Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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quella sii, di cui tu i panni avrai:

      e così spero, me stesso ingannando,

      venir in breve il mio desir sciemando. —

26

      Così disse egli. Io che divisa e sevra

      e lungi era da me, non posi mente

      che questo in che pregando egli persevra,

      era una fraude pur troppo evidente;

      e dal verron, coi panni di Ginevra,

      mandai la scala onde salì sovente;

      e non m'accorsi prima de l'inganno,

      che n'era già tutto accaduto il danno.

27

      Fatto in quel tempo con Ariodante

      il duca avea queste parole o tali

      (che grandi amici erano stati inante

      che per Ginevra si fesson rivali):

      – Mi maraviglio (incominciò il mio amante)

      ch'avendoti io fra tutti li mie' uguali

      sempre avuto in rispetto e sempre amato,

      ch'io sia da te sì mal rimunerato.

28

      Io son ben certo che comprendi e sai

      di Ginevra e di me l'antiquo amore;

      e per sposa legittima oggimai

      per impetrarla son dal mio signore.

      Perché mi turbi tu? perché pur vai

      senza frutto in costei ponendo il core?

      Io ben a te rispetto avrei, per Dio,

      s'io nel tuo grado fossi, e tu nel mio. —

29

      – Ed io (rispose Ariodante a lui)

      di te mi maraviglio maggiormente;

      che di lei prima inamorato fui,

      che tu l'avessi vista solamente:

      e so che sai quanto è l'amor tra nui,

      ch'esser non può di quel che sia, più ardente;

      e sol d'essermi moglie intende e brama:

      e so che certo sai ch'ella non t'ama.

30

      Perché non hai tu dunque a me il rispetto

      per l'amicizia nostra, che domande

      ch'a te aver debba, e ch'io t'avre' in effetto,

      se tu fossi con lei di me più grande?

      Né men di te per moglie averla aspetto,

      se ben tu sei più ricco in queste bande:

      io non son meno al re, che tu sia, grato,

      ma più di te da la sua figlia amato. —

31

      – Oh (disse il duca a lui), grande è cotesto

      errore a che t'ha il folle amor condutto!

      Tu credi esser più amato; io credo questo

      medesmo: ma si può veder al frutto.

      Tu fammi ciò ch'hai seco, manifesto,

      ed io il secreto mio t'aprirò tutto;

      e quel di noi che manco aver si veggia,

      ceda a chi vince, e d'altro si provveggia.

32

      E sarò pronto, se tu vuoi ch'io giuri

      di non dir cosa mai che mi riveli:

      così voglio ch'ancor tu m'assicuri

      che quel ch'io ti dirò, sempre mi celi. —

      Venner dunque d'accordo alli scongiuri,

      e poser le man sugli Evangeli:

      e poi che di tacer fede si diero,

      Ariodante incominciò primiero.

33

      E disse per lo giusto e per lo dritto

      come tra sé e Ginevra era la cosa;

      ch'ella gli avea giurato e a bocca e in scritto,

      che mai non saria ad altri, ch'a lui, sposa;

      e se dal re le venìa contraditto,

      gli promettea di sempre esser ritrosa

      da tutti gli altri maritaggi poi,

      e viver sola in tutti i giorni suoi:

34

      e ch'esso era in speranza pel valore

      ch'avea mostrato in arme a più d'un segno,

      ed era per mostrare a laude, a onore,

      a beneficio del re e del suo regno,

      di crescer tanto in grazia al suo signore,

      che sarebbe da lui stimato degno

      che la figliuola sua per moglie avesse,

      poi che piacer a lei così intendesse.

35

      Poi disse: – A questo termine son io,

      né credo già ch'alcun mi venga appresso:

      né cerco più di questo, né desio

      de l'amor d'essa aver segno più espresso;

      né più vorrei, se non quanto da Dio

      per connubio legitimo è concesso:

      e saria invano il domandar più inanzi;

      che di bontà so come ogn'altra avanzi. —

36

      Poi ch'ebbe il vero Ariodante esposto

      de la mercé ch'aspetta a sua fatica,

      Polinesso, che già s'avea proposto

      di far Ginevra al suo amator nemica,

      cominciò: – Sei da me molto discosto,

      e vo' che di tua bocca anco tu 'l dica;

      e del mio ben veduta la radice,

      che confessi me solo esser felice.

37

      Finge ella teco, né t'ama né prezza;

      che ti pasce di speme e di parole:

      oltra questo, il tuo amor sempre a sciochezza,

      quando meco ragiona, imputar suole.

      Io ben d'esserle caro altra certezza

      veduta n'ho, che di promesse e fole;

      e tel dirò sotto la fé in secreto,

      ben che farei più il debito a star cheto.

38

      Non passa mese, che tre, quattro e sei

      e talor diece notti io non mi truovi

      nudo abbracciato in quel piacer con lei,

      ch'all'amoroso ardor par che sì giovi:

      sì che tu puoi veder s'a' piacer miei

      son d'aguagliar le ciance che tu pruovi.

      Cedimi dunque e d'altro ti provedi,

      poi che sì inferior di me ti vedi. —

39

      – Non ti vo' creder questo (gli rispose

      Ariodante), e certo so che menti;

      e composto fra te t'hai queste cose,

      acciò che da l'impresa io mi spaventi:

      ma perché a lei son troppo ingiuriose,

      questo c'hai detto sostener convienti;

      che non bugiardo sol, ma voglio


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