Contro Ogni Nemico . Джек Марс
sono sicuro che sarà la prima a dirtelo.”
Luke ebbe l’impulso di chiedere se stesse bene, ma si controllò. Non avrebbe dato a Don quel tipo di potere – sarebbe stato proprio quello che il vecchio voleva. Invece, tra loro si allungò un’altra pausa. I due uomini se ne stavano seduti nello spazio minuscolo, a fissarsi negli occhi. Alla fine Don ruppe il silenzio.
“Allora per chi stai lavorando, se non per l’SRT? Ho problemi a immaginarmi Luke Stone in vacanza per molto tempo.”
Luke si strinse nelle spalle. “Immagino che tu diresti che sono un freelancer, ma ho un solo cliente. Lavoro direttamente per la presidente, nelle rare occasioni in cui mi chiama. Come ha fatto oggi, per chiedermi di venire qui a vederti.”
Don sollevò un sopracciglio. “Un freelancer? Ti pagano ancora il tuo stipendio e i benefit?”
“Mi hanno dato un aumento,” disse Luke. “Anzi, penso che mi abbiano dato il tuo vecchio stipendio.”
“Sprechi del governo,” disse Don assumendo il suo personaggio da amministratore dell’agenzia e scuotendo la testa. “Però ti si adatta bene. Non sei mai stato il tipo dal lunedì al venerdì.”
Luke non rispose. Dal suo punto di vista, riusciva a vedere ciò che offriva la finestra. Nulla – il muro di calcestruzzo di un’altra ala dell’edificio, con un frammento di cielo scuro visibile sopra.
Era un progetto insidioso. Il complesso si trovava sulle Montagne Rocciose – quando Luke quella notte era arrivato, oltre le torri di guardia e il cemento e il filo spinato, era rimasto sconvolto dalla vista degli alti picchi che circondavano il posto. L’aria era fredda e le montagne erano leggermente spruzzate della prima neve. Persino di notte si poteva dire che quel luogo era bellissimo.
I prigionieri non lo vedevano mai. Luke ci avrebbe scommesso cinque dollari che ogni cella di quella prigione aveva la stessa vista di qualunque altra – un muro vuoto.
“Allora, che cosa vuoi, Don? Susan mi ha detto che hai un’informazione che non vedi l’ora di condividere, ma solo con me. In questo momento ho molte cose di cui occuparmi nella mia vita, ma sono venuto qui perché è mio dovere. Non sono sicuro di come hai ottenuto quest’informazione, date le tue circostanze attuali…”
Don sorrise. I suoi occhi erano completamente separati da qualunque emozione la sua bocca cercasse di trasmettere. Sembravano gli occhi di un alieno, simili a quelli di una lucertola, privi di empatia, di preoccupazione, persino di interesse. Gli occhi di una cosa che potrebbe mangiarti o sfuggirti, ma senza sentire nulla nel farlo.
“Ci sono degli uomini molto intelligenti qui,” disse. “Non crederesti mai a quanto sia intricato il sistema di comunicazione tra i prigionieri. Mi piacerebbe descrivertelo – penso che ne saresti affascinato – ma non voglio neanche mettere a rischio il sistema o me stesso. Ti farò un esempio di ciò che sto dicendo, però. Hai sentito l’uomo che prima urlava?”
“Sì,” disse Luke. “Non ho capito di cosa si trattasse. Le guardie mi hanno detto che è impazzito…” La voce gli si spense.
Ma certo. L’uomo aveva detto qualcosa, se si avevano orecchie per intendere.
“Esatto,” disse Don. “Il banditore. È così che lo chiamo. Non è l’unico, e quello non è l’unico metodo. Proprio per niente.”
“Allora, che cos’hai?” disse Luke.
“C’è una trama,” disse Don, la voce che si era trasformata a poco più di un sussurro. “Come sai, molti degli uomini di qui sono affiliati alle reti terroristiche. Hanno i loro modi di comunicare. Quello che ho sentito io è che in Belgio c’è un gruppo che sta prendendo di mira le vecchie testate nucleari della Guerra fredda immagazzinate lì. Le testate sono poco seguite su una base NATO belga. La sicurezza è una sciocchezza. I terroristi, non so per certo chi, cercheranno di rubare una testata, o forse un missile, o più di uno.”
Luke ci pensò per un attimo. “A cosa servirebbe? Senza i codici nucleari le testate non sono neanche operative. Devono saperlo. È come rischiare la vita per rubare un fermacarte gigante.”
“Io presumerei che i codici li abbiano,” disse Don. “O hanno accesso ai codici stessi, o hanno scoperto un modo di generarli.”
Luke lo fissò. “Non hanno modo di lanciare una testata. Senza un sistema di consegna, non genereranno mai l’energia per l’esplosione. Qui non siamo mica su Bugs Bunny. Non si può mica prendere a martellate quelle cose.”
Don fece spallucce. “Credi quello che vuoi credere, Luke. Tutto ciò che ti sto dicendo è quello che ho sentito.”
“È tutto?” disse Luke.
“Sì.”
“Allora perché hai scelto di dirlo? Se qualcuno scopre che stai passando i segreti che senti qui… be’, immagino che comunicare non sia l’unica cosa che questi qui sanno fare.”
Adesso per il viso di Don passò la rabbia, come una breve burrasca estiva in alto mare. Tutto si fece oscuro per un momento, la tempesta apparve, poi passò. Fece un respiro profondo, apparentemente per calmarsi.
“Perché non dovrei condividere l’informazione che ho? Temo che tu mi abbia capito male, Luke. Io sono un patriota, tanto quanto te, se non di più. Rischiavo la vita per gli Stati Uniti prima ancora che tu nascessi. Ho fatto quello che ho fatto perché amo il mio paese, e non per altre ragioni. Non tutti sono d’accordo sul fatto che fosse la cosa giusta da fare, ed è per questo che sono qui dentro. Però ti prego di non mettere in questione la mia fedeltà, né il mio coraggio. Non c’è uomo in questo complesso che mi intimidisca, te incluso.”
Luke era ancora scettico. “E non vuoi niente in cambio?”
Don non disse nulla per un lungo momento. Fece un cenno alla scrivania disordinata. Poi sorrise. Non c’era allegria in quel sorriso.
“Sì che voglio qualcosa. Non è molto da chiedere.” Fece una pausa, e guardò la minuscola cella. “Non mi dispiace stare qui, Luke. Alcuni uomini impazziscono davvero – la gente illetterata. Non hanno accesso alla vita della mente. Ma io sì. A te pare che io sia chiuso a chiave dietro a muri di calcestruzzo, ma per me è quasi come essere in anno sabbatico. Correvo da quarant’anni filati, senza la possibilità di prendermi una pausa. Queste mura non mi imprigionano. Ho vissuto una vita che basta a una dozzina di uomini, ed è tutta quanta ancora quassù.”
Si fece tamburellare le dita sulla fronte.
“Sto pensando ai vecchi tempi, alle vecchie missioni. Ho cominciato a lavorare alle mie memorie. Penso che un giorno saranno una lettura affascinante.”
Si fermò. Uno sguardo distante gli entrò negli occhi. Fissò il muro, ma stava guardando qualcos’altro. “Ricordi i tempi alla Delta, quando ci hanno mandato nel Congo dopo che il signore della guerra si è incoronato principe Joseph? Quello con i soldati bambini? L’esercito del paradiso.”
Luke annuì. “Me lo ricordo. I pezzi grossi del JSOC non volevano che tu ci andassi. Pensavano…”
“Che fossi troppo vecchio. È vero. Ma sono andato lo stesso. E stiamo scesi lì di notte, io, te, chi altro? Simpson…”
“Montgomery,” disse Luke. “Un paio di altri.”
Gli occhi di Don erano molto vivi. “Giusto. Il pilota ha combinato un macello e ci ha buttati nel fiume, in uno degli affluenti. Siamo tutti precipitati in acqua con addosso diciotto chili di zaino.”
“Non mi piace pensarci,” disse Luke. “Ho sparato a quel rinoceronte.”
Don lo indicò. “Giusto. Me n’ero dimenticato. Il rinoceronte ci ha caricati. Riesco ancora a vederlo sotto la luce della luna. Però ci siamo arrampicati fuori, zuppi, e abbiamo squarciato la gola di quel bastardo sanguinario – gli abbiamo decapitato tutta la squadra con un solo rapido e decisivo colpo. E non abbiamo torto un capello a nessuno dei bambini. Sono stato orgoglioso dei miei uomini, quella notte. Sono stato orgoglioso di essere americano.”