagni egli aveva nientemeno che Nullo, Cairoli, Vigo, Taddei, Poggi, Uziel, Scopini, Perla, Cucchi, ed altri valorosissimi, i di cui nomi, io raccomando vengano pubblicati dal prode Stato Maggiore dei Mille e dai condottieri nobili delle otto famose compagnie, come pure dal capo delle guide, le quali primeggiavano fra i più coraggiosi16.

      Quella schiera scelta tra i Mille, non contava il numero, le barricate ed i cannoni che i mercenari dei Borboni avevano assiepati fuori di porta Termini. – Essa tempestava e fugava al ponte dell’ammiraglio gli avamposti nemici, e proseguiva.

      Le barricate di porta Termini furono superate volando – e le colonne dei Mille, e le squadre dei Picciotti calpestavano le calcagna della valorosa avanguardia, gareggiando d’eroismo.

      Non valse una vigorosa resistenza dei nemici su tutti i punti, nè il fulminare delle artiglierie di terra e di mare, massimamente d’un battaglione di cacciatori indigeni17 collocato nel dominante convento di S. Antonino che ci fiancheggiava sulla nostra sinistra a mezzo tiro di carabina. – Nulla valse: la vittoria sorrise al coraggio ed alla giustizia, ed in poco tempo il centro di Palermo fu invaso dai militi della libertà italiana.

      Trovandosi la popolazione della capitale della Sicilia completamente inerme, essa non poteva il primo giorno esporsi


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<p>16</p>

Non potendo, com’è ben naturale, ricordare i nomi di coloro che fecero parte di quella sacra Legione, ho pensato d’introdurvi quei gloriosi martiri dei Mille che mi si presentano alla memoria, sebbene non tutti appartenenti a detta schiera.

<p>17</p>

V’erano varii corpi stranieri.