Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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per molti giorni e mesi

      tra noi secreto l'amoroso gioco:

      sempre crebbe l'amore; e sì m'accesi,

      che tutta dentro io mi sentia di foco:

      e cieca ne fui sì, ch'io non compresi

      ch'egli fingeva molto, e amava poco;

      ancor che li suo' inganni discoperti

      esser doveanmi a mille segni certi.

12

      Dopo alcun dì si mostrò nuovo amante

      de la bella Ginevra. Io non so appunto

      s'allora cominciasse, o pur inante

      de l'amor mio, n'avesse il cor già punto.

      Vedi s'in me venuto era arrogante,

      s'imperio nel mio cor s'aveva assunto;

      che mi scoperse, e non ebbe rossore

      chiedermi aiuto in questo nuovo amore.

13

      Ben mi dicea ch'uguale al mio non era,

      né vero amor quel ch'egli avea a costei;

      ma simulando esserne acceso, spera

      celebrarne i legitimi imenei.

      Dal re ottenerla fia cosa leggiera,

      qualor vi sia la volontà di lei;

      che di sangue e di stato in tutto il regno

      non era, dopo il re, di lu' il più degno.

14

      Mi persuade, se per opra mia

      potesse al suo signor genero farsi

      (che veder posso che se n'alzeria

      a quanto presso al re possa uomo alzarsi),

      che me n'avria buon merto, e non saria

      mai tanto beneficio per scordarsi;

      e ch'alla moglie e ch'ad ogni altro inante

      mi porrebbe egli in sempre essermi amante.

15

      Io, ch'era tutta a satisfargli intenta,

      né seppi o volsi contradirgli mai,

      e sol quei giorni io mi vidi contenta,

      ch'averlo compiaciuto mi trovai;

      piglio l'occasion che s'appresenta

      di parlar d'esso e di lodarlo assai;

      ed ogni industria adopro, ogni fatica,

      per far del mio amator Ginevra amica.

16

      Feci col core e con l'effetto tutto

      quel che far si poteva, e sallo Idio;

      né con Ginevra mai potei far frutto,

      ch'io le ponessi in grazia il duca mio:

      e questo, che ad amar ella avea indutto

      tutto il pensiero e tutto il suo disio

      un gentil cavallier, bello e cortese,

      venuto in Scozia di lontan paese;

17

      che con un suo fratel ben giovinetto

      venne d'Italia a stare in questa corte;

      si fe' ne l'arme poi tanto perfetto,

      che la Bretagna non avea il più forte.

      Il re l'amava, e ne mostrò l'effetto;

      che gli donò di non picciola sorte

      castella e ville e iurisdizioni,

      e lo fe' grande al par dei gran baroni.

18

      Grato era al re, più grato era alla figlia

      quel cavallier chiamato Ariodante,

      per esser valoroso a maraviglia;

      ma più, ch'ella sapea che l'era amante.

      Né Vesuvio, né il monte di Siciglia,

      né Troia avampò mai di fiamme tante,

      quanto ella conoscea che per suo amore

      Ariodante ardea per tutto il core.

19

      L'amar che dunque ella facea colui

      con cor sincero e con perfetta fede,

      fe' che pel duca male udita fui;

      né mai risposta da sperar mi diede:

      anzi quanto io pregava più per lui

      e gli studiava d'impetrar mercede,

      ella, biasmandol sempre e dispregiando,

      se gli venìa più sempre inimicando.

20

      Io confortai l'amator mio sovente,

      che volesse lasciar la vana impresa;

      né si sperasse mai volger la mente

      di costei, troppo ad altro amore intesa:

      e gli feci conoscer chiaramente,

      come era sì d'Ariodante accesa,

      che quanta acqua è nel mar, piccola dramma

      non spegneria de la sua immensa fiamma.

21

      Questo da me più volte Polinesso

      (che così nome ha il duca) avendo udito,

      e ben compreso e visto per se stesso

      che molto male era il suo amor gradito;

      non pur di tanto amor si fu rimesso,

      ma di vedersi un altro preferito,

      come superbo, così mal sofferse,

      che tutto in ira e in odio si converse.

22

      E tra Ginevra e l'amator suo pensa

      tanta discordia e tanta lite porre,

      e farvi inimicizia così intensa,

      che mai più non si possino comporre;

      e por Ginevra in ignominia immensa,

      donde non s'abbia o viva o morta a torre:

      né de l'iniquo suo disegno meco

      volse o con altri ragionar, che seco.

23

      Fatto il pensier: – Dalinda mia, – mi dice

      (che così son nomata) – saper dèi,

      che come suol tornar da la radice

      arbor che tronchi e quattro volte e sei;

      così la pertinacia mia infelice,

      ben che sia tronca dai successi rei,

      di germogliar non resta; che venire

      pur vorria a fin di questo suo desire.

24

      E non lo bramo tanto per diletto,

      quanto perché vorrei vincer la pruova;

      e non possendo farlo con effetto,

      s'io lo fo imaginando, anco mi giuova.

      Voglio, qual volta tu mi dài ricetto,

      quando allora Ginevra si ritruova

      nuda nel letto, che pigli ogni vesta

      ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.

25

      Come ella s'orna e come il crin dispone

      studia imitarla, e cerca il più che sai

      di parer dessa, e poi sopra il verrone

      a mandar giù la scala ne verrai.

      Io


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