L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi


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insieme.»

      «Le insinuazioni vostre», gli rispose il Capponi, «mi suonano uguali a quelle che mosse Satana a Gesù Cristo quando dal pinaccolo del tempio gli mostrava i regni della terra: ufficio di cittadino è turarsi le orecchie e fuggire dalle tentazioni.»

      Profferiti cotesti accenti, Nicolò Capponi tenne dietro a Iacopo Guicciardini.

      «Dunque non mi riuscirà a farvi intendere ragione, ortinati e protervi? Messere Andreuolo, fatevi messaggero dei miei sensi agli ottimati...»

      «Dove un mio figlio sapessi ambasciatore di tanta nequizia, io gli andrei contro per ispezzargli la testa alla parete.»

      Ciò detto, il Nicolini scomparve.

      «Almeno voi, Soderini...»

      «Io vi scongiuro, papa Clemente, a spargervi le chiome di cenere, umiliarvi nel santuario e domandare mercede davvero dei vostri peccati; se pure i vostri peccati non superano la misericordia infinita.»

      E lasciò solo il pontefice.

      Papa Clemente per bene due volte con intensissima rabbia si morse le mani ed esclamò:

      «Il mondo mi diventa la torre di Babele: quando domando vizio, incontro virtù; — quando abbisogno di virtù, trovo vizio... Pure tanta vita mi avanza da adoperare in modo che i vostri nepoti ricercando a' vostri figli libertà che significhi, quelli additando loro le vostre dimore demolite, i vostri sepolcri scoperchiati, rispondono: La libertà significa morte e rovina!»

      ... e intanto la poverina patisce... — Qua via, porgete il lume,... Cap. VI, pag. 149.

       Indice

      All'atto incomparabile e stupendo

      Dal cielo il Creator gli occhi giù volse

      E disse: Più di quella ti commendo

      La cui morte a Tarquinio il regno tolse.

      Ariosto, Orlando furioso, c. XXIX.

      «Lupo! o Lupo! prendi il boccale — e bevi un sorso a rinfrancarti il cuore; — tu mi hai una cera da De profundis.»

      Queste parole dirigeva certo soldato del dominio di Firenze, e con le parole offeriva un vaso pieno di vino a Lupo bombardiere, di cui vedemmo il bel colpo nella cittadella di Arezzo. E questa avventura succedeva a notte avanzata dentro un corpo di guardia accanto la porta di San Nicolò, unica tra le tante di Firenze che tuttavia si mantenga nella antica sua forma. Un solo lume sospeso alla vôlta rischiarava di splendore vermiglio piccola parte della vasta stanza: e tu vedevi dei soldati quivi raccolti alcuno disteso per le panche in atto di dormire, altri seduti novellare dei casi di guerra; tali altri, e questi erano i più, bevere spensierati, come uomini per cui il tempo scorso è nulla, il futuro anche meno, e si godono il presente fugace — e lieto, perchè vuoto di affanno.

       Un fra loro, di volto leggiadro e, comechè giovanissimo, a tutti capo, se ne stava appoggiato con le spalle alla parete, la faccia china, immerso in pensieri i quali, a giudicarne dalle sembianze di lui, non dovevano essere buoni nè tristi: — questo era Ludovico Machiavelli. Lupo invece sedeva con le pugna strette, fortemente puntellate nelle guance sotto gli zigomi; gli occhi socchiusi: ad ora ad ora prorompe dall'intimo petto profondi sospiri. — Guizzando intanto la fiamma sanguigna sopra quei volti, — per tutta la scena, — presentava un quadro fantastico, stupenda materia ai dipinti di Gherardo delle Notti o del Rembrandt.

      «Lupo!» riprese un altro soldato, «bevi: — il tuo buono umore è ito in fondo del boccale; ripescalo coi labbri e ridiventa gaio, perchè la tua tristezza ci uggisce, e troppo più della tristezza cotesti tuoi sospiri, che spingerebbero in mare il bucintoro. — Piagni forse i tuoi morti?»

      «Pel Battista, lo hai detto! Io piango un morto... piango l'onore dell'Italia e di noi altri», e, siffatte parole proferendo, tal diè del pugno sopra la tavola che i distesi a dormire si svegliano di soprassalto levando la testa sospettosi di qualche sinistra avventura.

      «L'onore della milizia italiana spento?» domandò ansioso il giovane Vico. «Qual cosa v'induce a giudizio sì iniquo sopra il vostro sangue?»

      «Sta a voi domandarmelo, Vico? Non siete fuggito anche voi d'Arezzo? Così è — noi infelici reliquie delle Bande Nere, tanto famose nelle guerre passate, ne abbiamo or dianzi bruttata la gloria. Occhi miei tristi, che tante volte e tante vedeste dalle bande onoratissime del signor Giovannino i Tedeschi assaliti e dispersi, perchè mai vi ostinate a rimanere aperti per contemplare una fuga infame senza pure essere affrontati?... O morte! o morte!» E il prode uomo si batteva con le mani la fronte.

      «Confortatevi, Lupo: col capitano Ferruccio non fuggiremo più...»

      «Sentite, Vico, riponetevi bene nella mente le parole del veterano: — i peccati di viltà non hanno remissione; — la viltà sparsa una volta porta il suo frutto, — frutto di esempio pessimo e di danno alla patria, irrevocabile. — Io ho pianto due volte in questa vita: — la prima fu, quando una notte del mese di gennaio io mi scaldava al camino da una parte, e la mia povera madre filava dall'altra: mi aveva narrato le mille cose fatte e dette da mio padre e da mio nonno (che Dio gli abbia in pace), e le giostre avvenute ai suoi tempi e la congiura dei Pazzi, chè ella si trovò in chiesa alla strage e nel trambusto vi perdè il cappuccio di vaio e la collana d'argento. — La povera donna nel bel mezzo del discorso si arresta... e subito dopo, con voce mutata, mi dice: Lupo, accóstati, ch'io ti benedica... ti lascio solo... O gran Madre del Signore, ricevi l'anima mia! — Levai la faccia e vidi la povera madre con la destra in atto di benedire, — gli occhi aperti, e la bocca aperta anch'essa, ma storta da un lato. — Iddio l'aveva chiamata alla pace degli angioli. — Lupo è rimasto solo davvero sopra la terra. L'altra volta ch'io piansi fu... — Compagni miei, vi chieggo perdonanza se vi funesto con dolorosi racconti. Io mi taccio e rumino da me stesso la mia angoscia.»

      «Di', di', Lupo; le parole del veterano riescono sempre gradite all'animo dei suoi compagni.»

      «Ora dunque, figliuoli miei, — perchè io per età, vedete, potrei esservi padre, comechè non abbia tolto mai moglie e non mi sieno nati figliuoli; ma certa volta udii raccontare da messer Pietro Aretino[110], svisceratissimo del signor Giovanni, come un antico capitano a certo che lo riprese di non aver tolto donna, ed in questa maniera privato la patria di eredi delle virtù sue, rispondesse: Sappi che io lascio due figliuole e tali che se la patria ne imita l'esempio, diventerà non pure famosa, ma unica per la gloria delle armi nella Grecia: e ricordò due battaglie da lui virtuosamente combattute e vinte. — Fin qui Lupo non operava nulla che gli fruttasse onore; però non vi ha impresa, comunque arrisicata ella sia, per la quale non senta l'animo e le voglie disposte. Adesso mi trovo ad avere tanto detto fuori del seminato che non so più donde mi sia partito o dove io mi abbia a ritornare: — mi sembra dovessi narrarvi come piangessi le seconde lagrime in mia vita, ed ecco proprio il modo in che andò la cosa. — Il signor Giovannino... Nessuno di voi ha egli veduto il signor Giovanni dei Medici? — Ebbene, quando passate da Orsanmichele, sostatevi a guardare il San Giorgio di Donatello: immaginate voi che muova le braccia, che parli di forza, che lanci lo sguardo acuto quanto un verrettone, ed avrete la immagine vera del fortissimo capitano. — Il signor Giovannino con alquanti cavalli leggieri si pose alla caccia dei Tedeschi nel serraglio di Mantova. — I nemici, che lo chiamavano il gran diavolo, — tanto si mostrava nelle zuffe avventato e feroce, — si danno scorati alla fuga: — noi proseguiamo ardentissimi quella, più che battaglia, beccheria; — la strage della gente tedesca ci giungendo gradita, non come di nemici vinti, sibbene come di genia bestiale, oscena peste del mondo. Uno di questi scomunicati, mole gigantesca di mala carne, all'improvviso volta faccia a me che lo inseguiva, e tale mi scarica a traverso un colpo di mazza d'arme che mi avrebbe schiacciato il capo come un pinocchio. —


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