Contro Ogni Nemico . Джек Марс

Contro Ogni Nemico  - Джек Марс


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di fronte.

      La scrivania era piena di carte, qualche libro e quattro o cinque tozze matite come quelle che usano i giocatori di golf per tenere il punteggio. Come la scrivania, il letto era stretto e fatto di pietra. Lo copriva un sottile materasso, e c’era una coperta verde che sembrava fatta di serge di lana, o di un materiale ugualmente irritante. C’era una stretta finestra sulla parete in fondo, con una cornice verde alta forse sessanta centimetri e larga quindici. Fuori dalla finestra era buio, tranne che per una malaticcia luce gialla che si diffondeva nella cella da una vicina lampada ad arco al sodio montata sul muro esterno. Non c’era modo di coprire la finestra.

      Il prigioniero era in piedi, in una tuta arancione, l’ampia schiena che dava loro le spalle.

      “Morris,” disse la guardia. “C’è il tuo visitatore. Fammi il favore di non ucciderlo.”

      Don Morris, ex colonnello dell’esercito degli Stati Uniti e comandante della Delta Force, fondatore ed ex direttore dello Special Response Team dell’FBI, si voltò lentamente. Il suo viso sembrava più rugoso di prima e i capelli sale e pepe erano diventati totalmente bianchi. Ma gli occhi erano profondi, acuti e attenti, e il petto, le braccia, le gambe e le spalle sembravano più forti che mai.

      La sua bocca fece una specie di sorriso, che però non raggiunse gli occhi.

      “Luke,” disse. “Grazie di essere venuto. Benvenuto a casa mia. Ventisei metri quadrati, approssimativamente due e venti per tre e sessanta.”

      “Ciao, Don,” disse Luke. “Mi piace proprio come hai sistemato questo posto.”

      “Ultima occasione di cambiare idea,” disse una delle guardie alle sue spalle.

      Luke scosse la testa. “Penso che starò bene.”

      Gli occhi di Don caddero sulle guardie. “Lo sapete chi è quest’uomo, vero?”

      “Lo sappiamo. Sì.”

      “Allora presumo,” disse Don, “che possiate immaginare quanto poco pericolo io rappresenti per lui.”

      La porta si chiuse sferragliando. Luke provò qualcosa, mentre si fissavano attraverso la cella – avrebbe potuto chiamarla nostalgia. Don era stato il suo comandante e il suo mentore alla Delta. Quando Don aveva avviato lo Special Response Team, aveva assunto Luke come primo agente. In molti modi, e per più di dieci anni, Don era stato come un padre per lui.

      Ma ormai non più. Don era stato uno dei cospiratori del complotto per uccidere il presidente degli Stati Uniti e rovesciare il governo. Era stato connivente nel rapimento della moglie e del figlio di Luke. Aveva saputo in anticipo della bomba che aveva ucciso più di trecento persone a Mount Weather. Davanti a Don si stagliava la pena di morte, e Luke non riusciva a pensare a una persona che più meritasse quel destino.

      I due si strinsero la mano, e Don mise una mano sulla spalla di Luke, solo per un secondo. Era il gesto imbarazzante di un uomo ormai non più abituato al contatto umano. Luke sapeva che i prigionieri del Supermax raramente toccavano altri esseri umani.

      “Grazie di tutte le visite che hai fatto e delle lettere che hai mandato,” disse Don. “È stato di conforto sapere che il mio benessere è una tale priorità per te.”

      Luke scosse la testa. Quasi sorrise. “Don, fino a ieri pomeriggio non sapevo neanche dove ti tenessero. E non me ne importava niente. Poteva anche essere un buco per terra. Poteva essere sul fondo di Mount Weather.”

      Don annuì. “Quando perdi, con te possono farci tutto quello che vogliono.”

      “Ampliamente meritato, in questo caso.”

      Don fece un cenno al piolo di pietra che spuntava come un fungo dal pavimento. “Perché non ti accomodi?”

      “Resto in piedi. Grazie.”

      Don fissò Luke, la testa gli si inclinò interrogativamente di lato. “Non ho da offrire molta ospitalità, Luke. È tutto qua.”

      “Perché dovrei accettare la tua ospitalità, Don?”

      Gli occhi di Don non si voltarono da un’altra parte. “Scherzi? Per i vecchi tempi. Come gesto di ringraziamento per averti fatto da mentore nella Delta e per averti dato il tuo lavoro attuale. Pensa a una ragione, figliolo.”

      “Esattamente quello che dico io, Don. Quando penso a te, penso a mio figlio, e a mia moglie, che tu hai rapito.”

      Don sollevò le mani. “Io non c’entravo niente. Te lo giuro. Se fosse stato per me, non avrei mai permesso che venisse fatto del male a Gunner o Becca. Sono come il mio sangue, come la mia famiglia. Ti avevo avvertito perché volevo proteggerli, Luke. L’ho scoperto dopo che era già accaduto. Mi dispiace che sia successo. Non c’è nulla nella mia lunga carriera che rimpianga di più.”

      Luke scrutò gli occhi di Don, il suo linguaggio del corpo, in cerca di… qualcosa. Stava mentendo? Stava dicendo la verità? Che cosa credeva, poi, Don? Chi era quell’uomo, a cui Luke un tempo pensava di voler bene?

      Luke sospirò. Avrebbe accettato l’esigua ospitalità dell’uomo. Quello gliel’avrebbe dato, e quella notte se ne sarebbe rimasto sveglio a letto a chiedersi perché mai l’avesse fatto.

      Si accovacciò sulla bassa pietra.

      Don sedette sul letto. Tra loro si allungò una pausa. Non c’era nulla di bello.

      “Come va l’SRT?” disse alla fine Don. “Immagino che abbiano fatto direttore te, no?”

      “Me l’hanno chiesto, ma io ho rifiutato. L’SRT è finito, disperso al vento. La maggior parte degli agenti è stata riassorbita dal Bureau vero e proprio. Ed Newsam è alla squadra di recupero ostaggi. Mark Swann è andato all’NSA. Io mi tengo parecchio in contatto con loro – li prendo in prestito per un’operazione di tanto in tanto.”

      Luke vide un flash di qualcosa negli occhi di Don, che scomparve quasi prima di palesarsi. Il suo bambino, lo Special Response Team dell’FBI, il culmine del lavoro di una vita, era stato smantellato. Non l’aveva saputo? Luke presumeva di no.

      “Trudy Wellington è scomparsa,” disse Luke.

      Negli occhi di Don apparve qualcos’altro, che stavolta rimase lì. Se indugiava, voleva dire che Don voleva che lui lo vedesse. Luke non capiva se si trattasse di un’emozione, di un ricordo o di un’informazione. Era bravo a leggere la gente, ma Don era una vecchia spia. La sua mente e il suo cuore erano libri chiusi.

      “Tu non ne sai niente, vero, Don?”

      Don si strinse nelle spalle, offrì un mezzo sorriso. “La Trudy che conoscevo era molto intelligente. Teneva le antenne belle alte. Se devo tirare a indovinare, dico che ha sentito un brontolio distante che l’ha infastidita, e che è scappata prima che si avvicinasse.”

      “Le hai parlato?”

      Don non rispose.

      “Don, non ha senso pensare di ostacolarmi. Posso fare una telefonata e scoprire con chi hai parlato, chi ti ha scritto e che cosa c’era nella lettera. Non hai privacy. Hai parlato con Trudy o no?”

      “Sì, ci ho parlato.”

      “E cosa le hai detto?” disse Luke.

      “Le ho detto che la sua vita era in pericolo.”

      “Sulla base di cosa?”

      Don guardò il soffitto per un momento. “Luke, tu sai quel che sai, e va bene così. E poi non sai quello che non sai. Se hai dei limiti, sicuramente questo è uno. Quello che non sai in questo caso, perché non ti interessi di politica, è che c’è una guerra silenziosa in corso dietro le quinte da sei mesi. L’attentato a Mount Weather? Quella notte sono morte molte persone di alto profilo. E molte persone di basso profilo sono morte da allora. Direi almeno tante quante ne sono morte nell’attentato originale. Trudy non era coinvolta nel complotto contro Thomas Hayes, ma non tutti ci credono. C’è gente là fuori che va a caccia della retribuzione.”

      “Quindi


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