Fuggi, Angelo Mio. Virginie T.
che pensavo scomparsa ormai da lunghi mesi si fa strada fino alla mia coscienza, la mia anima reclama la propria libertà, della quale è stata privata per troppo tempo. Ciò nonostante, non ho ancora vinto e se voglio avere qualche possibilità, devo giocarmela bene e mettere a tacere la mia paura, perciò mantengo un volto impassibile.
«Perché?»
La mia domanda lo sorprende. Bisogna dire che gli sto rivolgendo ben poco interesse fin dall'inizio e la paura che esprimo nella mia domanda è a doppio senso. Non ho paura di rimanere sola, ma piuttosto di nutrire delle false speranze.
«Il lavoro. Hanno bisogno di rinforzi e non posso rifiutare.»
Il lavoro. Collabora con la polizia, triste memento del fatto che non posso aspettarmi alcun aiuto da quel lato. A chi crederebbero, tra una ragazza che si è fatta lasciare e non conta più per nessuno ed un informatico rispettato, che aiuta gli investigatori da molti anni? Non sono nemmeno sicura che qualcuno abbia segnalato la mia scomparsa. Chi potrebbe tenere abbastanza a me da preoccuparsi? Forse i miei genitori? Non dubito neppure per un istante che Léon non abbia trovato un modo per ovviare a questo problema. Non mi ha mai restituito il cellulare e, d'altra parte, non ho mai visto un telefono in giro per la casa. Eppure, sono sicura di averlo portato con me, quando ho lasciato Brandon.
«Mal, voglio che tu mi prometta di restare tranquilla.»
Sottinteso: promettimi di restare qui tranquilla, perché io possa approfittare di te al mio ritorno.
«Te lo prometto.»
Una promessa vuota per una vita vuota, priva di senso. Quanto può valere una parola, quando si teme per la propria vita? Certamente non più delle sue dichiarazioni d'amore, visto che mi trattiene con la forza. Mi fissa, cercando di scovare la falsità delle mie parole. Impossibile: ho imparato a mascherare le mie emozioni molto tempo fa, per evitare le punizioni che seguivano le mie reazioni disgustate.
«Mi macherai così tanto, bellezza!»
Incolla il suo corpo al mio ed il suo calore attraversa il tessuto del mio maglione. La sua erezione spinge contro il mio ventre e prego che, come al solito, la pressione diminuisca man mano che la sua eccitazione aumenta. Mi bacia profondamente in bocca ed io chiudo gli occhi, per immaginarmi tra le braccia di qualcun altro. All'inizio del mio calvario, pensavo a Brandon nei momenti difficili, ma da quando ho scoperto che sta con un'altra, anche la sua immagine mi dà fastidio. A questo punto, ho iniziato ad immaginare un uomo ideale, alto, bruno e muscoloso. E soprattutto, senza tatuaggi. Per me questi sono diventati un sinonimo di follia e non voglio che il mio uomo perfetto ne abbia. Tuttavia, faccio fatica a rappresentarmi i suoi occhi. Qualche volta sono azzurri, altre verdi, ma soprattutto teneri ed espressivi. Ritorno al presente quando Léon ritira la lingua dalla cavità della mia bocca e si mette a coprirmi la clavicola di baci bagnaticci.
«Sei talmente dolce, talmente perfetta!»
Sento il suo sesso diventare flaccido a poco a poco, per la mia più grande gioia. Posa la fronte contro la mia, con il fiato corto.
«Mi fai perdere la testa.»
Un giorno, mi ha confessato di perdere le sue capacità di fronte alla mia bellezza. Cosa dire, non me ne lamento di certo, anzi è un sollievo. E' fuori questione che io alimenti i suoi pensieri perversi, che non condivido affatto.
«Vieni in camera con me. Voglio passare un po' di tempo con te, prima di partire. Voglio scolpirmi la tua immagine nella memoria.»
Non mi lascia altra scelta. Mai. Mi trascina fino al letto e mi toglie il maglione, prima di costringermi a sdraiarmi sul materasso che si infossa sotto i nostri due pesi. Il mio respiro accelera; conosco il seguito del programma e ne ho paura, come sempre.
«Girati, bellezza. Voglio lasciare il mio marchio sulla tua pelle, così non mi dimenticherai durante la mia assenza.»
Come potrei dimenticare l'uomo che mi ha lasciato più cicatrici interne ed esterne di quanto lo possa fare chiunque altro? Obbedisco stringendo i denti e preparandomi al seguito. Le lacrime iniziano già a scendere, ancora prima di sentire il morso della lama che mi taglia la pelle senza esitare.
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