La promessa sposa di Lammermoor, Tomo 1. Вальтер Скотт

La promessa sposa di Lammermoor, Tomo 1 - Вальтер Скотт


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omessa sposa di Lammermoor, Tomo 1 (of 3)

      GLI EDITORI

      Il generale entusiasmo con cui vennero accolti gli scritti del celebre romanziere della Scozia mostrano bene che s'ingannavan coloro che proscriveano i romanzi indistintamente.

      Questa voce romanzo, che suonava nella sua origine, scritto leggiadro e sensibile degenerata pe' mali scrittori in significato di sentimentale esagerazione divenne sotto Walter Scott quello di descrizione vera e caratteristica delle comuni passioni, ed ecco la cagione unica dell'incontro che ebbero le opere di questo scrittore.

      Varii sono i buoni romanzi, pochi i mediocri; ma niuno ve ne ha che esser possa come romanzo anteposto a quelli di cui ora siamo per dare la completa edizione.

      Modellò Walter Scott i suoi personaggi dalla natura medesima; le loro avventure suonano tutte del naturale andamento delle loro operazioni, le loro angustie sono le vere figlie delle passioni, onde sono commentati, i piaceri; le pene, le traversie, le ansietà vestono tutte il vero carattere della natura, ed ogni lettore è costretto a dire, io pure in pari caso avrei fatto lo stesso; se in qualche parte si discostò dalla storica verità è questa una licenza ad ogni poeta permessa, molto più al romanziere.

      Ma la verità de' caratteri, la viva pittura delle passioni, la naturalezza degli avvenimenti tutto costituisce questo autore pel primo nel suo genere, e forse per l'ultimo, giacchè può agl'ingegni peregrini ed originali applicarci quel celebre detto del Ghibellino.

Natura il fece e poi ruppe la stampa

      Affidati a questa opinione ci siamo prefissi di dare un'edizione completa delle opere dell'autore medesimo da colta penna in italiano tradotte, avvisandoci non senza ragione che ci sapranno i nostri compatriotti buon grado di aver loro facilitato la lettura di opere che portano al tempo stesso ad appagare lo spirito e il cuore.

      CAPITOLO I

      „ Sol per metade trionfossi. – A terra

      „ Cadde il nemico, è ver; ma più feroce,

      „ Se di risorger dalla polve il destro

      „ Gli concediam, rinoverà l'assalto. „

Shakespeare.

      In una gola delle montagne che fiancheggiano le fertili pianure del Lothian orientale, innalzavasi nell'età scorsa un ragguardevole castello, del quale oggidì non si scorgono che le rovine, ed è chiamato Ravenswood; nome che era pur quello della famiglia de' proprietarj del luogo, antichissimi e bellicosi, e un dì possenti baroni, congiunti per parentela ai Douglas, agli Hume, agli Swinton, agli Hays, e alle famiglie più distinte di quelle vicinanze. La storia de' ridetti baroni e delle illustri lor geste, commemorata negli Annali della Scozia, si confondea spesse volte colla storia medesima di questo reame. Il castello di Ravenswood tenea, e può dirsi quasi, signoreggiava una valle che disgiunge la contea di Berwick, o il paese di Merse, come chiamavasi un giorno la parte di Scozia situata a scilocco, ed il Lothian; onde essendo fra le piazze rilevanti in tempo così di guerre cogli stranieri, come di civili discordie, fu spesse volte soggetto a vigorosi assedj e ostinatamente difeso, per lo che assicurò una sede onorevole nella storia ai suoi possessori.

      Ma non essendovi in questo sublunare globo cosa che sia immune da cambiamenti, le proprie vicende ancora avea sofferte la casa di Ravenswood, che scese in singolar modo dall'antico splendore verso la metà del secolo decimosettimo; epoca di quella politica vicissitudine, per cui Giacomo II perdè il trono della Gran Brettagna. Allora l'ultimo proprietario del castello di Ravenswood si vide costretto ad alienare l'antica signoria de' suoi maggiori per ritirarsi in una solitaria torre, che, sorgendo sulla sterile costa situata fra Saint-Abs-Head e il villaggio di Eyemouth, dominava l'Oceano germanico, i cui flutti così sovente agitati dalle tempeste, andavano contro le mura di questa torre ad infrangersi. I dominj che ricigneano il nuovo soggiorno del Lord caduto in bassa fortuna, stavansi in alcuni pascoli di scadente qualità, ed era pur quanto di tutto l'avito patrimonio gli rimanea.

      Il ridetto lord non seppe piegar lo spirito alla cambiata sua condizione, e nella guerra civile del 1689, avendo parteggiato per la fazione più debole, benchè non venissero pronunziate contr'esso nè sentenza capitale, nè confiscazione di beni, fu però privato delle prerogative e de' titoli di nobiltà, onde, sol per un riguardo di cortesia, continuava a chiamarlo milord chi in colloquj col medesimo s'intertenea.

      S'ei non era l'erede de' possedimenti dei suoi maggiori, ne avea del certo mantenuto tutto l'orgoglio, e l'indole turbolenta; e nudriva mortale astio contra un certo tale da cui credea derivategli tutte le sventure di sua famiglia. Era questi l'uomo medesimo divenuto in quei giorni proprietario del castello di Ravenswood e delle sue pertenenze, che il vero rappresentante della famiglia Ravenswood dovè, costretto dal bisogno, cedere ad altri. Il novello possessore non contando aviti fasti, quanti i possessori antichi potean vantarne, dovea solamente alle ultime guerre civili la propria fortuna e la prevalenza di cui nelle cose dello Stato godea. Incamminatosi nella via forense sin dalla prima giovinezza, s'innalzò ad eminenti cariche nella magistratura, e avea fama d'uom tale che sapesse pescare assai bene in acqua torbida profittando delle fazioni che teneano il regno in trambusto; nella qual cosa potea meglio riuscire in un paese, come la Scozia, posto sotto il governo di una autorità delegata. Gli si attribuiva parimente tutta l'accortezza necessaria ad ammassare considerabili ricchezze in mezzo alle rovine degli altri, e ad aumentare per tutte le possibili vie il nuovo retaggio di cui sapeva apprezzar l'importanza, e valersene per dilatare l'acquistata preponderanza politica.

      Un personaggio fornito di tali abilità, a cui non mancavano vie per porle in opera, era un formidabil nemico per un uomo impetuoso e imprudente qual mostravasi Ravenswood. Se avesse, o no, prestati legittimi motivi ad una tal nimistà, era un punto tuttavia contestato. Chi sostenea che la mala intelligenza tra esso e l'antico padrone del feudo avesse per sola cagione l'animo vendicativo e astioso dello stesso Ravenswood, il quale non sapesse comportare che i dominj e il castello de' suoi maggiori fossero passati fra le mani d'un altro, benchè, i fautori di tale opinione aggiugneano, una vendita giusta e legittima avesse dato luogo a tal cambiamento di possessori. Ma la maggior parte del pubblico, composta di gente altrettanto proclive a denigrar la fama del ricco lontano, quanto ad adularlo presente, portava un giudizio assai più favorevole al vecchio Ravenswood. Dicevano che il lord Cancelliere (ser Guglielmo Asthon a questa distintissima dignità era pervenuto) diceano che il lord Cancelliere, prima di divenire assoluto padrone del dominio di Ravenswood, aveva avuto vistosi negozj d'interesse coll'antico feudatario; poi metteano in problema (ma all'orecchio un dell'altro, e non attentandosi a scioglierlo) a qual delle due parti, trattandosi di affari d'interesse tanto implicati, dovessero aver fruttato meglio i negozj, se all'abile politico e giureconsulto, cui inoltre la natura aveva fatto dono di un imperturbabile sangue freddo, o se all'uomo impetuoso e imprudente che parea nato fatto per correre a chius'occhi in quanti trabocchelli la malizia avesse stimato bene di preparargli.

      Lo stato de' pubblici affari rendeva anche meno inverisimili tali sospetti. In illo tempore non erat rex super Israel. Dopo che Giacomo VI per aggiugnere al suo capo la più ricca e potente corona dell'Inghilterra, avea in questo regno trasferita la sua dimora, si erano manifestate diverse opposte fazioni fra i primarj Nobili della Scozia, che a vicenda dominavano da sovrani il lor paese; e questa vicenda di sovranità dipendea dal buon esito delle sorde pratiche, or dall'uno, or dall'altro di loro adoperate presso la corte di S. James per farsi delegare l'autorità del monarca. I mali derivanti da un tale sistema di governo poteano assomigliarsi a quelli che affliggono i contadini d'Irlanda, coltivatori di fondi, ove non soggiornano i proprietarj, e soggetti quindi all'arbitrio d'interessati fattori. Laonde fra le persone a mano a mano depositarie dell'autorità generale, non se ne vedea mai una, i cui interessi colla popolazione le fossero comuni, o alla quale l'uomo oppresso da una tirannide subalterna potesse appellarsi per ottenere grazia, o giustizia. Comunque indolente e parziale a se stesso, comunque proclive ad atti arbitrarj possa dimostrarsi il principe in una temperata monarchia, i vantaggi di lui sono sì evidentemente collegati con quelli dei sudditi, e le sinistre conseguenze che deriverebbero da un abuso di autorità, sì chiare ed inevitabili, che non abbisogna di trascendente politica, o di straordinario ingegno per avvedersi, come un'eguale distribuzione della giustizia sia ad un tempo il più saldo sostegno del trono. Per tal motivo, quegli stessi principi che tirannicamente si comportarono e tutti i diritti arrogaronsi,


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