Mare Di Amarezze. Charley Brindley
M’infilai sotto le sue ascelle, mi rigirai e gli mollai un forte pugno sulle reni.
Nel frattempo, il primo uomo si era rialzato dal marciapiede e ora veniva verso di me brandendo un coltello. Mi sorrise, facendolo danzare davanti ai miei occhi.
Ok, posso farcela con quella lama.
Mi piegai davanti a lui, allargando le braccia:“ Ok bello, vediamo che sai fare!”
Intorno a noi si era formato un drappello di persone, che ora si apriva per darci spazio. La ragazza era in mezzo alla folla. Si guardò intorno.
Speriamo che se ne vada. Non sarà un bello spettacolo.
L’uomo col coltello iniziò a girare in tondo, cercando una breccia. Io non lo perdevo d’occhio un solo istante. Quando si lanciò a sinistra io balzai sul lato opposto. Si lanciò su di me, ma io mi girai e alzai un piede per sferrargli un colpo nelle costole. Lui barcollò un attimo, ma si riprese.
Il secondo ragazzo venne verso di me, prendendo qualcosa dalla cintola:” Ora basta con queste stronzate!” sibilò
Il calcio cromato della pistola automatica scintillò.
“Una pistola!” gridò qualcuno.
Il capannello di spettatori indietreggiò, atterrito dalla brutta piega che stava prendendo la situazione.
Ok, quindi abbiamo un coltello e una pistola. Devo prima liberarmi della pistola.
Mi voltai verso il ragazzo col coltello e mi mossi verso di lui, ma feci una finta a sinistra e mi lanciai su quello con la pistola. Quello provò a spararmi, ma ormai gli avevo già afferrato il polso. Glielo torsi e lui sparò in aria. Allora gli afferrai i polsi con entrambi le mani, torcendolo con forza.
IL dito dell’uomo s’incastrò nel calcio della pistola.
Gridò, ed io potei sentire chiaramente il rumore dell’osso che si spezzava, mentre gli strappavo la pistola dalle mani.
Quello indietreggiò, urlando e tenendosi il dito fratturato.
Io puntai l’arma contro il tizio col coltello, che a quel punto iniziò a guardarsi intorno, in cerca di una via di fuga.
Io aprii il caricatore, lo svuotai sul palmo della mano e gettai in terra le pallottole. Poi lanciai via la pistola scarica. Quello mi guardò, e poi venne verso di me agitando il coltello verso la mia gola.
Prima che potessi fare un fiato i suoi amici mi aggredirono alle spalle , tenendomi ferme le braccia. Io li usai come leva e li sbattei con forza contro il tizio col coltello, rompendogli la mascella.
Quello urlò e fece cadere il coltello.
Io mi gettai in avanti, trascinando i due uomini con me, che alzarono le braccia per parare la caduta.
Balzai velocemente sulle ginocchia e ne afferrai uno per i capelli, sbattendogli violentemente la faccia sul selciato. L’altro provò a fuggire, ma io gli mollai una ginocchiata nello stomaco, facendogli rilasciare di colpo l’aria dai polmoni. Mentre lui rantolava, cercando di respirare, gli mollai due pugni in faccia. Crollò a terra, esanime.
Guardai l’altro, che stava ancora per terra. Cercava di asciugarsi il sangue che colava dal naso rotto. Ok, è finita.
Quello col coltello giaceva sull’asfalto, con la mascella fracassata. Lanciai uno sguardo tra la folla, alla ricerca di quello della pistola. Stava in mezzo alla gente, e piangeva, tenendosi il dito rotto.
Lo sparo aveva indotto qualcuno a chiamare la Polizia. Quando si udì la sirena della volante, la folla si diradò all’istante. Anche i quattro aggressori si dissolsero, evidentemente non volendo avere a che fare con la Polizia.
Io afferrai la mano della ragazza, e la portai via. Quando la volante passò accanto a noi la voltai di spalle, per nasconderle la faccia.
“Cammina piano e con naturalezza.” le sussurrai.
Lei annuì, ma sentii la sua mano tremare nella mia.
La folla era stata veloce ad eclissarsi, prima dell’arrivo della Polizia. Quando gli agenti arrivarono sul posto ciò che trovarono fu solo una piccola macchia di sangue, lì dove avevo fracassato il naso del ragazzo. Perfino la pistola vuota e il caricatore con tutte le pallottole erano spariti, così come il bossolo da cui si era levato lo sparo.
I Poliziotti provarono a fare qualche domanda ai pochi presenti, ma tutti si limitarono a scuotere il capo e a dire che non avevano visto o sentito nulla.
Passammo davanti alla Polizia, facendo finta di essere dei curiosi. Entrammo in un bar e le porsi una sedia. Lei ci crollò sopra, affranta.
La toccai per il braccio, su cui già compariva un livido viola. “Stai bene?”
Lei annuì, massaggiandosi il polso. “Sì, grazie. Quegli uomini avrebbero potuto ucciderti.”
Sorrisi. “Non conoscono i segreti del combattimento per strada.”
Una cameriera venne verso di noi.
“Cha Yen?” chiesi alla ragazza.
Lei annuì. Avevo ordinato due the freddi con latte. La cameriera andò a prenderli.
“Hai fame?” chiesi.
“No. Come ti chiami?”
“Sassone. E tu?”
“Siskit.”
“Lavori per strada?”
“No. Aspettavo mia sorella.”
La cameriera ci portò i drink. Facemmo qualche sorso.
“Buono.” Dissi.
“E’ vero. Adorò il the ghiacciato col latte. E tanto zucchero.”
Io annuii. “Tua sorella lavora per strada?”
“Sì.”
“E tu vieni qui ogni sera a prenderla?”
“No, solo il sabato notte. La domenica nessuna di noi lavora, e quindi possiamo dormire fino a tardi.”
“Vivete insieme?”
Lei finì il suo the. “Condividiamo un appartamento in Song Wat Road.”
“Sul fiume?”
“Sì, si gode una bella vista dell’acqua, e anche delle barche.”
Aspettavo che Siskit si calmasse, per farla parlare un po’.
“Io lavoro nell’ufficio Esportazioni, dal lunedì al sabato.” mi disse.
“Parli bene l’Inglese. Dove lo hai imparato?”
“A scuola. Io e Prjia potevamo scegliere tra Inglese e Francese. E chiaramente, come i nostri genitori, odiamo ancora i Francesi.”
“Prijia?”
“Mia sorella.
Parlammo di Bangkok, della Thailandia quando ancora si chiamava Siam, e del suo lavoro al reparto Spedizioni.
Verso le 4 del mattino le strade cominciarono a svuotarsi.
“Ora dovrei andare…” cominciai a dire. Ma una voce alle mie spalle mi bloccò.
“Che ci fai con questo?”
Qualcuno mi dette un colpo alle spalle, rovesciandomi in grembo il bicchiere che avevo in mano.
“Cosa ti ha fatto!”
Afferrò il polso livido di Siskit, girandolo verso di me.
“Sei stato tu a farle questo?” urlò, in Thailandese.
“Prijia, non…”
“Lurido fottuto vecchiaccio Americano! – continuò a sbraitare lei – Pensi di poter venire qui dal tuo paese per fare del male a noi donne , e poi rabbonirle portandole a bere per farci altro?”
Temendo che mi volesse aggredire fisicamente, mi alzai dalla sedia e indietreggiai.
Siskit si alzò e la prese per un braccio. “Fermati, Prijia, non è stato lui…”