Una Amore come il Loro . Sophie Love

Una Amore come il Loro  - Sophie Love


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la baciò per ringraziarla e uscì dalla stanza. Keira si accasciò a sedere sul letto, già esausta. Non sarebbe stato facile. Avrebbe dovuto trovare un nuovo appartamento il prima possibile. Tipo tornando indietro nel passato.

      Ma quello dipendeva dalla caparra del vecchio appartamento che Zach doveva restituirle. Non avrebbe voluto mettersi in contatto con lui, ma era chiaramente il minore tra i due mali in quella particolare situazione. Prese il cellulare e spedì un messaggio.

      Novità sulla caparra? K.

      Avventatamente aggiunse una x, un bacio, alla fine. Adulare Zach non era qualcosa che le piaceva fare, ma se significava che avrebbe riavuto indietro la sua caparra ne valeva la pena.

      Sbirciò fuori dalla camera da letto verso la zona del soggiorno. Le tapparelle erano abbassate e la stanza era buia. Gli unici suoni erano la doccia in fondo al corridoio e il rumoroso russare di Bryn. Per fortuna neanche Cristiano l’aveva svegliata superandola.

      Ma lei iniziò a spazientirsi. Cristiano ci stava mettendo troppo tempo! Controllò l’orologio e vide che i suoi vestiti nella lavanderia automatica avrebbero raggiunto presto la fine del ciclo. Decise di recuperarli, piuttosto che correre il rischio che qualcuno glieli rubasse nel momento in cui la porta della macchina si fosse aperta. Anche alle sette e mezza della domenica mattina non si poteva mai abbassare la guardia!

      Uscì di nuovo dall’appartamento e corse fino alla lavanderia. Dentro c’erano un paio di persone, entrambe donne di mezza età dall’aria organizzata che chiaramente stavano tentando di evitare la fila. Keira radunò i suoi vestiti caldi e umidi. Non aveva abbastanza monete per l’asciugatrice quindi avrebbe dovuto appenderli nell’appartamento di Bryn.

      Uscì, riprendendo la strada per tornare a casa. Era davvero bello sbrigare di nuovo le normali faccende, tornare a essere una persona semplice piuttosto che una scrittrice di viaggio in un’eccitante paese straniero. A quanto pareva anche una cosa buona poteva finire per stancare.

      Il telefono le vibrò in tasca proprio mentre iniziava a salire le scale per l’appartamento. Era un messaggio di Zach. Si morse il labbro per l’anticipazione e lesse quel che le aveva scritto.

      Bon jour, Keira! Sono in Francia per lavoro. Una conferenza di una settimana che inizierà domani! Possiamo parlare di soldi quando sarò tornato?

      Sospirò per le frustrazione. Sarebbe passata un’altra settimana prima che ne parlassero di nuovo, non che capisse che cos’altro ci fosse da dire! Avrebbe semplicemente dovuto trasferirle la sua quota di denaro nel conto in banca, ma ovviamente non aveva intenzione di renderle le cose facili.

      Con lo sguardo ancora sul cellulare, Keira entrò a casa di Bryn. Fu immediatamente sorpresa dal suono di risate, e alzò gli occhi.

      Era cambiato tutto. Le tapparelle erano alzate, le luci accese, la macchina del caffè ribolliva e Bryn era in cucina, sembrando fin troppo sveglia per qualcuno che aveva passato l’ultima giornata a bere. Seduto con la schiena appoggiata al bancone c’era Cristiano, con il torso nudo rilucente di gocce d’acqua, solamente un asciugamano legato attorno alla vita per proteggere la sua modestia.

      “Che sta succedendo?” gridò, sorpresa.

      Bryn le lanciò un’occhiata e fece una smorfia, divertita dal tono paranoico di Keira. “Sto facendo il caffè,” disse, affermando l’ovvio. “Dove sei stata?”

      “Sono andata alla lavanderia a gettoni,” disse Keira, sollevando la pesante busta piena di vestiti bagnati. “Sono stata via solo due minuti.”

      Due minuti, chiaramente, era quanto serviva a Bryn per cogliere l’occasione di godere della visione del corpo muscoloso di Cristiano.

      “Tesoro,” disse con risolutezza Keira, guardandolo. “Faremmo meglio a rivestirci. Dobbiamo andare.”

      “Abbiamo tempo per un caffè, non è vero?” chiese. “Mentre metti i vestiti ad asciugare?”

      Keira lasciò cadere la busta per terra, con noncuranza, e cercò di sembrare allegra mentre gli si avvicinava e lo spingeva per una spalla verso la camera da letto.

      “Ma voglio portarti nel miglior bar di New York,” disse lei. “Quantità limitate, appena macinato. Molto più buono del caffè di Bryn fatto con la macchinetta.”

      “Oh… oh, okay…” disse Cristiano, senza fare resistenza. “Ma… i tuoi vestiti?”

      Mentre lo guidava verso la sicurezza della sua camera da letto, Keira lanciò un’occhiata verso la sorella al di sopra della spalla. Lei li stava guardando, sogghignando, divertita dalla sua fuga frettolosa. Keira le fece una smorfia severa, uno sguardo di avvertimento che diceva esplicitamente di lasciare in pace Cristiano.

      “Posso stendere io i tuoi vestiti,” disse Bryn con un sorriso dolce e consapevole.

      “Grazie,” rispose secca Keira.

      Stava per chiudere la porta, ma Bryn non aveva finito.

      “Cara, se pensi che io sia un problema,” e ridacchiò, “aspetta di averlo portato là fuori. ” Indicò la finestra. “Troverai molto peggio di me. Fidati.”

      Irrigidendosi, Keira chiuse la porta.

      CAPITOLO QUATTRO

      La loro prima fermata fu nell’Upper West Side, dove presero bagel e caffè da mangiare nel cammino. Fu ben diverso dai lunghi pasti lenti che si erano goduti in Italia, ma Keira voleva che Cristiano si facesse davvero un’idea di come fosse la vita a New York.

      “Quindi questo è il miglior caffè di New York, giusto?” chiese Cristiano, sorseggiandolo dalla tazza di plastica e valutandolo con attenzione. Non sembrava convinto.

      “Oh, sì, il migliore,” ribadì Keira, ricordando la bugia che le era sfuggita quella mattina. Era buono ma non era quello in quantità limitate e appena macinato che gli aveva promesso. “Per me, in ogni caso.”

      Lui si limitò ad alzare le spalle.

      Passeggiarono mano nella mano lungo il marciapiede, diretti verso il fiume Hudson. Keira era estremamente consapevole della quantità di sguardi che Cristiano attirava. Sapeva che c’era una discrepanza tra la loro bellezza fisica, ma tornata a New York si sentiva ancora di più banale, perché lì Cristiano era più che un bell’uomo, era una bestia rara. Bryn aveva avuto ragione. C’era molto peggio di lei in città. Averlo lì sarebbe stato estenuante.

      “Che cosa pensi di mia sorella?” chiese all’uomo.

      Cristiano scoppiò a ridere. “È interessante.”

      “Interessante in che senso?”

      Ci fu una pausa, durante la quale Cristiano cercò con palese cura le sue parole seguenti. Alla fine si decise per: “Pazza,” in italiano.

      “Che cosa significa?” volle sapere lei, mentre la sua mente evocava ogni genere di possibilità: bellissima, splendida, attraente, affascinante.

      “Matta,” spiegò Cristiano.

      Keira scoppiò a ridere. Era un sollievo sentirgli dire una cosa del genere. A meno che non avesse un debole segreto per la follia, probabilmente era al sicuro. Da Bryn, per lo meno. Doveva ugualmente fare i conti con il resto della popolazione femminile di New York.

      Attraversarono il Riverside Park, guardando il fiume scenografico, e poi si diressero verso Central Park. Dato che Cristiano lo aveva notato dall’alto quando erano arrivati in aereo, Keira aveva immaginato che gli sarebbe piaciuto vederlo da terra.

      “È incredibile,” disse lui, studiando i grattacieli in lontananza che li circondavano. “Non sembra vero.”

      Keira sorrise, ripensando di aver detto cose molto simili a proposito dell’Italia. Era bello vederlo tanto affascinato dalla sua città, e così meravigliato da scorci che lei aveva dimenticato di apprezzare.

      Si diressero a est, verso il Metropolitan


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