La vita Italiana nel Seicento. Autori vari

La vita Italiana nel Seicento - Autori vari


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patibolo, come reo d'aver difeso nel campo teologico la libertà morale, quel glorioso Barneveldt, che nel campo politico difendeva la libertà civile dell'Olanda contro le ambizioni orangiste (1619). Per le cagioni stesse imprigionavasi quel grandissimo Grozio, che, fuggito mercè l'accorta pietà della moglie, rifiutava di tornare in patria alle indegne condizioni propostegli. E se tanto osavasi nella Olanda repubblicana, non farà meraviglia che il Richelieu ponesse segno alle sue meditate e non fallibili vendette il Marillac, preconizzato per breve ora, nella Journée des dupes, a succedergli nel Ministero, e ch'egli colse nel 1683, e commise a Giudici, de' quali lo stesso Richelieu beffardamente ammirò l'acume, quando ebbero saputo scuoprire le concussioni, sotto il cui carico mandarono a morte quel valentuomo. A un altro valentuomo, al Bassompierre, sagace nel penetrare i riposti disegni del Ministro, costava la Bastiglia l'aver detto: Vous verrez, que nous serons assez fous pour prendre la Rochelle. Chiuderemo la serie col ricordare, notabilissimo fra gli altri, pel mistero che lo avvolse, per la mancanza d'ogni legale parvenza, per lo spietato modo in cui fu perpetrato, l'assassinio, che del Monaldeschi ordinò, nemmeno più Regina ormai, la mal lodata Cristina di Svezia.

      Neanche gli orrori del parricidio fanno difetto alla lugubre età. Filippo II consegnava ai carnefici il vanitoso inetto Don Carlo, da cui temeva fosse un giorno sovvertita l'opera propria; e col convincimento d'aver fatto la pura necessaria giustizia, fra gl'incensi d'una devozione obbrobriosa, alloppiava i rimorsi. Ivan IV, in un impeto cieco, colla mazza ferrata che, barbarico scettro!, sempre aveva in pugno, spegneva il figlio prediletto, suo auspicato continuatore; e di questa, almeno, tra le sue efferatezze provò disperato ribrezzo.

      Se tal gente, mossa da tali passioni, assuefatta a tali spettacoli, potesse esercitare con quella minore inumanità ch'è desiderabile il funesto dritto di guerra, e far dimenticare i sacchi, onde vanno sinistramente famose le guerre del secolo precedente (Brescia, Capua, Prato, Ravenna, Roma), lo dicano gli eccidî d'Anversa per mano degli Spagnuoli, onde per alcun tempo quella dei Belgi s'unì alla insurrezione dei Batavi; lo dicano le rappresaglie di quella guerra Moresca negli Alpujarras, che la pietà dell'arcivescovo Talavera si studiò indarno d'evitare; e l'atroce sacco di Magdeburgo, che lo spietato Tilly paragonava, gloriandosene, alla presa di Troja e di Gerusalemme; e quello di Mantova (1630), perpetrato dalle milizie imperiali del Collalto. Ben è vero che costoro non potevano aver letto ancora il libro del Grozio; il quale, invece, doveva pure esser noto a Luigi XIV quando, mezzo secolo dopo, calcando freddamente sotto il pie' superbo ogni legge d'umanità, egli ordinava le replicate devastazioni del Palatinato (1674-1689).

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      Eppure, per quel Fato storico, o meglio per quella legge di Provvidenza, che guida, infrena, completa, corregge l'opera del Libero Arbitrio umano (i due massimi coefficienti della Storia), da' roghi, da' patiboli, dalle Città devastate, da' campi di battaglia, da' Consigli de' despoti, l'Umanità prendeva l'abbrivio a nuove e migliori conquiste. Una necessità ineluttabile costringe chi perseguita in casa ad allearsi fuori colla setta o confessione perseguitata. E come già Francesco I ed Enrico II coi Collegati smalkaldici, e sulle traccie di quell'accordo di Friedwald, che negoziato co' Luterani da un vescovo di Bajona faceva Enrico II (1551) vindicem libertatis Germaniæ et Principum captivorum; così Padre Giuseppe de la Tremblay (l'Eminenza Grigia, il rigido istitutore delle Figlie del Calvario) negoziava pel Richelieu, in nome del Re Cristianissimo, accordi coi Protestanti tedeschi e colla Svezia; e s'adoperava a far togliere al Wallenstein il comando delle milizie imperiali. Giacomo I cercava (lo abbiamo già veduto) la amicizia, anzi la parentela della cattolica Spagna, contro la Francia cattolica, per rivolgersi poi nuovamente a questa contro la Spagna. I Turchi, le rivalità dell'una coll'altra Potenza cattolica, l'ambizione, il pericolo di veder congiunti coi Dissidenti religiosi i rivendicatori delle violate od obliterate franchigie politiche, imponevano più o men parziali Editti, e pratica più o meno costante di tolleranza. Enrico III, il vincitore de' Calvinisti francesi a Jarnac e a Montcontour, chiamato, perchè cattolico e perchè buon soldato, sul trono di Polonia, doveva, tra gli altri pacta conventa, giurare la osservanza delle libertà religiose. Poco appresso (1594), Sigismondo, Re cattolico nella Svezia protestante, doveva fare altrettanto; nè Casa d'Austria potè ad altro prezzo tener l'Ungheria, cui nel 1608 Mattia, nel 1637, e nuovamente nel 1647, Ferdinando III dovevano confermare la libertà di coscienza. Quanta parte l'essersene violati i patti in Boemia avesse alla guerra dei Trent'anni, è inutile il dire. Orrore delle stragi, per tanti anni e in sì larga parte d'Europa rinnovellate; temenza che una piena vittoria in Germania ribadisse ai polsi d'Italia la catena spagnuola; legittimo sospetto che, assicurata per altre parti, la Potestà imperiale tornasse ad accampare in faccia alla papale antiche pretese, e a tiranneggiare, sotto colore di protezione, la Chiesa; fecero che la Diplomazia pontificia s'adoperasse non inutilmente a procurar quella Pace, che fu poi conclusa in Westphalia.

      Frutto d'alleanze inspirate da altro che da idealità di Confessione religiosa, e di conflitti politici fra popoli professanti la Confessione medesima, questa Pace, che sanciva l'ammissione di Danimarca e Svezia nella famiglia delle genti civili d'Europa; conferendo a' Calvinisti in Germania i dritti medesimi, che la Dieta d'Augusta a' Luterani; assicurando la indipendenza dell'Olanda, sottratta così alla pericolosa intraprendenza degli Orange; agevolando al Portogallo il futuro riacquisto della sua autonomia, consacrava nel Diritto pubblico europeo il principio della tolleranza religiosa, la incompetenza dello Stato in materia di Fede, i diritti della coscienza religiosa individua in faccia al Potere civile; accennava ad una più ampia e fraterna consociazione di popoli, tra' quali l'aspirazione a una Fede comune potesse farsi vincolo e argomento d'amore, non laccio omicida, non pietra di scandalo, non face d'incendio divoratore.

      Il trattato di Westphalia (1648), il De jure Belli (libri tres, Hanau 1598) di Alberico Gentili, il De Jure Belli et Pacis, ed il Mare liberum di Ugo Grozio, sono tra i migliori legati, che abbia trasmesso il secolo di cui parliamo alle età future. Felici se ritroveranno, più che nella polvere degli Archivî, nell'intimo della coscienza umana, anche il gran disegno di Enrico IV, e fondamento alla umana felicità cercheranno, non ne' bilanci di guerra ogni dì più onerosi, ma nella pace sicura e nelle “giustizie pie del lavoro!„

      Come de' nostri Cari, che la morte c'invola, tornano a noi le imagini fatte più auguste e serene, e non i loro momentanei sviamenti, e gli sdegni fuggevoli, ma ci stanno dinanzi, in pura luce, le virtù, che al viver loro furono guida ed inspirazione; così de' secoli discesi negli ipogei della Storia, le età successive raccolgono in eredità la parte positiva e migliore, e quella come sacra eredità si trasmettono.

      Perciò, quando, con armi ed arti diverse, sorgerà in cospetto all'Europa un nuovo Filippo II, Olanda e Spagna, testè nemiche da parere irreconciliabili, s'armeranno l'una per l'altra, e coll'Olanda, la Svezia muoverà contro quella Francia, ch'era stata sì lungamente alleata sua contro l'Impero. Le armi dell'Impero concorreranno esse medesime a difendere da Luigi XIV il nuovo Diritto, sancito a Munster e ad Osnabruok.

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      Quale la condizione, quale la parte dell'Italia in un'Europa siffatta?

      Lo abbiamo accennato già prima; la Pace di Gateau Cambrèsis abbandonava l'Italia alla Spagna dominatrice; e, pareva, senza riparo o difesa. Venezia aveva sulle braccia la forza navale de' Turchi, e, per schermirsene, bisogno dell'alleanza Austro-tedesca e dell'Austro-spagnuola; il conflitto colla Riforma legava ad entrambi i rami d'Habsburgo, ma più particolarmente all'Austro-spagnuolo, il Papato; comprati a Spagna col Monferrato sino dal 1535, e come la Repubblica genovese, tenuti in fede dalla paura delle poco platoniche ambizioni savojarde, i Gonzaga; fatti cosa tutta spagnuola, con in mano di Spagna quel mirabile Alessandro, che di soli diciassette anni aveva effettivamente partecipato alla battaglia di San Quintino, i Farnesi; legati a Spagna, per la nemicizia cogli Strozzi e co' Francesi, e pel vassallaggio di Siena, i Medici; imbrigliata dalla nimistà de' Gonzaga, da quella di Genova, Casa Savoja; fatte così ausiliarie alla dominazione


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