L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi


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tirannide, che ti conoscerà anche traverso la caligine dei secoli, la riporrà sulla base, come simulacro consacrato a remoto congiunto. Tu hai desiderato la statua piuttostochè desiderato meritarla. Attila ordinò si gettasse sul fuoco un poema, e per poco stette non vi facesse gettare il poeta Marullo perchè lo aveva eguagliato ai numi immortali. Tu bevi l'adulazione a grandi sorsi, come tazze di vino; e, come il vino, ti ha tolto il senno. Un cittadino che amasse la patria libera davvero, non avrebbe consentito che i suoi concittadini si deturpassero ad atti convenienti soltanto fra schiavi e re...»

      «Alamanni!»

      «Silenzio! Tu hai cessato la tua grandezza, e la tua voce non ha più potenza di ricercarmi il cuore. Addio: — l'estreme parole furono favellate tra noi; — la medesima plaga del cielo non cuoprirà più le teste dell'Alamanni e del Doria. L'ultima stella è caduta. — Io gemerò, finchè abbia vita, sulla perduta tua fama. Dopo Camillo romano, a nessuno fu dato essere più grande di te. Vorrei lasciarti e non posso. — Ah! Doria, salva la patria. — Addio: — io ti getto, in pegno di un'amicizia che spira, la scelta di farti il più grande o il più infame degl'Italiani. Abbatti la statua e sii contento che la tua memoria viva nella nostra anima; rendi alla patria le navi con le quali la salvasti e con le quali, volendo, potresti nuovamente ridurla schiava[89]; — o se pur vuoi continuare a governarla, dirigine il corso contro ai barbari: — barbari io chiamo tutti gli stranieri in Italia. — Le Alpi passate e il mare, tornerò ad appellarli cristiani... fino allora, barbari e cani.»

      «E la fede giurata all'imperatore?»

      «La devi prima di tutto al tuo paese. — E al Cristianissimo non l'avevi per avventura giurata? E non per questo ti trattenevi dall'abbandonarlo. — Se il re Francesco scambiavi con Carlo, ti guadagnasti il nome di traditore... se l'uno e l'altra per la patria tu lasci, o felice o infelice, gli uomini altari t'innalzeranno e preghiere...»

      E fu fatto silenzio.

      «Luigi!» dopo un breve spazio di tempo esclamò il Doria, ma non ottenne risposta, «Luigi! Luigi!» replicò frettoloso, come se forte gli premesse di comunicargli un arcano.

      Luigi si era pianamente di colà rimosso, lasciandogli la tremenda alternativa di essere grande od infame.

      Andrea Doria fu egli grande od infame? Io non posso giudicarlo. Dirò soltanto che la profezia dell'Alamanni si avverava. Il popolo rovesciò la sua statua, il tiranno sopra l'antica base la restituiva[90]. Nè si conobbe l'Alamanni, in questo solo, profeta[91].

      «Viva Carlo V imperatore dei Romani, signor del mondo! Viva Augusto! Viva Cesare!»

      Queste grida discordi ed assordanti tolsero il Doria della sua distrazione: — guardò di nuovo gli scanni pontificio e imperiale, e vide Carlo e Clemente starvi nell'orgoglio della potenza loro intronizzati.

      L'ufficio della messa continuando, cantano preghiere, con le quali invece di supplicare Iddio e i suoi santi per tutte le creature, gli supplicano per un uomo solo, per Carlo di Gand. Agli angioli, ai troni, agli arcangioli, alle potenze, ai cherubini, alle vergini, ai martiri ed alla rimanente corte celeste non si dice più: Orate pro nobis; sibbene: Vos adiuvate illum. E' sarebbe stata cosa gioconda vedere come in quel punto, Dio esclusivamente occupato per Carlo, il mondo si governasse senza di lui. E se, come sembra, il nostro globo continuò a vivere in pace con gli altri, il sole non rimase di scaldare, la terra di produrre, il mare di volgere l'eterne sue onde... uno scrupolo comincia a penetrarmi nello spirito, che mi farò chiarire dal reverendo mio padre confessore... un sant'uomo in verità. Ma no; tolga Dio, che per insania altrui la nostra mente vacilli: Carlo V nell'ardua superbia della sua vanità non richiamò a sè maggiore cura dell'Eterno, nè minore di quella che se avesse appartenuto alla famiglia delle scolopendre.

      Recitato l'Evangelo, cantato il Simbolo Niceno della fede cristiana, pervennero all'offertorio. L'imperatore le vesti imperiali depositando, rimasto con la tonacella dalmatica, si accostò all'altare e depositò la sua offerta ai piedi del pontefice: — trenta monete d'oro del valore di scudi dieci l'una; — trecento ducati! Veramente questa donazione non giunse alla dovizia di quelle di Costantino e di Carlomagno! — Il papa la guardò sorridendo. I ricchi prelati della corte romana torsero la bocca in segno di disprezzo; — a Carlo, avarissimo siccome rapacissimo, sembrò avere dato anche troppo. I suoi cortegiani, per onestare la miseria dell'atto, inventarono avere egli il costume di offrire ogni anno tante monete di dieci ducati l'una, quanti si fossero gli anni della sua vita, ed in quel giorno appunto annoverarne trenta.

      All'Agnus Dei, e' fu mestieri che egli si accostasse al pontefice e di nuovo lo baciasse sopra la destra guancia e sul petto. Almeno Giuda, — con tutto che Giuda, — baciò una volta sola e poi si appiccò per disperazione; — ora anche la sua fama si oscura.

      — Ardisci... ti stanno presso i due seggi vuoti; — un passo e basta.» Cap. IV, pag. 105.

      Carlo e Clemente adesso genuflessi aspettano il sacramento della Eucaristia. Il cardinal Cibo (quel desso a cui Filippo Strozzi fece il legato del suo sangue perchè se ne saziasse[92]), sollevando la patena, mostra al popolo il santo corpo di Cristo: — il cardinal De Cesi, presolo dalle mani di lui, lo porta al pontefice, e questi si ciba in copia del pane sacramentato; l'anima e più le viscere conforta col vino generoso che il sangue gli rappresenta del suo Redentore, il quale nessuna vita sacrificò, tranne la sua. Tra pochi mesi il vicario di questo Dio, egli medesimo Clemente, comanderà che ogni giorno il pane si estremi e l'acqua a frate Benedetto da Foiano, e a lui agonizzante contenderà la breve particola del mistico pane, per paura che valga anche di un minuto a prolungargli la vita[93]. Oh! come è degno tempio della Divinità il seno di cosiffatto papa.

      E poi si accinse a comunicare l'imperatore; — il conte di Nassau e il sire di Croy, tenendo i lembi di un pannolino magnificamente ricamato, lo stendono davanti il suo volto. Il pontefice sorge e aspetta che gli porgano l'ostia. Carlo solleva inquieto gli sguardi e accenna al vescovo di Caria del regno di Leone; — questi pure gli rispose col guardo, ed egli allora apre la bocca per cibare il corpo di Cristo. — Qual cosa mai significava quel cenno? Significava che Cesare stesse sicuro; avere il vescovo, suo fidato, assistito alla composizione dell'ostia per conoscere che nessuna altra materia vi si mescolasse dalla farina in fuori; imperciocchè Carlo sapesse Roberto re di Sicilia essere stato avvelenato nell'ostia, e di pari morte rimasto spento l'imperatore Enrico VII per le mani del reverendo Bernardo da Montepulciano, frate di san Domenico Guzman, di cui Dio riposi le ossa secondo i suoi meriti!

       Nè altro adesso mi occorre descrivere di questa messa, tranne la fine. Carlo, dai suoi cerimonieri ammaestrato doversi in simili bisogne mostrare, anche non avendola, larghezza, combattuto da un lato dall'orgoglio spagnuolo, dall'altro dalla miseria tedesca, pensò un bel tratto, e fu di versare a piene mani titoli e onori tra i suoi famigliari: — piovvero ad un tratto baroni, conti, marchesi e duchi, che tante forse non furono le cavallette mandate da Moisè a disertare l'Egitto. — Oh! la bella cosa sarebbe, se anche noi potessimo pagare a titoli coloro i quali ci rendono servigio: io per me non dubiterei di conferire una croce di santo Stefano papa e martire il mese, per salario al mio servo: — potrei dargli di meno?

      Il papa però non volle rimanere vinto, e in quel punto s'istituiva tra loro una gara di beneficenze; — sicchè, quando asceso sui gradini più sublimi dell'altare si volse al popolo e lo benedisse, aggiunse le parole: «Concediamo a tutti intiera remissione di tutti i peccati e indulgenza plenaria per quattrocento anni!!!»

      Se i popoli rimanessero tolti fuori di sè per l'allegrezza, non è da raccontarsi; ed io, che dopo tanta distanza di tempo m'immagino quanto gaudio nei cuori loro dovesse scendere dall'aspetto imperiale e dalla indulgenza di quattrocento anni, non posso trattenere dolcissime lacrime di tenerezza. Potessi almeno rendere partecipi i miei nobili lettori, in benemerenza dell'avermi seguitato fin qui, dei tesori inestimabili profusi dal sommo pontefice e dallo imperatore augustissimo a chi sa quanti paltonieri e plebei! Perle veramente sciupate contro il testo espresso dello Evangelo!

      Fuori del tempio il popolo urlava, insaniva, fremeva a guisa di baccante scapigliata; perchè nessuna scintilla d'intelletto gli balenasse su l'anima, qui è pane, qui


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