La vita Italiana nel Seicento. Autori vari

La vita Italiana nel Seicento - Autori vari


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o almeno annuente il Papa, sarebbesi, per le armi d'Enrico vittoriose su' due rami d'Habsburgo, formata confederando, con leggi certe e pacificatrici, Germania, Ungheria, Boemia, Polonia, Danimarca, Svezia, Olanda, Inghilterra, Spagna, Francia, Regno di Lombardia, Venezia, Stato Pontificio con Napoli, Repubblica italiana comprendente Toscana, Genova, Lucca, Parma, Mantova, Modena (federazione di federazioni), non potrebbesi con piena sicurezza affermare, quanto a' particolari; ma del concetto, in genere, fanno fede molte testimonianze contemporanee, pubblicate e diligentemente illustrate in tempi prossimi a' nostri. Ad Enrico IV, dunque, che certo non aveva letto il De Monarchia di Dante, spetta l'onore d'avere ammodernato e tratto quasi dal campo delle remote speranze in quello della politica pratica quel concetto degli Stati uniti d'Europa, cui sospirava il grande Poeta sociologo, ed a cui, mutato l'estrinseco, intendono, fra tanto clangore d'armi, e mentre echeggia ancora in Europa l'urlo di codarde stragi impunite, non pochi nobili cuori, fatti pensosi de' moltissimi, cui il luccichìo delle parate militari costa lacrime e stenti diuturni.

      Ma i destini d'Europa e del mondo civile non erano, e di gran lunga, ancora maturi.

      “La sacra vita

      Del quarto Arrigo un empio spense;„[1]

      e, istigatrici o no ch'esse fossero del Ravaillac, le due case Austriache esultarono

      “Quando l'Eroe nel lacrimato avello

      Portò i fati d'Europa e le speranze.„

      Una nuova minorità, una nuova Reggenza, ben più fiacca, per sè, e misera che non quella di Caterina, incombevano per anni alla Francia. La sospettosa turbolenza de' Calvinisti, dalle fortezze che la Pace di Saint-Germain en Laye aveva loro concesse, e l'Editto di Nantes confermate; la insolenza feudale, che dalle contese religiose traeva in vario senso pretesti, minacciavano anco una volta disfar l'opera d'Enrico, e de' suoi ministri. La Francia stava per essere riaperta a' nemici d'oltre Reno e d'oltre Pirenei; e mentre in Germania, contro le rideste e cresciute ambizioni di Casa Austro-tedesca, Riformati, Danesi, Svedesi, avrebbero fatto di sè una prova, che il rabbassamento della Francia rendeva dubitosa assai, pareva che sull'Italia misera avesse ad estendersi ed aggravarsi la dominazione spagnuola, tanto più ladra, indecorosa e corruttrice, quanto più fiacca e guasta e bisognosa s'era fatta la Potenza dominatrice; quanto più insolentemente arbitrarî i Ministri e Rappresentanti di lei.

      La spietata energia esercitata dal Richelieu all'interno della Francia, con intenti altamente patriottici, ma con mezzi informati più assai al desiderio di toccar presto la meta, che ad una scrupolosa moralità; — il conflitto che, con meno d'impeto e più di scaltrezza, il Mazarino sostenne, durante una terza Reggenza, non co' Calvinisti, che non facevano ormai più Stato nello Stato, ma colla Nobiltà riottosa, sognante il racquisto de' vetusti privilegi mercè la mutazione del ramo dinastico; la sua resistenza allo fugaci velleità della Magistratura, aspirante a trapiantare in Francia le libertà riaffermate testè dall'Inghilterra; ripararono a' pericoli delle due Reggenze, alla pochezza dello sbiadito Luigi XIII, e serbarono alle armi di Francia, nella guerra di Valtellina, in quella del Monferrato, nell'ultimo periodo dei Trenta anni, una efficacia preponderante.

      La politica e le armi di Francia ebbero, la mercè del Richelieu e del Mazarino, una parte segnalata ad assicurare colla pace di Westfalia l'indipendenza olandese, a salvare dal temuto assorbimento austriaco le autonomie germaniche, a guarentire da violenze liberticide la coscienza religiosa dei Riformati; come già l'avevano avuta a vietare che l'acquisto della Valtellina stabilisse fra gli Stati Austro-tedeschi e la Lombardia spagnuola una continuità di territorî, minacciosa a Venezia e a' Grigioni, pericolosa a Savoja. Ma quando poi, salvati in Westfalia quelli ch'erano, dal suo punto di vista, i più vitali interessi d'Europa, il Mazarino proseguì, dal 1648 al 1659, in un interesse esclusivamente francese, la guerra colla Spagna, e trasse Filippo IV alla Pace de' Pirenei, egli apparecchiava all'Europa tutta minaccie e pericoli di poco minori da quelli, che la oltrepotenza ed oltracotanza spagnuola le avevano fatto correre.

      Perduta l'Olanda; in procinto di perdere il Portogallo, che gli Olandesi avevano intanto spogliato delle sue migliori Colonie; co' suoi Vicereami d'Italia esausti da una amministrazione ignorante, rapace, e impotente nonchè a fare, a voler pure il bene; ridotta a un'ombra di quella marina con cui aveva, obtorto collo, contribuito alla gloriosa vittoria di Lepanto, e acquistato per troppo breve tempo la signoria di Tunisi; umiliata dalla pochezza di cui fece prova nella prima guerra Monferrina contro Carlo Emanuele la Monarchia spagnuola non era tale, che i piccoli Dinasti italiani osassero assalirla scopertamente; ma bene era impotente a vietare ai piccoli Dinasti italiani una politica disforme dalla sua. La smisurata mole, precipitata da una fervida virilità ad una senilità repentina, occupava tuttavia grande spazio di suolo; ma su quello, più assai che non vi sorgesse, giaceva, inerte, incresciosa a se stessa.

      Mentre la Spagna precipitava, dall'altro pendio de' Pirenei, tratta dagli aviti castelli a Versailles e fatta cortigiana la già ribellante nobiltà; facendole, colla gloria militare, col fasto, col buon gusto, colle eleganti frivolezze dimenticare la licenza d'un tempo; colla sapiente e feconda operosità giustificando quasi l'oblio di quello che delle antiche libertà rimaneva alla Francia; due Ministri di primo ordine, e una plejade d'altri minori disciplinavano, incameravano alla Monarchia, senza fiaccarle o umiliarle, le mirabili energie della Nazione. Così, di fronte a quel povero Carlo II, decrepito dall'infanzia; di fronte a que' vacillanti Stuardi, che, per reggersi compravano a prezzo de' veri interessi inglesi la sua protezione, le sue munificenze; Luigi XIV, raccolto personalmente dalle mani del morente Mazarino il potere, poteva slanciarsi per la sua via, avido di gloria, di autorità assoluta in patria, di incontrastato predominio in Europa; tanto simigliante a Filippo II, quanto la viva genialità francese glielo consentiva; unendo all'ingegno politico di Filippo II il coraggio militare, che allo Spagnuolo, cosa singolare in tal famiglia, in tal gente! mancò.

       Indice

      Tra i primordi di Filippo II e quelli del potere personale di Luigi XIV corre un secolo stipato d'avvenimenti per modo, che il solo enumerarli chiederebbe troppo più tempo, di quanto possa dall'altrui pazienza concedermisi. Nè s'intende qui di quelle vicende della Filosofia, delle Scienze, dell'Arte, della pubblica Economia, che hanno co' fatti più propriamente politici, un alterno perpetuo vincolo di cagioni e di effetti; ma di soli gli eventi politici, i quali per altro, hanno tutti, in questo periodo, uno strettissimo legame colla dissidenza religiosa, suscitata dalla Riforma, ch'è di ciascun d'essi cagione, occasione, pretesto. L'Europa tutta, nel sistema politico della quale incominciano ora ad entrare, per effetto appunto della contesa religiosa, Danimarca, Svezia, Polonia, è divisa in due campi; nell'un de' quali stanno i Dissidenti e coloro che, avendo per nemici i nemici loro, se ne fanno alleati; nell'altro quelli, che o convincimento religioso o interesse politico induce a mostrarsi teneri della unità cattolica. Senonchè tal Potentato che cerca fuori l'alleanza de' Dissidenti, in casa sua li perseguita come ribelli; tale altro, che perseguita i Cattolici come ribelli, si procura fuori l'alleanza d'uno Stato cattolico; perchè, non libertà si vuole da Cattolici o da Dissidenti; ma esclusiva preponderanza della Confessione propria, oppressione dell'altrui entro i confini del proprio Stato.

      Ond'è che, animati Principi e Popoli, Governanti e Ribelli, dal più eccitabile e comprensivo degli umani affetti, convinti di non aver via di mezzo fra l'opprimere e l'essere oppressi, vengono al conflitto con tutto il furore e tutte le forze loro; si valgono talora senza scrupolo di tutti i mezzi, per quanto condannati dalla Fede medesima che professano; perchè, con inumano sofisma, fingono a sè stessi posto fuori della Legge, che fanno procedere da essa Fede, chi da quella Fede o da quella Legge dissenta; poi, alterati i criterî, trattano in ugual modo l'avversario religioso e quello puramente politico, l'avversario politico ed il nemico personale. Di qui le congiure, in quel secolo sì frequenti, non meno contro gl'individui rivestiti di pubblici ufficî, che contro Repubbliche e Principati; di qui le giustizie, che malamente esercitate prendono aspetto di vendette; e le vendette, che usurpano le forme e la solennità della Giustizia; guerre condotte da briganti; brigantaggi che assumono importanza ed ampiezza di guerre vere e proprie; e ceppi, e roghi, e mannaie, che tutto improntano il


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