Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2. Alessandro Manzoni

Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2 - Alessandro Manzoni


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uomini colti, non consente ammirare le virtù frugali ed astinenti che in coloro i quali eccitano con virtù feroci un'altra ammirazione di terrore: non risguarda quelle come virtù, che quando sieno unite ad un profondo sentimento d'orgoglio e di disprezzo per qualche parte del genere umano. Se quel tozzo di pane fosse stato mangiato da un generale in presenza di ventimila cadaveri, sarebbe in tutti i discorsi, in tutti i libri; nessun fedele umanista avrebbe potuto evitare di farvi sopra almeno una amplificazione in vita sua. Eppure, la ragione dice che quel tozzo di pane, solo cibo d'un uomo che avrebbe potuto nuotare nelle delizie, e che se ne asteneva per un sentimento profondo della dignità umana, e per dar pane a chi ne mancava; quel tozzo di pane, mangiato tra le fatiche d'un ministero di misericordia, di pace e di pietà, dovrebb'essere una rimembranza più cara agli uomini che non quel salino e quel piattello, che copriva la mensa d'un uomo, che era sobrio per potere esser forte contra gli uomini103; che si accontentava di essere un povero Fabricio, perchè fosse un potente Romano. Le idee dì cui si componeva il sentimento temperante di questo erano superbe, ostili, sprezzanti, superficiali104; quelle di Federigo, umane, gentili, benevole, profonde. In quello stesso convito di Pirro, dove Fabricio dette quelle prove della sua fermezza e della sua astinenza, lasciò egli trasparire manifestamente quel suo animo: ivi, all'udire le dottrine epicuree esposte da Cinea, disse egli quelle atroci parole, tanto lodate dagli antichi, e, chi lo crederebbe? dai moderni105: Oh Ercole! (il santo era degno del voto) oh Ercole! diss'egli, fa che queste dottrine sieno ricevute dai Sanniti e da Pirro fin tanto che saranno nemici del popolo romano. Ma il nostro mangiator di pane avrebbe avuto orrore di sè, se avesse potuto anche un momento desiderare la perversità ai suoi nemici, ai nemici del suo popolo. Egli desiderava la giustizia, la fortezza, la sobrietà a tutti, la desiderava per loro, per sè, per la gloria del Dio di tutti, la desiderava, e tutta la sua vita fu spesa a promuoverla. La sua benevolenza non era nazionale, nè aristocratica, egli non aveva bisogno di odiare una parte del genere umano per amarne un'altra: si faceva povero non per insultare, non per dominare, ma per dividere la condizione dei suoi fratelli poveri e per migliorarla. A dispetto di tutta la storia, di tutta la morale, di tutta la rettorica, Federigo Borromeo era più grand'uomo che Fabricio, o, per meglio dire, Federigo era veramente grand'uomo, per quanto un sì magnifico epiteto può stare con un sì misero sostantivo106.

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      Barbi M., Alessandro Manzoni e il suo romanzo nel carteggio del Tommaseo col Vieusseux; nella Miscellanea di studi critici, edita in onore di Arturo Graf, Bergamo, 1903; pp. 235-256.

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      I Lombardi alla prima crociata, canti quindici di Tommaso Grossi, Milano, presso Vincenzo Ferrario, 1826; tre vol in-8.º di pp. VII-143, 152 e 163, dettero occasione, come ebbe a dire Ermes Visconti, a «un diluvio di libercoletti, quasi tutti pessimi, pro e contro», comparsi alla luce tra l'aprile e il maggio del 1826, per la più parte. Cfr. Vismara A., Bibliografia di Tommaso Grossi, Como, Ostinelli, 1886, pp. 37-40. A confessione del Tommaseo, il Manzoni, «uomo di pace, non lesse di tutte quelle scritture che l'articolo nostro: fu poi forzato a leggere quel di Parenti, che lo fece, dic'egli, star male per quindici giorni». Anche «l'articolo nostro», cioè il secondo di quelli che il Tommaseo inserì nell'Antologia, di Firenze [n.º LXX, ottobre 1826, pp. 3-30], al Manzoni dispiacque. «Con quella sincerità ch'è sua propria, ma che mi onora, disse d'aver letto l'articolo, e che gli pareva impossibile che fosse mio. – E perchè? Vi traspare forse l'astio? L'invidia? Io mi conosco abietto sì, ma non tanto da invidiare al buon Grossi. – Astio no, ma disprezzo. Pare che le lodi ella le abbia concesse alla compassione e al riguardo degli amici del Grossi; ma le abbia insieme attemperate, anzi sepolte sotto la censura e il biasimo».

      L'articolo di Marcantonio Parenti (nato a Montecuccolo nel Frignano il 30 gennaio 1788 e morto a Modena il 23 giugno del 1862), che fece giustamente indignare il Manzoni, sfuggì alla diligenza del Vismara. S'intitola: Riflessioni sulla Mitologia e sul Romanticismo in occasione che si pubblica per la prima volta Il Doroteo dell'Ottonelli. Si legge a pp. 401-418 del tom. IX e a pp. 3-41 del tom. X delle Memorie di religione, di morale e di letteratura, di Modena.

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      In una lettera del febbraio '26 aveva scritto, parlando del Romanzo: «prima della gita pedestre, non può finirlo». Si trat

1

Barbi M., Alessandro Manzoni e il suo romanzo nel carteggio del Tommaseo col Vieusseux; nella Miscellanea di studi critici, edita in onore di Arturo Graf, Bergamo, 1903; pp. 235-256.

2

I Lombardi alla prima crociata, canti quindici di Tommaso Grossi, Milano, presso Vincenzo Ferrario, 1826; tre vol in-8.º di pp. VII-143, 152 e 163, dettero occasione, come ebbe a dire Ermes Visconti, a «un diluvio di libercoletti, quasi tutti pessimi, pro e contro», comparsi alla luce tra l'aprile e il maggio del 1826, per la più parte. Cfr. Vismara A., Bibliografia di Tommaso Grossi, Como, Ostinelli, 1886, pp. 37-40. A confessione del Tommaseo, il Manzoni, «uomo di pace, non lesse di tutte quelle scritture che l'articolo nostro: fu poi forzato a leggere quel di Parenti, che lo fece, dic'egli, star male per quindici giorni». Anche «l'articolo nostro», cioè il secondo di quelli che il Tommaseo inserì nell'Antologia, di Firenze [n.º LXX, ottobre 1826, pp. 3-30], al Manzoni dispiacque. «Con quella sincerità ch'è sua propria, ma che mi onora, disse d'aver letto l'articolo, e che gli pareva impossibile che fosse mio. – E perchè? Vi traspare forse l'astio? L'invidia? Io mi conosco abietto sì, ma non tanto da invidiare al buon Grossi. – Astio no, ma disprezzo. Pare che le lodi ella le abbia concesse alla compassione e al riguardo degli amici del Grossi; ma le abbia insieme attemperate, anzi sepolte sotto la censura e il biasimo».

L'articolo di Marcantonio Parenti (nato a Montecuccolo nel Frignano il 30 gennaio 1788 e morto a Modena il 23 giugno del 1862), che fece giustamente indignare il Manzoni, sfuggì alla diligenza del Vismara. S'intitola: Riflessioni sulla Mitologia e sul Romanticismo in occasione che si pubblica per la prima volta Il Doroteo dell'Ottonelli. Si legge a pp. 401-418 del tom. IX e a pp. 3-41 del tom. X delle Memorie di religione, di morale e di letteratura, di Modena.

3

In una lettera del febbraio '26 aveva scritto, parlando del Romanzo: «prima della gita pedestre, non può finirlo». Si trattava di un «viaggio pedestre di Manzoni nel Bergamasco», che il Vieusseux riteneva desse «luogo a qualche bella descrizione nel suo romanzo».

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Il Rosmini, il 23 novembre del '26, scriveva al prof. Pier Alessandro Paravia: «Leggo di questi giorni il Romanzo del Manzoni, che parmi una maraviglia. Egli mel comunica per sua gentilezza: io me ne inebrio, e penso che all'Italia apparirà come cosa nuova: e a sì limpido lume novellamente acceso, a lei parrà esserle accresciuto il veder della mente. Che cognizione dell'uman cuore! che verità! che bontà, la quale ovunque trabocca da un cuor ricolmo!»

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Segue, cancellato: «che nella sua povertà privata, godeva della potenza soverchiatrice, della cupida ambizione». (Ed.)

<p>104</p>

Segue, cancellato: «superficiali: se fossero diventate comuni, se molti uomini di tutte le nazioni le avessero ricevute e messe in pratica, fossero divenuti virtuosi come Fabricio, vi sarebbero state molte nazioni forti per la loro temperanza e avide di dominare, le qua[li]. (Ed.)

<p>105</p>

Di fianco al periodo, che incomincia colla parola: superficiali e che termina qui, il Manzoni segnò una linea e scrisse in margine: «Direi, se si può, che quelle idee adottate universalmente avrebbero prodotti uomini poveri e forti e ambiziosi: non migliorato il mondo, etc. queste invece avrebbero introdotta una equa e pacifica distribuzione delle cose necessarie, poveri soccorsi e ricchi astinenti: cresciuta la pazienza a misura che ne sarebbe scemato il bisogno». (Ed.)

<p>106</p>

Col racconto di questo episodio della vita del cardinal Federigo ha termine il capitolo IV del tomo III della prima minuta. (Ed.)