L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi


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Vangelo che ricorreva quel giorno. La cartapecora in quel punto aperta davanti al pontefice mostrava Gesù Cristo nell'orto di Getsemani sudante sangue, rifinito da incomprensibile angoscia, supplicare al Padre che rimuovesse dalle sue labbra il calice della passione; — se poi non si potesse altrimenti, avrebbe fatto la sua volontà. Come un Dio offeso sè a sè stesso sacrificasse per placarsi non si comprende: al nostro intendimento umano sembra che il meglio senza tanti andirivieni saria stato perdonare addirittura e risparmiare a sè il dolore, agli uomini il delitto. Dove per lo contrario cotesto fatto deva spiegarsi nel senso di un padre il quale per amore dei suoi figliuoli non aborre dai martirii e dalla morte, allora la storia si volge al cuore piena di tenerezza.

      Ma la mente del papa era le mille miglia lontana da cotesta immagine di sacrifizio: — egli fu ne' suoi tempi delle cose mondiali speculatore arguto; nelle bisogne di stato, diligente ed assiduo; — nel deliberare grave, nel deliberato costante: — più che d'altro si pasceva di ambizione; la quale non potè mai, per impedimento di fortuna, saziare a suo talento; e quando pure lo avesse potuto, non sarebbe per questo rimasta in lui la libidine di desiderare il bene degli altri. — A tante e siffatte qualità degne d'impero mancò animo pronto, audacia e costanza nell'eseguire, — e mancò eziandio (ma questo non credo sia qualità, non che necessaria, utile ai potenti della terra) misericordia del prossimo: — ebbe viscere di granito.

      La umiliazione di Carlo (sebbene contro la sua natura, la quale consisteva nel simulare e nel dissimulare stupendamente, egli non avesse potuto trattenere un sorriso di compiacenza nel vederselo così prostrato dinnanzi) non gli piacque come trionfo, sibbene come mezzo di aumentare la sua autorità: — pensava adesso a lenire la piaga di quell'anima superba; del concilio pur troppo, quantunque di cosa lontana, temeva; — più del concilio egli dubitava cesare non fosse per rendergli contrario il lodo pel quale aveva compromesso in lui insieme col duca d'Este intorno alla reversione del ducato di Ferrara alla Sedia Apostolica; — a queste e a ben altre cose egli pensava, ed attendeva a ristorare le maglie della rete di san Pietro, logore dagli anni o dalla incredulità, con un filo di violenza ed un altro di frode.

      Dietro la sedia stava in piedi un uomo immobile, cosicchè lo avresti tolto per una apparizione dell'altro mondo; con la destra stringeva un pomo della spalliera, la manca abbandonava lungo il fianco; — era pallido, di capelli nerissimi, vestito di nero; — quella sua fronte non compariva pacata, ma stanca dai lunghi combattimenti morali: — la quiete di un gruppo di nuvole raccolte nel cielo durante una notte di estate, quando non soffia un alito, e il demonio delle tempeste incatenato non può cacciarsele vertiginose davanti ai danni della terra.

      «Giovanni!» senza mutare attitudine e neppure volgere la pupilla dal punto dove stava fissa, cominciò il papa, «molto abbiamo fatto per voi...»

      «Beatissimo Padre...»

      «Non c'interrompete; — siate con noi più orecchi e meno lingua che potete: — molto abbiamo fatto per voi; e ciò vi rammentiamo soltanto perchè possiamo fare cose molto maggiori. Cavalcherete al campo sotto la nostra pa... sotto Fiorenza.»

      Gli occhi del personaggio chiamato Giovanni coruscarono a guisa di baleno dall'orbita profonda.

      «Colà attenderete a notare diligentemente le cose che vedrete, inviandocene debita relazione o sommario, dove la materia abbondi, per un cavallaro a posta a Roma, o a Orvieto, o a Bologna, secondo che vi terremo avvisato.»

      Tranne quello dei labbri, il papa non fece altro moto fin qui: — ora della mano chiusa sopra la tavola stendeva il dito pollice quasi per annovare le diverse commissioni che conferiva a cotesto suo fidato.

      «Osservate sopra tutti Baccio Valori nostro commessario al campo: egli ama sè prima; con immensa distanza dopo la libertà, poi i Medici: — noi l'adoperiamo, giovandoci il credito e l'autorità di lui; egli si pose ai nostri stipendii perchè non si affida nello stato presente di Fiorenza, e non potendo guadagnare nulla col popolo, s'industria avvantaggiarsi con cui intende dominarlo: — forse, chi sa? un giorno renderà alla nostra stirpe il danaro che ci cava di sotto con la sua testa per cambio della moneta, e non sarà troppo, ma basterà[100]. Per ora temiamo non voglia navigare con ogni vento e tenere il piede in due staffe... Spiatelo... se vedete ch'ei ponga più corde al suo arco, avvertiteci in tempo, onde anche noi possiamo mettergliene al collo una sola.»

      E qui spiegato l'indice, continuava: «Vi raccomandiamo in seguito il principe di Orange: se costui avesse ingegno quanta possiede mala fede e valore, noi saremmo spacciati. Ma cotesta è stoffa di cui la trama sente di ribaldo, l'ordito del pecorone. Egli intende a grandi cose; — al conte Rosso di Bevignano ha dato ordine non consegni Arezzo ad anima viva, inoltre gli confidò in segretezza volersi instituire re d'Italia, o almeno di Toscana, sposare la duchessina Caterina e comporsi in qualche modo, dopo aver messo il becco all'oca, con lo imperatore e con noi: — il conte in segretezza lo ha confidato a quanti lo vollero e non lo vollero sapere: se noi temessimo troppo di lui, a quest'ora avrebbe un altro generale l'esercito, gli avelli della sua famiglia un altro morto... Non pertanto badatelo. — Noi confidiamo meglio sul capitano dei nostri nemici che non su quello del nostro proprio esercito...»

      «Il signor Malatesta Baglioni!»

      «Egli stesso, Giovanni. Vivi col tuo nemico oggi come se dovesse diventarti amico domani; vivi oggi con l'amico come se domani dovesse riuscirti nemico. Ma di lui in seguito: — ora, per procedere con ordine, udite e riponete in mente.» A questo punto stendeva il medio e poi proseguiva: «Importa moltissimo che veggiate di rinvenire modo ad appiccare qualche pratica con i cittadini: — eccovi il filo onde svolgiate agevolmente la matassa; prendete questo segno e a chiunque vi porterà il compagno date piena fede. Monsignore da Carpi già e Giovambattista Negrini vi appianavano il sentiero; voi avete ingegno quanto basta per dispensarmi da troppe parole. In Fiorenza troverete di tre sorte fazioni: Palleschi, Ottimati e Arrabbiati. Ai primi voi prometterete poco, e noi manterremo meno: primo, perchè e' presumono farci ricuperare la città quando non hanno potuto impedire che noi la perdiamo; e siccome intendono vendercela, pagandoli secondo quelle ingorde loro voglie, a noi non basterebbe, non che Fiorenza, Roma; poi, guardati molti, moltissimi sostenuti come sospetti, non possono affaticarsi senza danno manifesto della cosa in pro nostro; terzo finalmente, tutto quello potranno fare faranno senza incitamento, costretti dalla condizione in che e' si trovano: — dal governo popolesco nulla hanno a sperare; — di mutare parte ormai non è più tempo; mutando, dall'infamia in fuori, non possono guadagnare altro: — quindi ci si manterranno fedeli... — Con gli Arrabbiati perderete l'opera e il consiglio; — costoro a suo tempo convertiremo con le mannaie. Perchè quali parole ha detto Gesù Cristo nostro divino Redentore? Ogni albero che non fa buon frutto va reciso e buttato al fuoco. — Rimane la parte del Capponi, o vogliamo dire Ottimati: questi il tiranno odiavano, non la tirannide, e la mia famiglia cacciarono per ampliare la propria; — ma più del principato detestano la repubblica: ed ora che esperimentano sotto il governo democratico essere divenuti incresciosi all'universale e confusi con l'onda del popolo, non dubito che sieno per porgervi ascolto; imperciocchè l'uomo più volentieri si accomodi a servire un solo e dominare su cento che a non servire a molti e a non dominare veruno...» — Ora stende l'anulare e continua: «Nè meno vi raccomandiamo Zanobi Bartolini, uomo superbo, amante della libertà, ma di sè più assai: guadagnarlo è impossibile, ingannarlo difficile; qui conviene adoperare l'estremo dell'arte. Questi uomini di acuto intelletto presentano quasi sempre un lato da potere essere offesi, e consiste nello stimare sè troppo, — troppo poco altrui: — fingerete che noi ci abbandoniamo nelle sue braccia, che vogliamo in tutto e per tutto rimetterci in lui, che la libertà intendiamo aver ad essere salva, arbitro egli a dettarne i regolamenti, padrone di provvedere alle sicurezze e d'imporle; null'altro desiderare noi oltre quello che si concede a qualunque cittadino non omicida, non ladro, di vivere cioè e di morire nel dolce luogo ove sortimmo la vita.» — Spiegò tutta la mano e riprese: «Fuori di modo gioverà accontare la parte col signor Malatesta. Quantunque cotesti scapestrati giovani gentiluomini abbiano ridotto in pezzi la nostra statua, noi perdoneremo loro per averci ammazzato di cera, purchè si curvino ad adorarci di carne.»

      ... O papa Clemente, trema che cotesta effigie del Redentore non si animi... Cap. V, pag. 138.


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