Scherzi Del Sonno. Marco Fogliani

Scherzi Del Sonno - Marco  Fogliani


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o mi sbaglio?", gli chiesi.

      "In un certo senso … direi proprio di no. Sai: spesso nella vita per fare soldi ci vuole un po' di fortuna, come diceva il mio povero babbo che proprio di fortuna non ne ha mai avuta. Te lo ricordi mio padre? Un signore bassino e grassoccio, coi baffi. Portava sempre una buffa scoppoletta marrone, alla siciliana, perché si vergognava molto della sua pelata. E' morto cinque anni fa: forse ce l'hai presente."

      "Può essere … però di preciso in questo momento non saprei."

      "Ci tenevo a dirti quello che sto per dirti, perché so già cosa stai pensando. Chissà come si è fatto tutti quei soldi: rubando, o spacciando … o chissà come. E invece è tutto molto semplice anche se, mi rendo conto, piuttosto incredibile. E' stato mio padre."

      Fece una piccola pausa. Un'eredità, pensai; ma capii subito di essermi sbagliato.

      "Proprio lui che quando se n’è andato non ci ha lasciato niente, per colpa del suo maledetto vizio del gioco. Una notte, ormai sarà un mese fa, mi compare in sogno. Non mi dice niente: solo mi mostra dei numeri. Un sogno che mi è rimasto molto impresso: di solito non sogno mai, o almeno non ricordo cosa sogno. Figuriamoci mio padre! Il giorno dopo ho giocato quei tre numeri al lotto, su tutte le ruote. Era quello che voleva che facessi, non avevo dubbi. Indovina un po’: ho azzeccato il terno secco. E da allora è così ad ogni estrazione: lui viene in sogno la notte prima e mi svela i numeri giusti. Io il giorno dopo li gioco e vinco, sempre sulla stessa ruota. ”

      “Ma dai!”

      “Lo so che è incredibile, ma è proprio così. Pensa che anche la polizia ha fatto delle indagini su questa mia fortuna sospetta. Ipotizzano connivenze, corruzione: ma non potranno mai trovare niente semplicemente perché non c’è niente, se non mio padre che viene a suggerirmi in sogno. E non potranno certo arrestarlo o interrogarlo, visto che è morto."

      Per quanto dicesse, non riusciva minimamente ad attenuare la mia palese incredulità.

      "Non posso darti torto se non mi vuoi credere, ma vedrai che cambierai idea, come già hanno fatto tutti i miei amici. Ti dimostrerò che ho ragione. Vediamoci qui sabato mattina alle dieci e ti dirò due dei tre numeri da giocare."

      "Va bene", gli risposi: "così mi piace. E se farò ambo ti crederò pienamente." Gli strinsi la mano a suggellare questo accordo, in cui peraltro non avevo proprio nulla da perdere. "Ma dimmi un po': sabato potresti anche dirmeli tutti e tre i tuoi numeri: saresti più convincente."

      "No, no: non vorrei che mio padre ci rimanesse male. Essere generosi questo sì - in fondo da vivo lo era anche lui per quanto ci riusciva - ma di più vorrebbe dire essere ingrati. E poi è già troppo così, non è proprio il caso di mettermi ancora più in vista. Mi sono accorto di essere sorvegliato non solo dalla polizia. Di sicuro mi pedinano quando vado alla ricevitoria - sempre una diversa, per non dare nell'occhio - ma non posso farci niente. D'altronde, sai quanti vorrebbero essere al mio posto!"

      Più ripensavo a quell'incontro, e più la faccenda mi sembrava incredibile. Ne parlai anche a mia madre la quale, con mia sorpresa, ne era già informata. Un giorno aveva visto tutta quella gente al bar di Giulio … e poi glielo aveva confermato la portiera. Doveva esserne al corrente tutto il quartiere!

      "Non lasciarti trascinare nel gioco. Ricordati la fine che ha fatto suo padre", mi raccomandò.

      Io il lotto non sapevo quasi cosa fosse, eppure la faccenda mi incuriosiva. Il sabato successivo, a quell'appuntamento al bar, ci sarei andato di sicuro.

      Vedevo il profilo di Michele lì seduto davanti a me, e lo chiamavo.

      "Michele. Michele!"

      Ma lui non si girava e non rispondeva. Sembrava guardare con molta attenzione qualcosa di fronte a lui. Allora guardai anch'io da quella parte. Niente.

      "Michele!" Sembrava proprio non sentirmi. Ad un tratto si alzò, sempre più concentrato. Tornai a guardare di fronte a lui e stavolta vidi un signore basso, grassoccio, coi baffi e la scoppoletta in testa. Adesso me lo ricordavo bene suo padre: a ben pensarci l'avevo incontrato tante volte. Da un enorme mazzo di carte cominciò a sollevarne una, mostrandola. Quattordici. Poi un'altra: venticinque. Rimanevano sospese in aria, davanti a noi, mentre ne estraeva un'altra. Poi, con calma, un'altra ancora, stavolta a tre cifre: duecento e passa.

      "Questo non può essere un numero del lotto. Non arrivano a novanta?", chiesi a Michele. Ma lui era sparito. Tornai a guardare le carte e suo padre, adesso rivolto verso di me.

      "Questo numero è il più importante. Sono le ore che rimangono alla fine di tutto."

      O almeno così mi pare che abbia detto, perché poi non ricordo niente altro. Mi sono svegliato sudato e agitato, preso da chissà quale paura. Poi ho passato tutta la notte a cercare di ricordare e ricostruire i dettagli del sogno; di memorizzare i numeri; di capire cosa mi avesse detto esattamente il padre di Michele - l'unica immagine confermata da ricordi della vita reale, insieme a suo figlio, e perciò rimasta veramente nitida dal sogno.

      Ma soprattutto a meditare su che senso avesse tutto ciò. La fine di cosa? Di chi? Avevo avuto l'impressione che l'ultimo numero fosse destinato solo a me e non, come gli altri, a Michele. Era vero? A quanti giorni corrispondevano le duecento e passa ore?

      Così non aspettai sabato per cercare Michele. La mattina dopo, mercoledì, avvisai l'ufficio che avrei tardato e mi recai al solito bar, sicuro di trovarci, se non lui, almeno sue notizie. Mentre chiedevo a Giulio ("A quest'ora lo trovi sicuramente nella sala flipper", mi rispose), notai dietro la cassa una lavagnetta con sopra scritto "I numeri fortunati di oggi sono: 25 e 72".

      "E' stato lui a darti questi numeri?", gli chiesi.

      "Naturalmente. E puoi giurarci che li giocherò. Ultimamente non ne sbaglia uno."

      Trovai effettivamente Michele impegnato in una partita a flipper dal punteggio esorbitante. "Ciao. Volevo parlarti", gli dissi.

      "Aspetta due minuti che finisco la partita. Sto per battere il record."

      Ne aspettai almeno dieci di minuti, dopodiché, seccato, gli dissi:

      "Volevo solo farti sapere che stasera, oltre ai tuoi due numeri fortunati, giocherò il quattordici."

      A queste parole, Michele rimase come di sasso per qualche istante, tanto che la pallina scivolò nella buca. Poco male, pensai, tanto aveva già battuto il suo record.

      "Bravo", mi disse appena si fu ripreso. "Potrebbe essere il numero giusto. Hai una probabilità su novanta di indovinare."

      "Una su ottantotto", precisai. "Ma anch'io mi sento sicuro. Me l'ha suggerito un uccellino."

      "Bene. Sono contento per te."

      "Sai, volevo anche dirti che ti credo già da ora, e che …"

      In quel momento mi sentii afferrare sotto il collo da una mano enorme. In effetti pochi istanti prima avevo visto entrare nella sala un omone gigantesco, ma non gli avevo dato peso.

      "Problemi? Quest'uomo ti sta dando fastidio?" chiese quella montagna umana a Michele senza mollare la presa.

      "No, no. E' tutto a posto", rispose Michele. Al che la presa si allentò e tornai a respirare liberamente. "L'unica cosa che non va è che oggi è mercoledì, e avresti dovuto venire alle sette. Mercoledì e sabato: ti sei già dimenticato?"

      Quello, imbarazzato, abbozzò qualche scusa.

      "Come vedi", riprese Michele rivolto a me "per sentirmi più sicuro ho assunto una guardia del corpo. Me la posso permettere, ormai. Ma soprattutto, la novità più importante è che ho firmato un contratto con un giornale specializzato, Amico Lotto. Forse lo conosci: si trova gratis in tutte le ricevitorie. Da sabato prossimo non avrò più bisogno di giocare per avere i soldi della vincita. Me li daranno loro in cambio dell'esclusiva. Io devo solo comunicare i miei numeri a questa loro persona, e impegnarmi a non dirli a nessun altro. Il contratto ha durata mensile, rinnovabile di volta in volta: quindi se anche i miei numeri non fossero vincenti, loro mi pagherebbero ugualmente fino alla fine del mese. Cosa ne dici: ho fatto bene?"

      "Penso


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