Le Regole Del Paradiso. Joey Gianvincenzi

Le Regole Del Paradiso - Joey Gianvincenzi


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sarebbe rimasta una fantasia lontana e irrealizzabile.

      Scese in cucina e si accorse di un bigliettino sul tavolo della cucina.

      Ti lascio un foglietto, devo scappare:

      il turno di oggi l’ho fatto stamattina

      perché devo sbrigare faccende urgenti.

      Grazie infinite tu sai per cosa.

      Ti auguro una buona giornata.

      Jolie.

      La sensazione di essere sola in casa, per tutto il pomeriggio, le provocò addosso una strana sensazione. Poteva fare quello che voleva senza essere vista.

      Si preparò al volo un’insalata di pollo, mais, olive e carote, poi si lavò i denti. Si guardò allo specchio e si accorse di avere le palpebre più allargate del solito: si rese conto d’essere tesa, il suo corpo era irrigidito e la mente non faceva altro che pensare al problema da risolvere. Stavolta c’era davvero il rischio di passare guai seri con Ashley; sarebbe stata disposta a tutto pur di non essere una sua vittima. Girando a vuoto per il salone, ad un certo punto, fissò il mobile di ciliegio che prendeva una parete intera e più precisamente guardò l’ultimo sportello in basso a destra.

      Aveva appena capito come procurarsi, senza problemi, i soldi che le servivano.

      * * *

      L'idea che le era venuta in mente non era delle migliori, ma l'urgenza della situazione la rendeva assolutamente necessaria.

      Arrivata davanti alla credenza fece un grande respiro, chiuse un attimo gli occhi e si pentì da subito per quello che stava facendo. Stava sacrificando la sua filosofia, il suo modo di pensare e di essere, ma non poteva andare diversamente. Un gran peso sullo stomaco le rendeva difficilissimi i passi che la separavano dallo sportello marroncino della credenza. Guardò la piccola chiave che avrebbe dovuto girare, l'afferrò con due dita e non appena iniziò la rotazione verso destra, lo scatto della piccola serratura sembrò amplificarsi di un milione di volte. Il mondo intero, sentendo quello scatto così forte, si girò verso di lei con occhi feroci incolpandola da subito: Jane Madison aveva perso ogni grammo di dignità, solo girando quella chiave.

      In casa regnava un sinistro silenzio che metteva paura. Tutto immobile, gli oggetti la guardavano e lei, a denti stretti, iniziò l'operazione: aprì lo sportello dell’armadio e infilò la mano cercando di schivare le due ventiquattrore del padre, alcuni raccoglitori di plastica nei quali teneva le bollette, un vaso, alcuni cd sparsi. Quando le sue dita toccarono la fredda superficie del salvadanaio di Gary cercò in tutti i modi di stringerlo e tirarlo a sé, ma era come intrappolato tra tutti gli altri oggetti che gli facevano da scudo. Forzò ancora di più, ma niente, sembrava cementificato. Si aiutò con l'altra mano e, serrando ancor di più la stretta, iniziò a fare forza fino a che riuscì finalmente a strappare via il salvadanaio del padre. Per la troppa foga, però, dal mobile scaraventò via anche tutti i documenti di Gary che si sparpagliarono disordinatamente a terra, il vaso si frantumò con un rumore sordo e anche il salvadanaio di coccio andò in mille pezzi liberando così centinaia di monete e decine di banconote.

      Jane cadde all'indietro e vide il disastro. Fortunatamente, pensò, a casa non c'era nessuno e avrebbe potuto riordinare tutto con calma; più che per la rapina al padre, il vero danno era aver distrutto il prezioso vaso a cui la bestia era particolarmente legata. Vedendo i suoi residui a terra si ricordò di un giorno, anni prima, in cui Gary l’aveva sgridata pesantemente per aver urtato senza volere il tavolo e aver fatto vacillare il suo oggetto preferito.

      â€œPrima che tu faccia altri danni, questo lo metto al sicuro” aveva detto lui nascondendo il vaso all'interno del mobile accanto al salvadanaio dove teneva i suoi risparmi. Non sapeva cosa inventarsi nel momento in cui Gary l'avrebbe scoperta.

      Solo al pensiero le vennero i brividi.

      Si sbrigò ad andare a prendere una busta dell’immondizia, ma passando davanti alla porta d’ingresso sentì girare una chiave dall'esterno e la porta, di scatto, si aprì.

      Diversamente da ogni sabato, il padre rientrò a casa.

      Con un incredibile anticipo.

      * * *

      â€œPapà!” esclamò sorpresa.

      â€œMi serve un numero!” sbraitò lui. Sembrava davvero indaffarato e frettoloso. Andò accanto al mobile su cui c’era il telefono di casa e, da un cassetto, tirò fuori un'agenda nera; la aprì e iniziò a cercare qualcosa di corsa, poi prese il cellulare e compose il numero che gli serviva.

      â€œCazzo, è inesistente! La stronza mi ha mentito!” gridò lui. Sbatté un pugno sul telefono e la cornetta cadde a terra per poi ciondolare a destra e a sinistra come un pendolo dai poteri ipnotici. Jane era immobile e pregava con tutta se stessa che andasse via in quel preciso istante. Mentre lui fissava la cornetta penzolante in cerca di una soluzione al suo urgente problema, Jane notò con terrore che un pezzo di vaso era a pochi centimetri dai suoi piedi. Staccò subito lo sguardo da lì e cercò d'intrattenere la bestia calpestando il piccolo frammento.

      â€œCos'è successo?” domandò con voce tremante cercando di distrarlo.

      â€œTi prego stai zitta! Ti prego, Jane non intrometterti, ci manchi solo tu!” disse lui alzando entrambe le mani in aria. Iniziò a gironzolare nell'atrio, si avvicinò alla porta d'ingresso e per un attimo Jane credette che se ne stesse andando, invece tornò indietro, fino alla sua agenda. Controllò altri numeri e ne chiamò un altro.

      â€œManca la cubista! Manca la cubista! Sto cercando il bigliettino con l'altro numero, ma non lo trovo” sbraitò a un suo collega.

      â€œNon doveva solo ballare! Lo sai che avrebbe dovuto intrattenere Rütger Hoffmann!”

      Gary cercava di stare calmo, ma proprio non ce la faceva. La cravatta sembrava strangolarlo tanto era rosso in faccia.

      Quando Ginger si attaccò al clacson chiamandolo, Jane la ringraziò con tutto il cuore. Mai prima di allora le aveva voluto così bene.

      â€œDai, sbrigati! Siamo in ritardo!” gridò lei con voce stridula.

      â€œArrivo, non suonare quel maledetto coso!” Gary prese l'agenda e la tirò a terra bestemmiando: dalle pagine ingiallite uscirono tre bigliettini bianchi. Gary guardandoli si accigliò e ne raccolse due. Li lesse e cercò di fare mente locale. No. Non erano quelli che cercava.

      Jane sapeva che la sua fine stava per arrivare.

      Il terzo bigliettino era finito accanto a un altro pezzetto di vaso che era sfuggito all’attenzione della ragazza.

      Gary si accucciò afferrando il biglietto e il residuo di coccio.

      â€œQuesto è il numero che cercavo”.

      Jane chiuse gli occhi.

      â€œMa questo cos'è?” tuonò la bestia mostrando a Jane il quadratino di ceramica.

      Gli occhi della bestia fulminarono quelli della ragazza ormai presa dal panico. In nessun angolo della sua anima era rimasto un solo briciolo di coraggio.

      Gary abbassò ancor di più la voce e disse: “Spero per te che tu non abbia rotto il…”

      Dall'espressione terrorizzata della figlia, la bestia capì. Con uno scatto si girò e con lunghe falcate raggiunse il salone; il pavimento ricoperto di cocci di ceramica e di soldi fu per lui una coltellata conficcata in petto. Con dolore e rabbia poté constatare che non solo era andato in frantumi il suo adorato vaso, ma anche il salvadanaio in cui metteva i suoi risparmi.

      Rimase ancora qualche manciata di secondi in quello stato di shock, fissava il pavimento e non disse nulla nemmeno quando Ginger riprese a suonare insistentemente


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