Fuggi, Angelo Mio. Virginie T.

Fuggi, Angelo Mio - Virginie T.


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che chiarisca quello che pensa e, nello stesso tempo, ne ho bisogno per capire l'ampiezza dei miei errori.

      «Continuare cosa?»

      «Noi.»

      Devo essere proprio masochista. Voglio che chiarisca.

      «Cosa intendi?»

      «Non sono sicuro di volere ancora vivere con te. Penso che dovremmo prenderci una pausa, per un po' di tempo.»

      Una pausa. Tutti sanno cosa significa «fare una pausa» per una coppia. E' un  modo gentile, se ne esiste uno, per rompere senza annunciarlo chiaramente. Se non fossi seduta, probabilmente sarei caduta a terra dal dolore. Sto perdendo terreno ed ho bisogno più che mai di Beth. Ho bisogno che la mia migliore amica curi le mie ferite. Tuttavia, sono troppo orgogliosa per chiederle aiuto.

      «Ti lascio il tempo di organizzarti, ma vorrei che facessi i bagagli il prima possibile.»

      Già, perché mi caccia anche di casa? Resto lì a bocca aperta e con le braccia a penzoloni, mentre la mia vita è messa sottosopra.

      «E' inutile che mi guardi in questo modo. Non hai i soldi per pagare l'affitto e le spese. Tutte le bollette sono già a mio nome e sono io che ho pagato tutti i mobili.»

      In un solo giorno, ho perso tutto: il lavoro, i miei sogni di una vita ideale ed il mio fidanzato. Ex- fidanzato. Meglio farci subito l'abitudine. Mi alzo con un  movimento brusco.

      «Perché aspettare? Vado subito a fare i bagagli.»

      «Mallory…»

      Sospira prima di continuare.

      «Non prenderla in questo modo. Lo faccio per noi.»

      Rischio di strozzarmi dalla rabbia.

      «Per noi? Buttarmi fuori di casa, è per aiutare la nostra coppia?»

      Almeno ha la decenza di abbassare gli occhi.

      «Lo fai solo per te stesso. E ora, se permetti, vado a sbrigarmi ad imballare tutte le mie cose, per non disturbarti più con la mia presenza.»

      Per fortuna, Brandon non mi segue in camera. Non avrei avuto il coraggio di continuare il nostro scontro verbale. Questa giornata sembra non finire mai ed ho il cuore a pezzi, mentre infilo i miei vestiti in una borsa da viaggio. Prendo solo l'essenziale, non avendo altro posto ed il rumore della chiusura lampo quando chiudo la sacca mi fa realizzare la portata degli ultimi avvenimenti: dovrò ricominciare da zero, ricostruirmi, e dovrò farlo da sola. Tornare dai miei genitori? Inutile anche solo pensarci. Ormai non ho più l'età per abitare con mamma e papà e dover rendere conto di quello che faccio.

      Lascio l'appartamento senza dire una parola e senza guardarmi indietro. Brandon mi ha amabilmente proposto di prendere la sua macchina. Mi sono dovuta mordere la lingua per non dirgli che poteva mettersi le chiavi proprio lì dove stato pensando. Lo faceva solo per poi rimproverarmi di essermi servita della SUA macchina! Preferisco avere i piedi in fiamme a forza di camminare, piuttosto che sopportare un'ulteriore umiliazione.

      

Mallory

      Ignoro da quanto tempo sto camminando lungo la strada, ma la cinghia della mia borsa da viaggio mi sta incidendo la spalla e le mie gambe fanno fatica a sopportare il mio peso, che si aggiunge a quello del mio grosso bagaglio. Mi trascino senza una meta, non sapendo dove andare, quando una macchina rallenta alla mia altezza. Giro la testa dall'altro lato, non avendo alcuna voglia di spiegare ad uno sconosciuto cosa sto facendo sul ciglio della strada con le mie cose sulla schiena. Tuttavia, l'importuno decide diversamente. Sento il finestrino sul lato del passeggero che si apre e la musica che esce dalla macchina mi perfora i timpani. L'hard rock è trasportato dal vento ad un volume assordante. Poi, all'improvviso, il suono diminuisce ed una voce che non mi aspettavo si rivolge a me.

      «Mal? Cosa ci fai qui?»

      Mi giro di scatto per assicurarmi di non essere vittima di un'allucinazione, ma non c'è dubbio: è proprio il mio amico al volante dell'automobile. Potrei piangere di gioia, se non avessi esaurito le lacrime. Non faccio altro che fissarlo, senza riuscire a muovermi o a rispondergli, quindi lui decide di posteggiare su un lato della strada, gira intorno alla macchina e mi raggiunge.

      «Mal? Stai bene?»

      Scuoto la testa, incapace di parlare.

      «Lascia che ti aiuti.»

      Mi prende il borsone dalle mani e lo butta nel portabagagli, prima di aprire la portiera dal lato del passeggero.

      «Sali. Ti porto a casa mia. Parleremo e mi racconterai cosa sta succedendo.»

      Entro nell'abitacolo come un automa, sempre in silenzio, ed il mio amico mi allaccia la cintura, visto che non ho avuto neppure il riflesso di farlo. All'improvviso mi sento meno sola e spero che svuotare il sacco mi permetta di vederci più chiaro e di fare dei progetti per il futuro, perché non posso vagare senza una meta per sempre.

      Mi rendo conto di non essere mai andata a casa sua, neppure una volta. La sua casa è piccola, lontana dalla strada e da qualsiasi vicino. La stradina che conduce al suo portico è sassosa ed io sobbalzo sul sedile. Tutto ciò mi fa contorcere pericolosamente lo stomaco, che si rivolta contro questi movimenti caotici.

      «Mi dispiace. Non ho ancora avuto il tempo di sistemare l'esterno della casa.»

      Gli rivolgo un debole sorriso, tenendo la bocca ermeticamente chiusa per non vomitare sulla leva del cambio. Per fortuna, non dura più di un minuto, poi parcheggiamo davanti ad una casa in mattoni a vista assolutamente incantevole.

      «E' molto carina.»

      Mi sorride ed una fossetta compare sulla sua guancia sinistra.

      «Grazie. L'ho ereditata da mia nonna qualche anno fa e da allora sto cercando di rimetterla in sesto.»

      Fa il giro della macchina per aprirmi la portiera, come un vero gentleman.

      «Vieni. Ti preparo un buon tè e potremo parlare.»

      Mi afferra la mano ed io mi ritraggo istintivamente. Da molto tempo non tengo la mano di un uomo che non sia Brandon e questa mano estranea, più grande e forte, mi lascia una sensazione spiacevole. Il padrone di casa non si accorge del mio imbarazzo e mi fa entrare da una porta rossa tutta di legno, che scatta al mio passaggio. Ho appena il tempo di ammirare il suo ingresso, decorato con uno specchio, poi mi conduce in una cucina all'ultima moda, perfettamente attrezzata, con un piano cottura immenso ed una grande isola circondata da sgabelli alti e comodi.

      «Siediti lì. Ti preparo qualcosa da bere.»

      Ne approfitto per voltarmi ed osservare la sua casa con uno sguardo curioso. Nel complesso è moderna, ha un aspetto conviviale, eppure sento una specie di malessere. Non ci sono foto, né soprammobili, nessuna traccia di vita. E' tutto stupendo, ma asettico, come una casa da mostrare, ma senza un'anima. E' difficile immaginare che un uomo single abiti in un posto del genere. Dov'è il disordine? La biancheria sporca sparsa dappertutto? Insomma, dei segni di vita!

      «Due zollette, vero?»

      Riporto l'attenzione sul mio amico.

      «Sì, grazie.»

      Posa la tazza davanti a me ed io approfitto del calore sulle mie mani per riprendermi. Potermi riposare mi fa molto bene, tuttavia devo pensare al futuro.

      «Sei pronta a raccontarmi cosa è successo dopo che abbiamo chiuso la telefonata?»

      E' vero che quando ci siamo parlati stavo piangendo, chiusa nella mia macchina. La mia ex-macchina. Tutto è diventato ex dopo quella telefonata.

      «Ti avevo detto di chiamarmi, se ne avessi avuto bisogno.»

      «Non ti volevo disturbare.»

      Infatti è vero, almeno in parte. Avevo già l'impressione di essere un fardello per il mio ex-fidanzato e non volevo diventarlo anche per Léon, l'amico che mi ha sostenuta in questi ultimi mesi, contro tutto e tutti.

      «Non mi disturbi mai, Mal, te l'ho già detto.»

      Gioca con le mie dita sul tavolo, mentre un brivido


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