Mare Di Amarezze. Charley Brindley
le raccontò degli uomini che volevano violentarla e di tutto il resto. Prija continuò a guardarmi con occhio torvo. A un certo punto la sua espressione di odio si mitigò, ma non troppo. I suoi occhi, neri come tizzoni ardenti, parvero acquietarsi.
Prija era una ragazza molto carina, bruna e formosa al punto giusto, e la sua bellezza era messa in risalto dalla gonna marrone chiara che indossava. Se non avesse avuto quell’aria torva, sarebbe sembrata più una bambina che una ragazza.
Siskit si alzò e mi tese la mano. “Vogliamo ringraziarti per avermi salvata. Quegli uomini avrebbero potuto farti qualcosa di brutto.”
“Sì – sibilò Prija – grazie.” E si aggiustò i capelli sulle spalle.
“Grazie. Sedetevi ora.” Prija prese una sedia e si mise seduta accanto a Siskit.
“Erano solo in quattro e con una pistola – dissi sorridendo in Thailandesi – non sei.” Fissai il volto di Prija e mi sedetti di fronte a loro.
Lei rimase interdetta per un attimo.
“Parli bene il thailandese.” osservò.
“E’ vero! – aggiunse Siskit – Dove lo hai imparato?”
“Qui. – dissi, facendo un gesto verso la strada dove i venditori ambulanti stavano cominciando ad arrivare – A Ladprao.”
“Vivi qui?”
“No. Sono solo un lurido fottuto vecchio Americano in trasferta.”
“Allora sei qui per trovarti una femmina , – sibilò Prija – per far divertire il tuo vecchio cazzo come non puoi fare nel tuo Paese!” I suoi occhi lanciarono scintille, mettendomi in guardia se mi fossi avvicinato troppo.
Mi alzai facendo indietro la sedia, misi la mano nel portafoglio e tirai fuori 100 bath, che posai sul tavolo.
“E’ troppo per due the! – disse Siskit – Aspetta, che ti danno il resto!”
Sorrisi. “Tenetelo per voi. Ne avete più bisogno di me.”
Sorridevo ancora mentre uscivo dal bar.
E’ proprio questo che intendevo.
CAPITOLO DUE
La maggior parte delle ragazze che lavoravano in strada si prendevano la domenica di festa, quindi quel giorno non mi recai a Ladprao.
Nel primo pomeriggio presi un tuc-tuc per Rattanakosin, la città vecchia. Si trova nel centro di Bangkok, sulle rive del fiume Phraya. Tutta la zona è ricchissima di antichi edifici , che risalgono al periodo in cui la Thailandia era ancora il Siam.
Salii su una barchetta da escursione per navigare sul fiume. In sala pranzo ordinai una bottiglia di vino rosso e un pasto leggero a base di phat kaprao, pollo saltato in padella con basilico e peperoncino.
Mentre mi godevo la mia gita sul fiume, prendevo appunti sul mio iPad. Non digitai cose significative, ma cercai di trascrivere tutte le emozioni che provavo in quel momento, stimolati dal paesaggio che avevo davanti. C’è qualcosa di evocativo nel lasciarsi sommergere dalle emozioni guardando un paesaggio: la fantasia lavora per te i tuoi pensieri si trasformano in voli pindarici.
Un palazzo del IX secolo tutto colorato mi evocò il pensiero di una principessa prigioniera che invocava la libertà alla mia barca. E quel vecchio che stava lanciando la sua rete da pesca nell’acqua torbida: nei miei pensieri si trasformò in una spia che sorvegliava il palazzo.
E quei due innamorati che passeggiavano lungo la riva del fiume, mano nella mano…mi ricordarono un’altra coppia, di cinquant’anni fa.
Era così facile immergermi nelle mie fantasie, dove tutto era possibile. “Starò lontano solo per poco – le dissi – poi staremo insieme per tutta la vita.”
Era così che abbiamo trascorso gran parte delle nostre serate, facendo progetti sulla nostra vita futura e costruendole una cornice da sogno.
Ma la guerra aveva progetti diversi per noi. Un mare di amarezze ci attendeva.
IL fischio della sirena del battello che stava per arrivare al molo mi riportò bruscamente alla realtà.
Mercoledì sera, all’una di notte, io ero di nuovo in strada.
Vidi Prija appoggiata a un muro, che chiacchierava con altre ragazze. Tutte indossavano minigonne aderenti e toppini. Mentre parlavano guardavano distrattamente i loro cellulari e talvolta spuntavano un messaggio, ma sempre tenendo d’occhio i maschi che passavano.
Attraversai la strada per andare verso di lei, ma non intendevo parlarle: in realtà volevo guardarla ma senza avere a che fare con lei.
Mentre ero lì che la guardavo, lei si scostò da un muro per andare a parlare con un tizio che le era passato vicino. Non so cosa ci trovasse di particolare in lui, certo era che lo aveva preso di mira. Era un Thailandese di mezza età, ben vestito e curato. Probabilmente un uomo d’affari.
I due confabularono per un minuto. Poi lui le porse dei soldi e lei lo prese per mano e lo guidò verso una delle tante porte di un palazzo decrepito, che si apriva su un minuscolo tugurio.
Voltai lo sguardo. Non volevo vedere. Tutto ciò mi dava un gran fastidio. Eppure, sapevo quello che avrei visto.
E quindi, che cosa ci sono venuto a fare?
Passeggiai per tre isolati, poi girai i tacchi e tornai indietro. Entrai nel bar dove il sabato precedente avevo preso il the con Siskit e accesi l’iPad.
Quando iniziai a scrivere, rimasi sorpreso dal flusso di emozioni che si riversava fuori di me.
A volte, quando mi metto a scrivere, l’unica cosa che faccio è digitare. La maggior parte di ciò che viene fuori viene cestinata il giorno stesso, quando magari decido di modificare una trama, ma altre volte vado in una specie di trance e ciò che digito si trasforma in una storia. Un processo che può durare minuti o anche ore. Quando mi succede è come se entrassi in un tunnel che si apre misteriosamente davanti a me, e che io percorro senza sapere dove mi condurrà. E’ un’esperienza che mi piace molto, perché è come un viaggio che si apre a panorami insoliti.
La cameriera mi chiese se volevo qualcos’altro. Io ordinai qualcosa da mangiare, giusto per essere lasciato in pace.
In genere, questi viaggi dell’immaginazione vengono scatenati da qualcosa che mi ha turbato, e sono molto rari. Quando mi trovo in quel tunnel devo percorrerlo fino in fondo, anche se il cammino dovesse durare a lungo, perché so che dovrò aspettare molto prima che un’esperienza del genere si ripresenti. Potrebbero passare giorni, o addirittura settimane. Il tempo che intercorre tra un’esperienza e l’altra, lo passo a modificare ciò che ho scritto.
Persi completamente cognizione della realtà mentre scrivevo, fin quando una voce non mi parlò in Inglese. Era Prija.
“Che stai facendo?” mi chiese.
“Scrivo.” risposi, senza alzare lo sguardo dall’iPad.
“E che stai scrivendo?” chiese ancora. E, senza che la invitassi, si sedette al mio tavolo e prese con le dita un pezzo di maiale al forno.
“Perché non ti siedi e assaggi la mia cena?” le dissi, caustico.
“La tua cena è fredda.” rispose, senza minimamente scomporsi.
“Mi piace così. – dissi, freddamente. In realtà me n’ero completamente dimenticato. – Che cavolo ci fai qui?” Alzai gli occhi e scorsi i venditori ambulanti che stavano approntando le loro bancarelle.
“Vengo qui tutti i giorni, all’alba.”
“Sì, all’alba.” Si appoggiò coi gomiti sul tavolo e mi guardò fisso negli occhi. “Sei anche rincoglionito, oltre che vecchio?”
“Forse sì.”
“Che stai scrivendo?” Alligò il collo per dare un’occhiata al mio iPad.
“Niente che tu sia in grado di capire.” Girai il cellulare verso di lei.
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