Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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gli pare il passo acerbo e forte)

      Ariodante, poi ch'in mar fu messo,

      si pentì di morire: e come forte

      e come destro e più d'ogn'altro ardito,

      si messe a nuoto e ritornossi al lito;

6

      e dispregiando e nominando folle

      il desir ch'ebbe di lasciar la vita,

      si messe a caminar bagnato e molle,

      e capitò all'ostel d'un eremita.

      Quivi secretamente indugiar volle

      tanto, che la novella avesse udita,

      se del caso Ginevra s'allegrasse,

      o pur mesta e pietosa ne restasse.

7

      Intese prima, che per gran dolore

      ella era stata a rischio di morire

      (la fama andò di questo in modo fuore,

      che ne fu in tutta l'isola che dire):

      contrario effetto a quel che per errore

      credea aver visto con suo gran martire.

      Intese poi, come Lurcanio avea

      fatta Ginevra appresso il padre rea.

8

      Contra il fratel d'ira minor non arse,

      che per Ginevra già d'amor ardesse;

      che troppo empio e crudele atto gli parse,

      ancora che per lui fatto l'avesse.

      Sentendo poi, che per lei non comparse

      cavallier che difender la volesse

      (che Lurcanio sì forte era e gagliardo,

      ch'ognun d'andargli contra avea riguardo;

9

      e chi n'avea notizia, il riputava

      tanto discreto, e sì saggio ed accorto,

      che se non fosse ver quel che narrava,

      non si porrebbe a rischio d'esser morto;

      per questo la più parte dubitava

      di non pigliar questa difesa a torto);

      Ariodante, dopo gran discorsi,

      pensò all'accusa del fratello opporsi.

10

      – Ah lasso! io non potrei (seco dicea)

      sentir per mia cagion perir costei:

      troppo mia morte fôra acerba e rea,

      se inanzi a me morir vedessi lei.

      Ella è pur la mia donna e la mia dea,

      questa è la luce pur degli occhi miei:

      convien ch'a dritto e a torto, per suo scampo

      pigli l'impresa, e resti morto in campo.

11

      So ch'io m'appiglio al torto; e al torto sia:

      e ne morrò; né questo mi sconforta,

      se non ch'io so che per la morte mia

      sì bella donna ha da restar poi morta.

      Un sol conforto nel morir mi fia,

      che, se 'l suo Polinesso amor le porta,

      chiaramente veder avrà potuto,

      che non s'è mosso ancor per darle aiuto;

12

      e me, che tanto espressamente ha offeso,

      vedrà, per lei salvare, a morir giunto.

      Di mio fratello insieme, il quale acceso

      tanto fuoco ha, vendicherommi a un punto;

      ch'io lo farò doler, poi che compreso

      il fine avrà del suo crudele assunto:

      creduto vendicar avrà il germano,

      e gli avrà dato morte di sua mano. —

13

      Concluso ch'ebbe questo nel pensiero,

      nuove arme ritrovò, nuovo cavallo;

      e sopraveste nere, e scudo nero

      portò, fregiato a color verdegiallo.

      Per aventura si trovò un scudiero

      ignoto in quel paese, e menato hallo;

      e sconosciuto (come ho già narrato)

      s'appresentò contra il fratello armato.

14

      Narrato v'ho come il fatto successe,

      come fu conosciuto Ariodante.

      Non minor gaudio n'ebbe il re, ch'avesse

      de la figliuola liberata inante.

      Seco pensò che mai non si potesse

      trovar un più fedele e vero amante;

      che dopo tanta ingiuria, la difesa

      di lei, contra il fratel proprio, avea presa.

15

      E per sua inclinazion (ch'assai l'amava)

      e per li preghi di tutta la corte,

      e di Rinaldo, che più d'altri instava,

      de la bella figliuola il fa consorte.

      La duchea d'Albania ch'al re tornava

      dopo che Polinesso ebbe la morte,

      in miglior tempo discader non puote,

      poi che la dona alla sua figlia in dote.

16

      Rinaldo per Dalinda impetrò grazia,

      che se n'andò di tanto errore esente;

      la qual per voto, e perché molto sazia

      era del mondo, a Dio volse la mente:

      monaca s'andò a render fin in Dazia,

      e si levò di Scozia immantinente.

      Ma tempo è ormai di ritrovar Ruggiero,

      che scorre il ciel su l'animal leggiero.

17

      Ben che Ruggier sia d'animo costante,

      né cangiato abbia il solito colore,

      io non gli voglio creder che tremante

      non abbia dentro più che foglia il core.

      Lasciato avea di gran spazio distante

      tutta l'Europa, ed era uscito fuore

      per molto spazio il segno che prescritto

      avea già a' naviganti Ercole invitto.

18

      Quello ippogrifo, grande e strano augello,

      lo porta via con tal prestezza d'ale,

      che lasceria di lungo tratto quello

      celer ministro del fulmineo strale.

      Non va per l'aria altro animal sì snello,

      che di velocità gli fosse uguale:

      credo ch'a pena il tuono e la saetta

      venga in terra dal ciel con maggior fretta.

19

      Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio

      per linea dritta e senza mai piegarsi,

      con larghe ruote, omai de l'aria sazio,

      cominciò sopra una isola a calarsi;

      pari a quella ove, dopo lungo strazio

      far del suo amante e lungo a lui celarsi,

      la


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