Scherzi Del Sonno. Marco Fogliani
chiacchierone del canale accanto, lui è l’unica persona a cui non devi dare retta, va bene?”
“D’accordo, se lo dice lei.”
“Non ho altro da dirti. Datti da fare subito senza perdere tempo, e buona fortuna.”
Ciò detto, riattaccò.
Spinto non dal desiderio di andare contro i suoi consigli ma dalla curiosità di verificare le sue facoltà di veggente, per prima cosa mi sintonizzai sul canale successivo. Qui alcune scatolette di pastiglie in primo piano erano accompagnate da una voce incessante che ne declamava le virtù e le lodi.
“... La soluzione di tutti i vostri mali. Mali d’amore; sfortuna al gioco; malesseri e problemi di salute che il vostro medico non riesce a comprendere; l’insonnia; e soprattutto il malocchio. Mali per cui dareste qualunque cosa per liberarvi. Basta una telefonata al numero che vedete...”
Era un signore dall’aria bonaria, di cui forse avrei potuto anche fidarmi senza il consiglio appena ricevuto. Lo trovai più freddo e superficiale della maga Isidra: mi bastò poco per decidermi a spegnere il televisore, vestirmi ed uscire per fare quello che dovevo fare.
La notte era fredda, quasi pungente. Seguendo il percorso dell’autobus, nell’illusione che prima o poi ne sarebbe passato uno, mi incamminai a piedi in direzione dell’università. Era lì che pensavo di andare. Il mio sonno l’avevo perso sullo studio, e forse l’avrei ritrovato chissà come in qualche aula, o in biblioteca o nella sala degli studenti.
Nella strada deserta vidi un poveraccio che frugava tra i cassoni dell’immondizia in cerca di chissà cosa. Mi ricordai del consiglio della maga, di farmi aiutare. Mi avvicinai - non troppo e con prudenza - e gli domandai: “Hai per caso trovato il mio sonno?”
Lui interruppe un attimo la sua ricerca, mi guardò qualche istante con aria più inespressiva che sorpresa e tornò alla sua ricerca.
Parecchio più avanti fui attratto da un’insegna pulsante che non avevo mai notato di giorno. Mi sembrava un indizio di altre persone deste. Man mano che mi avvicinavo ricevevo altre conferme del fatto che si trattava di un locale notturno: voci, odori fumosi e calore fuoriuscivano a zaffate dalla porta semichiusa, come uccellini da una gabbia aperta. Entrai. Su un palco un cabarettista si esibiva in uno spettacolo che doveva essere molto divertente, a giudicare dai continui scrosci di risa del pubblico.
Chiesi alla guardarobiera se per caso lì c’era il mio sonno, ma lei mi rispose che senza il numerino non era autorizzata a darmi nulla. Si avvicinò un signore elegante che sembrava il gestore del locale e chiesi anche a lui se aveva trovato il mio sonno. Ridacchiò divertito e mi rispose: “Aspetti un attimo, vado a informarmi se non l’abbia trovato qualcun altro”. Si avvicinò al palco e, dopo uno scroscio di risa, disse al cabarettista qualcosa a bassa voce. Lo spettacolo proseguì con una raffica di battute improvvisate sulla mia richiesta e sull’insonnia in genere. “Qualcuno ha trovato il sonno di quel signore? Si, dice che ha perso il sonno ed è venuto a cercarlo qui! Ma non vede che siamo tutti svegli? Tenetevelo stretto il vostro sonno, signori miei: ai giorni nostri, con questa delinquenza, non si sa mai cosa può succedere. A proposito di insonnia;...”
Il gestore nel frattempo era tornato da me. “Mi dispiace, sembra che nessuno dei presenti l’abbia visto. Comunque, visto che si trova qui ed è sveglio, se vuole può accomodarsi a quel tavolo laggiù. Dopo questo spettacolo ne abbiamo un altro con due ballerine tutte da vedere.”
Lo ringraziai, ma avevo cose più importanti da fare e ripresi la mia strada.
Proprio nel mentre passava un autobus. Lo rincorsi e lo presi al volo. A bordo non c’era nessuno a parte l’autista, che ringraziai perché mi era sembrato avesse indugiato alla fermata per farsi raggiungere. Attaccai bottone con lui nonostante un grosso cartello dicesse che era vietato, e scoprii con piacere che egli era più loquace di me.
“Sa, già non è bello guidare un autobus di notte, ma portare a spasso un autobus vuoto è davvero deprimente. Le dico questo perché lei mi sembra una brava persona, perché non ho con me una lira né un oggetto di valore e perché sull’autobus c’è un nuovo sistema di sicurezza collegato direttamente con la polizia. Altrimenti mi guarderei bene dal parlare con chiunque.”
“Sa cosa le dico? Io non riesco proprio a dormire. Forse lei quando fa i turni di notte ha lo stesso problema, e magari conosce qualche rimedio sicuro. Non ha qualche consiglio da darmi?”
“Tutto quello che posso dirle è che nulla favorisce il sonno come l’amore. Cosa dico amore: il sesso. L’amore, al contrario, spesso non fa dormire, specie se non è corrisposto. Guardi, su questa strada ci sono tante belle fanciulle che potrebbero farla sognare per un prezzo non eccessivo. Vuole che mi accosti?”
L’università era vicina. Dovevo provarle tutte. “Si, grazie. Proverò il suo consiglio.”
Vicino ad un piccolo falò due ragazze vestite succintamente mostravano in maniera provocatoria le loro bellezze.
“C’è qualcosa che possiamo fare per te, giovanotto?”
“Beh, io non riesco proprio a dormire stanotte. Non so se potete aiutarmi.”
“Cosa? Tu vieni da noi perché vuoi dormire? Questo è un insulto bello e buono. Vattene al diavolo, va', e non farti più vedere da queste parti.” Aggiunsero a queste parole alcune espressioni colorite e poco fini, alcune per me assolutamente nuove o incomprensibili, in diversi dialetti e lingue.
Arrivai all’università. Come non averci pensato prima! L’ingresso alla facoltà era ovviamente sbarrato, e per quanto cercassi varchi perlustrando tutte le finestre e le porte secondarie, non riuscii a trovare nessun appiglio per entrare.
Vicino alla porta dormiva un barbone, il solito barbone. Rinunciai alla tentazione di svegliarlo per chiedergli qualcosa: sarei tornato l’indomani mattina coi cancelli aperti, per riprendere la ricerca.
Tornai verso casa lentamente, riflettendo. Ebbi modo di apprezzare alcuni angoli della mia città come non li avevo mai visti, nel silenzio della notte e nella ovattata atmosfera notturna. Mi soffermai in particolare sul ponte a guardare il fiume, increspato dal vento e con gli argentei riflessi della luna. Ogni pensiero sparì dalla mia mente e fui invaso da una grande pace e serenità.
Ero in questo stato d’animo quando mi sentii chiamare da una voce femminile. Era un volto giovane e grazioso che emanava una luce ed una bellezza che uguagliavano quelle lunari. Era infagottata in un cappottone pesante, le cui spalline con bordini colorati mi fecero pensare a qualche associazione di volontariato. Ripensai alle altre ragazze che avevo incontrato quella sera e meditai su come l’abbigliamento succinto non abbia niente a che fare con la bellezza.
“Ehi, che fai? Non avrai mica intenzione di buttarti giù dal ponte, giovane come sei!”
“No, no. Stavo solo ammirando il panorama e meditando. Stanotte non riesco a dormire. Ho perduto una cosa molto importante che non riesco a ritrovare.”
“E ti è caduta nel fiume?”
“No, questo penso proprio di no. Anche se non ho proprio idea di dove sia.”
“Senti, ripensa un po’ all’ultima volta che l’hai vista, o che l’hai utilizzata. O all’ultima volta che ...”
Mi stava illuminando. Non era all’università l’ultima volta che mi ero imbattuto nel mio sonno, ma nella mia stanza da letto.
“Ora mi viene in mente. Deve essere a casa mia.”
“Andiamo subito a cercarla, allora.” Mi prese sotto braccio e fece per incamminarsi. “Da che parte? Mi guidi tu?”
Facemmo una deliziosa passeggiata notturna, a braccetto come vecchi amici. Non sembrava proprio che mi considerasse una persona bisognosa di aiuto. Mi raccontò tante cose di lei, ed io di me. La trovavo una ragazza adorabile: peccato, pensai, che avesse un marito e due figli piccoli. Strano, poi, che se ne andasse in giro così da sola di notte: ma in fondo era la stessa cosa che stavo facendo anch’io.
Finalmente