Scherzi Del Sonno. Marco Fogliani
sentivo molto debole, e davvero non l'avrei fatto se non fosse stato per mia madre, a cui non potevo neanche dire niente per non darle dispiacere.
Il bar di Giulio era di strada. Così per curiosità mi affacciai e chiesi di Michele; ma di lui nessuno sapeva niente. Non potei però fare a meno di notare quello che era scritto sulla lavagnetta dietro alla cassa: "I numeri fortunati di oggi sono tratti da Amico Lotto." Poi due numeri, di cui però soltanto uno era giusto. Strano, pensai lì per lì; ma in realtà, ripensando a quanto aveva detto Michele, tutto tornava perfettamente.
Per aumentare la vincita giocai i tre numeri su una sola ruota: quella di Roma, su cui avevo vinto la volta prima. Mi sembrava di ricordare che così faceva Michele: sempre la stessa ruota, anche se non mi aveva detto quale. E in effetti la scelta era quella giusta: azzeccai di nuovo il terno, stavolta con una vincita molto superiore. Peccato che, come scoprii solo dopo, per importi così elevati la procedura di riscossione era molto più lunga e complessa. Mia madre avrebbe dovuto aspettare e forse, senza di me, avere quei soldi le sarebbe stato molto più difficile.
Degli ultimi giorni "prima che tutto finisse" ho pochi ricordi, confusi e sbiaditi. Rimasi a casa per giorni sdraiato sul letto, debole e spento. Non trovavo differenze tra il giorno e la notte, passavo le ore sveglio e con la testa vuota, e i sogni venivano così, all'improvviso, continuando a portare l'assillo di un numero che diventava sempre più piccolo.
Ricordo solo mia madre che veniva a portarmi da mangiare, a implorarmi di farmi forza, nutrirmi, rimettermi in sesto. Ricordo di essermi opposto decisamente alla sua proposta di andare in ospedale per farmi le analisi prescritte. Avevo anche rimosso la mia intenzione di vedere uno psicologo.
Ricordo di aver chiesto a mia madre se la mia ragazza mi aveva cercato, e di aver ricevuto a questa domanda una risposta affermativa piena di amore e pietà materna, ma palesemente non veritiera. Non si fece vedere. Peggio per lei, pensavo: quando sarò morto verrà perseguitata dal rimorso.
Ricordo il mio medico nella mia stanza, e un'infermiera che armeggiava con le flebo e le mie braccia. La mia risposta agli stimoli esterni doveva essere pressoché nulla: quasi un vegetale. E anche i miei sogni mi coinvolgevano sempre meno. Il padre di Michele mi diede i suoi numeri un'altra volta, ma l'idea di giocarli non mi sfiorò nemmeno. Feci attenzione solo al quarto; e calcolai che era l'ultimo giorno. L'ultimo ricordo di quella specie di agonia furono tanti rintocchi di campane, a mezzogiorno o forse a mezzanotte. Nel sonno, il padre di Michele mi diceva che era tutto finito. Adesso lo zero era l'unico numero che mi perseguitava, che campeggiava enorme su tutti i manifesti pubblicitari della città. Tutti andavan dicendo che era tutto finito, e lo dicevano con gioia, festeggiando assieme e abbracciandosi come per un grande evento. Tutti tranne me. Mi sentivo un grande dolore che mi esplodeva dentro. Mi sentivo morire dalla paura, perché ero sicuro di essere in punto di morte. Da quel sogno non mi sarei più risvegliato: era il sonno eterno. E alla fine me ne ero così convinto e fatto una ragione, che mi tranquillizzai.
Non fu il sonno eterno, ma un sonno lungo sì. Dormii per quasi due giorni di fila, un sonno pesante, ristoratore e senza sogni. In quei due giorni recuperai tutto il sonno perso la settimana prima. Il mio colorito e il mio aspetto migliorarono in modo talmente rapido ed evidente che addirittura mia madre non si azzardò neanche a svegliarmi per darmi da mangiare.
Al mio risveglio mi sentivo meglio, avevo un appetito enorme ed ottenni senza fatica l'immediata liberazione dalle flebo. Davvero era tutto finito. Erano finiti gli incubi, la mia paura di morire ed i miei problemi fisici. Decisi anche che era tutto finito con la mia ex ragazza, e che doveva finire la mia assenza dall'ufficio e dalla vita normale.
Una volta riscossa la mia ultima vincita sarebbe tutto finito anche con il gioco del lotto. I sogni in cui il padre di Michele suggeriva i numeri vincenti erano terminati. Volli aspettare una settimana per averne la certezza, avuta la quale raccontai a mia madre l'incredibile storia all'origine dei miei trascorsi malanni.
"Adesso una cosa posso dirtela anch'io", mi confessò dopo aver ascoltato il mio racconto. "Prima avevo paura a parlartene: temevo che potessi avere una ricaduta, un altro dispiacere dopo quello dalla tua ragazza. Sai il tuo amico Michele, poverino? Ha fatto una brutta fine. L'hanno ammazzato, sembra. Forse una rapina, o forse, come sostiene la portiera, qualcun altro con cui era coinvolto in un giro di truffe proprio al lotto. E' successo mercoledì verso mezzanotte, proprio quando tu hai cominciato a riprenderti e a dormire bene."
Solo un’altra volta rividi Michele insieme a suo padre. Stranamente somiglianti, erano tutti e due sorridenti e sembravano felici.
"Hai visto che tutto è finito proprio quando dicevo io?”, mi disse il padre. “Ma era solo una faccenda tra me e mio figlio: non avresti dovuto prendertela tanto. Non se l'è presa neanche lui, che pure era ancora così giovane. E pensare che l'ultima volta gli ho anche dato i numeri sbagliati!"
Sempre sorridendo si allontanarono, uscendo per sempre dalla mia vita.
IL SONNO PERDUTO
Mi ero preparato per la notte, pigiamino e poi sotto le coperte, come se si trattasse di una notte normale. Avevo fatto finta di dimenticare che erano già tre notti che passavo insonni: eppure ormai l’esame l’avevo sostenuto e per giunta con un buon risultato. Niente. Non so per quanto tempo mi girai e mi rigirai nel letto, finché decisi di alzarmi. Cominciai a fare qualche giro della casa, mi preparai una camomilla e pensai a cosa altro potevo escogitare per riuscire ad addormentarmi.
La notte prima l’avevo passata soprattutto con internet: dopo giorni se non settimane di prigionia nello studio della stessa materia, era stato eccitante navigare da un argomento all’altro a briglia sciolta, sentendomi libero di spaziare e di vagare per il mondo del sapere e del frivolo. Ma farlo tutte le sere sarebbe stato troppo costoso; e poi adesso il mio obiettivo non era più lo svago, ma il sonno. Perciò optai per la televisione.
Facendo zip tra un canale e l’altro trovai delle lezioni universitarie, forse di ingegneria o di fisica: non ci capivo niente. Lui era corpulento e con una folta barba grigio-scura, ma soprattutto aveva un tono di voce monòtono (o monotòno, come diceva lui) che mi sarei dovuto addormentare per forza. E invece niente, i miei occhi continuavano a rimanere irrimediabilmente aperti anche se non capivo un accidente ed il mio cervello era in catalessi.
Rifeci non so quanti giri di tutti i canali del televisore, fermandomi alla fine su una maga Isidra chiromante astrologa e non so che altro. Aveva un aspetto interessante, biondo rossastro tinto e trucco pesante ma soprattutto sguardo profondo e penetrante. La vista era il mio unico senso veramente sveglio, altrimenti mi sarei accorto subito che anche la sua voce penetrava in profondità. Quello sguardo risvegliò i miei pensieri. Avevo sempre trovato ridicole le televeggenti, ma adesso mi sembrava che una magia sarebbe stato un possibile modo per ritrovare il sonno. Cominciai ad ascoltarla e ne rimasi affascinato: nessuno poteva vedermi né sentirmi, ed allora perché non provare a chiamare il numero in sovraimpressione? Lo feci. Ma che stupidaggine, forse era una trasmissione registrata ed Isidra in realtà se la stava dormendo beatamente!
Ed invece no. Proprio in quel momento aveva terminato con l’ascoltatrice precedente, il suo telefono squillò ed al tempo stesso la vidi e la sentii rispondermi dal televisore e dalla cornetta. Altro che stereofonia ed effetti speciali: questa era proprio magia.
“Qual è il tuo problema, giovanotto?”
Era una vera maga: sapeva che ero un giovanotto senza che avessi pronunciato una sola parola!
“Mi scusi la banalità, ma da tre notti non riesco a dormire. Le ho provate tutte: Cosa posso fare?”
La magia del suo sguardo, che mi seguiva mentre mi spostavo da una parte all’altra del letto, sembrava perforare lo schermo.
“Quando perdi qualcosa, innanzitutto la vai a cercare dove pensi di averla persa, non è vero?” Io annuii, e lei proseguì. “Ora mi pare di capire che tu hai perduto il sonno, perciò dovresti sforzarti di pensare a dove potresti averlo perso, ed andarlo a recuperare. Se ti serve, fatti aiutare da qualcuno senza paura; ma non pensare che togliere il sonno a un altro possa aiutarti a ritrovare il tuo. Se proprio non dovessi riuscire a trovarlo